The Boys, Watchmen e gli Avengers: la sovversione dei cinecomic

Il 26 luglio arriva su Amazon Prime Video la serie TV The Boys che si ascrive a un filone che, dal 2000 in poi, domina egemonicamente il mercato cinematografico: i cinecomic. Ma la supremazia incontrollata di un solo genere sul cinema d’intrattenimento, quello indiscutibilmente più radicato nell’immaginario collettivo, non è una novità. Quest’ultimo è da sempre stato caratterizzato dallo spadroneggiamento di un particolare genere che, per ragioni artistiche e di mercato, impone la sua preminenza in un dato periodo storico e sociale.

È stato così negli anni Quaranta e Cinquanta con il noir – valorizzato da maestri del genere -, tra i Cinquanta e i Sessanta con il western in occidente e il jidai-geki in oriente, tra i Settanta e i Novanta con il poliziesco. Dal 2000 in poi, e precisamente da X-Men di Bryan Singer e Spider-Man (2002) di Sam Raimi, il genere a far maggior presa sul pubblico è il cinecomic che negli anni, grazie alla pianificazione e all’implementazione di universi narrativi transmediali – come nel caso della DC e soprattutto della Marvel – è riuscito a raggiungere le vette dell’élite cinematografica, fino agli Oscar di Black panther (2018) di Ryan Coogler, e la pellicola con il più alto incasso nella storia del cinema, Avengers: Endgame (2019) di Joe & Anthony Russo.

Come ogni genere cinematografico però, anche il cinecomic ha/avrà una vita ben definita, perché per quanto – numeri alla mano – gli incassi di Avengers: Endgame abbiano fatto la storia superando Avatar (2009) come più alto incasso di sempre, arriverà un giorno in cui l’inevitabile calo fisiologico diventerà realtà e un nuovo genere andrà per la maggiore. In tal senso, le parole di Steven Spielberg (Jurassic park, Prova a prendermi, Ready Player Oneall’Associated Press – nel lontano 2015 – con cui mette a paragone la parabola del cinecomic a quella del western, sono la perfetta diagnosi di ciò che capiterà in un domani non meglio specificato: “Noi c’eravamo quando il western è morto, e arriverà il tempo in cui i cinecomic seguiranno la stessa strada. Non significa che non ci saranno più occasioni per un ritorno del western, o che un giorno i supereroi non possano ricomparire” – e continua a proposito della situazione attuale – “Certo, ora i cinecomic sono vivi e fiorenti, sto solo dicendo che questi cicli hanno un tempo limitato nella cultura popolare. Arriverà il giorno in cui le storie mitologiche saranno soppiantate da qualche altro genere che magari un giovane cineasta scoprirà per tutti noi.”

The Boys cinematographe.it

Il western infatti, partendo dalle opere di John Ford (Sentieri selvaggi, Il massacro di Fort Apache, Rio Grande, Cavalcarono insieme) – che prendevano pezzi di storia americana per consegnarla all’immortalità cinematografica – e Howard Hawks – in cui il genere diventava funzionale per raccontare della famiglia, come nel caso de Il fiume rosso (1948) e dell’amicizia come nel caso de Un dollaro d’onore (1959) – ha seguito la deriva revisionista già a partire dai primi anni Sessanta, principalmente con le opere di Sergio Leone (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono il brutto e il cattivo, C’era una volta il west, Giù la testa) e Sergio Corbucci (Django, Il grande silenzio). Il lavoro innovativo dei registi italiani tanto apprezzati da Quentin Tarantino, diede vita agli Spaghetti-western (cui seguirono svariate revisioni del genere tra Messico e Giappone), caratterizzati da intrecci più elaborati e da villain “sporchi” dalla caratterizzazione estrema.

The Boys cinematographe.it

Seguì poi un lavoro di revisione del genere da parte degli americani Sam Peckinpah (Il mucchio selvaggio e Voglio la testa di Garcia), Clint Eastwood (Il texano dagli occhi di ghiaccio, Lo straniero senza nome, Gli spietati) e Robert Altman (I compari, Buffalo Bill e gli indiani), e di autori come Arthur Penn (Piccolo grande uomo) – volti a lavorare invece sulla narrazione, mostrando punti di vista inediti o la rielaborazione di elementi classici, come fece John Ford con Il grande sentiero (1964), western che rivalutava il ruolo degli indiani in tutte le sue pellicole.
Lo stesso sta accadendo oggi con il cinecomic, che da Watchmen (2009) fino a The Boys (2019), oltre a quelli d’impostazione classica, sta presentando forme di narrazione revisioniste, che vanno ad intaccare i topoi di genere, rimescolando un po’ le carte in un genere ampiamente inflazionato.

The Boys: recensione della serie Amazon Prime

The Boys e la sovversione dei cinecomic: Avengers e una nuova impostazione classica

Avengers The Boys cinematographe.it

Partiamo dalla base, il cinecomic infatti – come tutti generi cinematografici citati in apertura di articolo – presenta determinati punti cardine narrativi tipici del genere, e altri strettamente legati ai generi del cinema d’intrattenimento. A partire dall’eroe, abitualmente una figura comune, imperfetta, che a seguito di un dato incidente/evento particolare, si trova catapultato in un mondo straordinario dove nell’incedere della narrazione scopre le sue nuove potenzialità; o il villain che abitualmente è un personaggio appartenente all’ambiente narrativo dell’eroe, e il cui duello finale al terzo atto, porta a una risoluzione del conflitto altamente spettacolare.

Il dato in più, tipico del cinecomic, è l’elemento dettato dall’acquisizione di superpoteri, che crea un dislivello di non poco conto tra ciò che l’eroe era prima, e ciò che è diventato dopo averli acquisiti, rappresentante la pietra narrativa su cui poggia ogni cinecomic che si rispetti. The Avengers (2012) di Joss Whedon in tal senso, pur non essendo il candidato ideale da mettere in copertina vista la sua natura narrativa da cross-over lo è nello spirito e nel ritmo. Esso infatti, colma l’acquisizione dei superpoteri con la creazione di un’alchimia, e di una squadra altrimenti impossibile da creare, arrivando così a un terzo atto che è puro spettacolo dei sensi. Divenendo quindi manifesto della classica impostazione del cinecomic, ma al contempo sua prima autentica revisione (o per meglio dire rivoluzione) del genere; prima del 2012 infatti, nessuno aveva mai sfiorato l’idea di un cross-over evento con più personaggi appartenenti a differenti franchise, nessuno prima della Marvel.

Watchmen e Kick-Ass, le prime innovazioni prima di The Boys

The Boys cinematographe.it

I primissimi casi noti al grande pubblico di revisione del cinecomic, risalgono a dieci anni fa e precisamente a Watchmen (2009) di Zack Snyder, e Kick-Ass (2011) di Matthew Vaughn, presentando della variazioni e/o riletture narrative non di poco conto all’interno del cinecomic. Nel caso di Watchmen ad esempio – la cui graphic novel di Alan Moore è già di suo fortemente revisionista del genere fumettistico – la tematica cinecomic diventa, per Snyder, il pretesto per immergere lo spettatore in una narrazione quasi shakespeariana dove far emergere conflitti secolari tra personaggi in tuta e maschera.

La storia di Watchmen è amatissima dai fan dei cinecomic e ciò è riscontrabile osservando l’hype che circonda l’uscita del prossimo adattamento del fumetto di Moore. Ad ottobre 2020, infatti, debutterà su HBO una serie TV creata da Damon Lindelof (Lost e The Leftovers) e l’attesa è palpabile.

Discorso a parte per Kick-Ass – tratto dal fumetto di Mark Millar –  il cui forte elemento revisionista sta nel rielaborare uno dei punti chiave della narrazione cinecomic, l’assenza di superpoteri da parte del protagonista: Dave Lizewski (interpretato da Aaron Taylor-Johnson) è un comune liceale che in un’ottica meta-linguistica, si chiede perché nessuno scelga deliberatamente di diventare un supereroe oggigiorno. È quindi una sorta di critica al cinecomic in sé in bilico tra finzione e interrogativi del mondo reale.

The Boys e la sovversione dei cinecomic – Avengers: Infinity War e il cammino dell’anti-eroe

MTV Movie Awards The Boys cinematographe.it

Anche la Marvel, capostipite del cinecomic tra cinema e televisione dalla chiara impostazione classica, è riuscita nell’intento di innovare il genere secondo un’ottica revisionista. È il caso infatti della prima parte del cross-over evento Infinity War/Endgame – Avengers: Infinity War (2018) dove contro ogni previsione, in un genere cinematografico da sempre incentrato sulla figura dell’eroe, la Marvel porta in scena il cammino dell’antieroe Thanos (interpretato da Josh Brolin) – poi villain a pieno titolo in Avengers: Endgame (2019) dalla più chiara impostazione classica, mostrandoci la narrazione dal punto di vista del titano viola.

La scelta coraggiosa e pionieristica della Marvel, di incentrare la narrazione su Thanos, è un’autentica lezione di scrittura cinematografica. In Avengers: Infinity War infatti, assistiamo a una struttura narrativa il cui intreccio va a dipanare ben 7 archi narrativi di cui 3 essenziali per l’incedere della narrazione. Abbiamo l’arco principale, quello di Thanos che muove l’intera narrazione, a cui si oppone quello dell’antagonista di Infinity War, ovvero Thor (interpretato da Chris Hemsworth) – che in un’impostazione classica sarebbe l’eroe protagonista, e quello del villain/nemesi del Marvel Cinematic Universe, nientemeno che Tony Stark/Iron Man (interpretato da Robert Downey Jr) – che come detto poc’anzi, normalmente sarebbe l’eroe. Nel drammatico scontro su Titano infatti, sarà lo stesso Thanos a dire a Stark di non essere “l’unico tormentato dalla conoscenza” lasciando presagire che aspettava da molto tempo la resa dei conti con l’uomo di ferro.

The Boys e la sovversione dei cinecomic – Shazam! e l’estremizzazione dell’origin story

Shazam! 2: The Boys cinematographe.it

La DC ha avuto ben poca fortuna nel campo dei cinecomic rispetto alla controparte Marvel. Lo dimostra la gestione del Superman di Henry Cavill da L’uomo d’acciaio (2012) di Zack Snyder, fino a Justice League (2017) co-diretto da Zack Snyder e Joss Whedon tra alti e bassi e inaspettati depotenziamenti, per un universo narrativo dalle potenzialità infinite e se non superiori, che non ha nulla da invidiare a quello della Marvel. Manca però una progettualità a lungo termine, che ha costretto molte volte la DC a imitare il lavoro della Marvel quando sarebbe bastato affidarsi a un proprio marchio di fabbrica. È il caso di Batman v Superman: Dawn of Justice (2016) di Zack Snyder e il suo inserimento “poco ragionato” di molti supereroi senza un adeguato background narrativo sulla scia de Avengers: Age of Ultron (2015) di Joss Whedon; o l’insensata scelta – al momento unico vero marchio di fabbrica della DC – di usare un differente “cut” per la versione cinematografica e quella home video disorientando il pubblico. Tra sequel/reboot come lo strano caso di Wonder Woman 1984 di Patty Jenkins e del rapporto omonimo tra Suicide Squad (2016) di David Ayer e The Suicide Squad (2021) di James Gunn, è emersa un’inaspettata piccola perla di spontaneità, quel Shazam! (2019) di David F. Sandberg che ha sovvertito il concetto di origin story in un cinecomic.

Shazam! infatti, tenendo conto dell’importanza dell’acquisizione di superpoteri, all’interno dell’economia narrativa del cinecomic, amplia al massimo gli effetti che crea il dislivello tra ciò che l’eroe era prima e ciò che è diventato dopo averli acquisit. Ci mostra come protagonista un adolescente problematico (orfano, irascibile, che vive in una casa famiglia) di nome Billy Batson (interpretato da Asher Angel), la cui controparte “super” è un uomo fatto e finito dalle fattezze di Superman (interpretato da Zachary Levi). Un’acquisizione di superpoteri che catapulta il giovane Billy in un mondo straordinario permettendogli di acquisire dei poteri speciali causante una trasformazione fisica di non poco conto. Risultando così un prodotto fresco, innovativo, che tenta di ridar slancio a una saga cinematografica moribonda.

The Boys e l’eroismo di facciata

The boys, cinematographe.it

E arriviamo infine a The Boys. La nuova serie cinecomic di Amazon si inserisce perfettamente nell’ottica del cinecomic revisionista. The Boys, infatti, trascina lo spettatore in un mondo dove uomini comuni e supereroi – considerati al pari delle celebrità – coesistono. I supereroi di The Boys – assemblati in una squadra sulla falsariga degli Avengers nota come i Settenon sono però liberi. Sono infatti regolarmente sotto contratto dalla Vought, un’impresa che gestisce le loro apparizioni pubbliche, gli eventi, le azioni – dettaglio assolutamente da non trascurare – e i franchise relativi. In una sorta di elaborazione meta-linguistico-cinematografica, in cui una pellicola su un supereroe è più di un cinecomic-prodotto d’intrattenimento, piuttosto una rappresentazione fantasiosa di eventi reali che ricadono nella sfera pubblica dell’individuo ritratto.

Oltre a questo i supereroi di The Boys sono imperfetti, ma non nell’ottica degli attacchi di panico di Tony Stark  in Iron Man 3 (2013), piuttosto soggetti a una moralità degna di un personaggio bukowskiano. I Sette infatti, se si riuniscono non è per spirito eroico, piuttosto per fare un rendiconto di quanto i propri franchise fruttino. Viene meno, in The Boys, la componente eroica alla base della narrazione del genere cinecomic, per mostrarcene soltanto una di facciata, ponendosi nell’ottica sovversiva e rielaborando così uno dei cardini narrativi, alla base dei topoi di genere.

The Boys, ideata da Eric Kripke e Evan Goldberg, è stata rilasciata in streaming da Amazon il 26 luglio 2019. Nella trama ufficiale, si legge:

The Boys è uno sguardo irriverente a ciò che succede quando i supereroi, che sono popolari come le celebrità, influenti come i politici e venerati come dei, abusano dei loro superpoteri invece di utilizzarli a fin di bene. Quando i The Boys si lanciano in una missione eroica per svelare la verità riguardo ai “Sette” sostenuti dalla Vought, inizia una lotta tra senza poteri e superpotenti.