Sergio Leone: 10 curiosità sul grande regista

Tutto quello che dovete sapere su Sergio Leone, il padre del genere western in Italia. Dai suoi film alla collaborazione con Clint Eastwood.

Se sovente dire che le opere tengono in vita oltre la morte un artista è una frase fatta, nel suo caso, nel caso di uno dei più grandi registi della storia, è una solida realtà, un dato di fatto, scolpito come scolpiti sono nella memoria collettiva i suoi capolavori, la sua visione della settima arte, il modo in cui l’ha rivoluzionata. Il 3 gennaio 1929 a Trastevere, nella Caput Mundi, nasceva il grande Sergio Leone.

Era figlio d’arte certo, il padre Roberto era stato uno dei grandi registi del primo cinema muto in Italia, mentre la madre una grande attrice di teatro e cinema negli anni ’10. Ma ciò che ha fatto Leone affondava le radici in un percorso professionale e personale più unico che raro, in una gavetta profonda e preziosa come comparsa prima, come direttore della seconda unità e assistente regista poi, presso alcune tra le più prestigiose produzioni dell’epoca a Cinecittà.
Saranno soprattutto queste ultime a segnare questo momento della vita per Sergio Leone, che si troverà sul set di capolavori come Ben Hur, Gli Ultimi Giorni di Pompei Quo Vadis?, in un periodo storico in cui erano i peplum a dettare legge.
E un peplum sarà il suo primo film, prodotto con un basso budget, usato però in modo saggio ed accorto, che gli permetterà di affascinare il pubblico accorso a vedere Il Colosso di Rodi.
È il 1961. Di lì a poco i gladiatori e le legioni romane passano alquanto di moda, lasciando un bel pò di attori, sceneggiatori, registi e addetti ai lavori con un futuro alquanto incerto…

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Ma Sergio Leone intuì che da quel vuoto poteva trarre giovamento chi avesse saputo offrire al pubblico qualcosa di nuovo e allo stesso tempo familiare, e fu tra i primi a cimentarsi nel nuovo filone dei spaghetti western. Certo non poteva immaginare che da quel momento, dal quel 1964 in cui uscì il suo Per un Pugno di Dollari, la storia lo avrebbe ricordato non come un regista di spaghetti western ma Il Regista degli spaghetti western.
Da quel momento, Sergio Leone avrebbe conquistato il mondo con la sua Trilogia del Dollaro, poi con la sua visione amara della frontiera americana in C’era una Volta il West e poi con Giù la Testa, con cui anticipò il cinema western crepuscolare immettendovi connotazioni politiche molto forti.
Nel suo ultimo film, il più famoso, il più perfetto, quel C’era una Volta in America, Leone lasciò al mondo del cinema qualcosa che andava ben oltre il noir, il gangster movie, era la decostruzione della mitologia americana del bandito, omaggio all’amicizia virile.

Il grande regista se ne andrà il 30 aprile del 1989 stroncato da un infarto, lasciando il mondo del cinema orfano di un grande innovatore, un sognatore, che noi vogliamo onorare ricordandone 10 tra le curiosità più straordinarie e sorprendenti!

10 cose che (forse) non sapete su Sergio Leone, il padre italiano del genere western

Un inizio poco… accreditato!

Sergio Leone cominciò la “gavetta” a Cinecittà, quando esisteva la cosiddetta Hollywood sul Trastevere, con le grandi produzioni ed i grandi divi d’oltreoceano che eran di casa nella capitale italiana.
In particolare lavorò nel kolossal Quo Vadis? come assistente del regista Mervyn LeRoy, per poi ritrovarsi a direttore della seconda unità nel leggendario Ben Hur, dove diresse la famosissima scena della corsa delle bighe. “Fantastico!” penserete voi, invece Sergio Leone non fu accreditato per nessuno di questi due lavori, e neppure per ciò che fece in Elena di Troia di Robert Wise o Sodoma e Gomorra di Robert Aldrich. Insomma il nostro Sergione nazionale non è che avesse sempre ciò che meritava dal mondo del cinema!

L’episodio più assurdo risale al 1959, quando fu chiamato come aiuto regia e aiuto sceneggiatore per i peplum Gli Ultimi Giorni di Pompei, che doveva essere diretto da Mario Bonnard. Tuttavia il regista a causa di grossi problemi di salute, dovette abbandonare il progetto e fu Sergio Leone a dover dirigere il film, sorta di film catastrofico abbastanza bolso la cui paternità però non fu riconosciuta al regista italiano.
Neppure nei titoli di testa infatti figurava il suo nome, cosa che lasciò un bel pò di amaro in bocca a Leone, conscio delle sue qualità e di quanto in realtà quel peplum appartenesse sicuramente più a lui che a Bonnard. Ma il tempo gli avrebbe dato modo di rifarsi.

Una sceneggiatura… santa!

Gli Ultimi Giorni di Pompei rappresentò tuttavia un passo in avanti abbastanza importante per Sergio Leone, che ebbe modo di mettersi alla prova in una situazione di grande difficoltà ed emergenza, mostrando le sue grandi qualità.
Il film aveva un cast di attori abbastanza noti all’epoca, tra i quali spiccava il bodybuilder Steve Reeves (il divo assoluto del Peplum in quegli anni), Fernando Rey e Christine Kaufmann.
Come molti altri peplum di quegli anni, girava attorno ai soliti cliché narrativi a base di belle ragazze in pericolo, fusti in tunica e combattimenti nelle arene, tuttavia le ambizioni di Bonnard erano più grandi, ed anche per questo decise di dotarsi di una crew di sceneggiatori di talento.

Per lo script infatti, furono chiamati a collaborare Sergio Corbucci (futuro asso del cinema italiano), Ennio De Concini, Luigi Emmanuele, Duccio Tessari e naturalmente il nostro Sergio Leone. Tutti e cinque eran chiamati a metter mano all’omonimo romanzo di  Edward Bulwer-Lytton, che scritto nel 1834 aveva chiaramente bisogna di un upgrade per essere ben accolto dal pubblico. Decisero quindi di creare una storia in cui vi fosse in atto una forte persecuzione dei cristiani da parte dei romani, strizzando così l’occhio a tutto un certo filone che aveva avuto proprio in Quo Vadis? l’esempio più popolare.
Sergio Leone e soci, a quanto pare, furono spinti a immettere nella sceneggiatura un grande numero di violenze e massacri ai danni dei cristiani, di modo da soddisfare le aspettative del produttore Federico Moffa.

Dietro Moffa in realtà, vi era l’Opus Dei, che aveva finanziato la pellicola e che intendeva servirsene neanche troppo velatamente per i propri scopi propagandistici… in fin dei conti eravamo sempre nell’Italia divisa tra i sostenitori dei due blocchi: Democristiani e Comunisti e il cinema non sfuggiva di certo a queste logiche. A Sergio Leone però tutto questo non interessava, dopotutto con i soldi ottenuti poté pagarsi la luna di miele con la moglie Carla!

Do you speak English?

Si tratta di qualcosa di poco noto, ma Sergio Leone ha sempre avuto grossissimi problemi con la lingua inglese. Con il grande Eli Wallach (il Tuco de Il Buono Il Brutto Il Cattivo) parlava costantemente in francese, ma del resto Wallach aveva una capacità di improvvisazione tale che il più delle volte a Leone non serviva parlarci più di tanto, come nella celebre scena delle pistole.
Sul set dei film di Sergio Leone per diverso tempo si era quasi in mezzo ad una vera e propria Babele: molti dei suoi film erano girati in Spagna, quindi si parlava spagnolo, soprattutto per ciò che riguardava le comparse e i ruoli minori.
Ma c’erano anche moltissimi italiani, e tutti recitavano nella loro lingua madre, il che creava non pochi problemi in fase di doppiaggio, visto che gli attori americani recitavano in inglese e bisognava adattare i dialoghi a seconda che il film dovesse essere distribuito in Italia o all’estero. Il tutto senza dimenticarsi che Sergio Leone non girava praticamente mai con audio sincronizzato.

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Ecco perché era sempre importante per il regista romano avere almeno un interprete per la sua lingua inglese, di modo da riuscire a venirne a capo durante le riprese.
Tuttavia questa sua scarsa padronanza della lingua gli salvò la vita quando, nel 1969, rifiutò un invito per un dopocena a casa della moglie di Roman Polanski, Sharon Tate, dal momento che si sarebbe sentito profondamente a disagio non potendo interloquire con nessuno dei presenti. Come è noto, Charles Manson e la sua banda di pazzi trasformarono il dopocena a casa Tate in uno dei più orrendi massacri della storia americana, e di certo non può che lasciare raggelati il pensiero di quale avrebbe potuto essere il destino del regista romano se avesse accettato l’invito. O se negli anni tra Cinecittà e la trilogia del dollaro si fosse deciso ad imparare l’inglese una volta per tutte.

Sergio Leone e le ispirazioni per il film Per un Pugno di Dollari… oltre Akira Kurosawa

Fin dalla sua prima uscita, a molti critici e cinefili, saltò all’occhio quanto Per un Pugno di Dollari ricordasse molto La Sfida del Samurai (Yojimbo in lingua giapponese) uscito nel 1963, diretto dal leggendario cineasta nipponico Akira Kurosawa, quello de I Sette Samurai presente?
Beh da I Sette Samurai Hollywood a suo tempo aveva tratto il leggendario I Magnifici Sette, uno dei western più famosi di tutti i tempi (dopo averne acquistato i diritti, naturalmente) ma Sergio Leone invece pensò forse che non fosse necessario scomodare il grande Kurosawa. In fin dei conti non era la sola fonte di ispirazione!
Per un Pugno di Dollari in effetti aveva al suo interno moltissimi riferimenti anche a Calvino, a Goldoni, nonché ad una certe vena iper realista e violenta vista già nei western di Robert Aldrich, tuttavia non si può negare che la somiglianza con la pellicola di Kurosawa fosse davvero incredibile. Alcune scene, dialoghi persino, erano copiati di sana pianta.

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Ancora oggi sulla genesi del più importante Spaghetti Western di sempre, le opinioni, i ricordi, che coinvolgono oltre a Sergio Leone gente del calibro di Ducdio Tessari, Fernando Di Leo, Adriano Bolzoni, Tonino Valerii, Enzo Barboni, Mimmo Palmara, Sergio Corbucci e Sergio Donati, si confondono, si uniscono e dissentono su date, origini, genesi. Appare però chiaro alla fin fine, che Sergio Leone fu meravigliato dal film di Kurosawa e che decise semplicemente di rifarlo ambientando il tutto nel sud degli Stati Uniti, al confine con il Messico.
Il successo della pellicola fu incredibile, ma Kurosawa non fece i salti di gioia…anzi. Fece causa a Leone che si ritrovò costretto non solo a cedere i diritti per tutto il mercato orientale, ma anche a dare al cineasta giapponese il 15% degli introiti.
Col senno di poi fu quasi un attacco kamikaze da parte di Leone!

Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo: la riscrittura di un genere e l’incidente sul set

Dopo il grande successo di Per un Pugno di Dollari e Per Qualche Dollaro in Più, Sergio Leone decise di fare le cose in grande e per Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo non badò a spese, sia per ciò che riguardava il cast, che soprattutto le maestranze, con una cura maniacale per le divise, le armi, le scenografie, le spettacolari scene di massa. Insomma, voleva riscrivere in toto il genere western classico aggredendolo proprio su quella monumentalità che era sempre stata il suo pezzo forte.
Di grande bellezza e poesia fu la malinconica scena della battaglia di Glorietta Pass, una delle più importanti nella Guerra di Secessione, che costrinse alla ritirata le truppe confederate dai territori dell’Arizona.
Protagonista affianco a Clint Eastwood, Lee Van Cleef e Eli Wallach fu in quella parte del film il bravo Aldo Giuffré, che interpretò magistralmente un disincantato Capitano, incaricato di dare l’assalto ad un ponte di grande importanza strategica. Ancora oggi la scena mette i brividi…

Ebbene è poco noto, ma la scena più costosa e più difficile da filmare era la distruzione del ponte, grazie alla quale Tuco e il Biondo fanno sloggiare le truppe dei due schieramenti, che cercavano di impadronirsene intatto. Uno degli addetti alle maestranze, forse per un errore di comunicazione, fece saltare il ponte mentre Eastwood e Wallach stavano semplicemente provando la scena, senza che Sergio Leone avesse dato il permesso di far partire le macchine da presa! Per poco Clint Eastwood non ci restò secco, come si vede al secondo 0:26 del video.

Ma un momento: se Sergio Leone non aveva dato l’ordine di girare la scena, né quindi di far saltare il ponte, chi riprese la sequenza? A quanto pare il regista aveva detto agli operatori quella mattina di far partire le cineprese lo stesso per “farle scaldare un pò”.
Nessuno lo sapeva e tutti pensavano che l’incidente (dal costo esorbitante) potesse essere la pietra tombale sul film, tanto che il Direttore della Fotografia Tonino Delli Colli si precipitò trafelato dal regista e gli chiese in romanesco: “A Sè…E mo che famo?”.
Sergio Leone affabile rispose: “E mo’ famo pausa…”.

Ponti e ancora ponti…

Sergio Leone non voleva girare Giù la Testa. Non aveva più voglia di western, voleva passare a qualcosa di diverso, tuttavia la produzione gli ricordò che era obbligato per contratto a dirigerne almeno un altro. Tuttavia riesce ad ottenere che il film sia diretto da  Peter Bogdanovic, ritagliandosi il ruolo meno impegnativo di co-produttore; ma tutto cambia quando la cosa arriva all’orecchio dei due attori scelti come protagonisti, che non sono esattamente due attori qualsiasi ma Rod Steiger e James Coburn, tra i divi più affermati del pianeta.
I due dichiarano di non voler girare con nessuno che non sia Sergio Leone, pena il loro recedere dal contratto con la produzione. Sergio Leone è quindi costretto a questo nuovo cimento, che tuttavia mano a mano prenderà molto più a cuore di quanto si aspettasse, creando il suo film più politico e personale.

Anche in Giù la Testa una delle scene più cruente e spettacolari è legata ad un ponte, fatto costruire dalla troupe di Leone per l’occasione.
Come per la trilogia del dollaro, anche in questo caso le riprese si svolgono in Spagna, nell’Almeria, durante gli ultimi anni della Dittatura Franchista, quando il dittatore prossimo alla fine vede congiure e ribellioni ovunque.
Nella famosa sequenza, i due protagonisti rimangono dietro come retroguardia con due mitragliatrici per fermare le truppe del generale Huerta, costringendole a ripararsi sotto il ponte, minato in precedenza, massacrandoli tutti. Si trattò di una delle scene più complesse realizzate da Sergio Leone fino ad allora.

Tuttavia all’epoca l’Almeria, una delle zone più povere della Spagna, le infrastrutture eran veramente poche e per i numerosi pastori che abitavano lì, fu uno shock incredibile svegliarsi una mattina e trovarsi di fronte ad un ponte nuove di zecca, che avrebbe loro permesso di accorciare notevolmente la strada che li portava ai mercati più vicini. Una vera e propria manna dal cielo!

Potete immaginare la loro rabbia e stupore quando, una mattina, si accorsero che quel ponte, utilizzato solo per poco tempo dalla troupe e fatto saltare come previsto dalla sceneggiatura, non era più utilizzabile, ridotto in briciole.
Il Sindaco della zona si trovò a dover tranquillizzare tutti i pastori della zona, chi adirato per la distruzione da parte di ignoti di un ponte così bello, chi spaventato dall’idea che fosse stato fatto saltare dai terroristi comunisti.
Ci vollero diverse ore per far capire agli abitanti che il ponte era stato creato solo per essere fatto saltare in aria dalla troupe di un grande regista italiano e di certo possiamo solo immaginare la loro delusione!

Sergio Leone e il doppio no di Clint Eastwood

Considerato uno dei più grandi western di tutti i tempi, C’era una Volta il West rappresenta una pietra miliare del genere e segnò una tappa fondamentale nella carriera di Sergio Leone, che osò come pochi prima di lui, decostruendo il genere e portando all’interno del film elementi molto personali e anche politici.
Primo tra tutti il fatto che il ruolo di protagonista fosse affidato non ad un pistolero, ma ad una donna, una vedova ex prostituta di nome Jill per essere più precisi, interpretata dalla bellissima Claudia Cardinale.
Leone mostra un west truce, disperato, malinconico, dove alle legge della pistola si sostituisce quella del denaro, dove l’onore non esiste più, dove la libertà della frontiera americana sta scomparendo, assediata dal treno e dal telegrafo.
La famosissima scena iniziale vede il celeberrimo Armonica (un Charles Bronson definitivamente lanciato da questo film) che alla stazione è atteso dai tre sgherri del malvagio Frank (Henry Fonda), che hanno il compito di ucciderlo.

I tre sono interpretati da Al Mulock (che si suicidò durante le riprese), Woody Strode e Jack Elam, ma nella mente di Leone al loro posto dovevano esserci nientemeno che Lee Van Cleef, Edi Wallach e Clint Eastwood, a simboleggiare il trapasso, la morte del vecchio western, ucciso dal nuovo ovest semi-civilizzato e spietato.
Se Van Cleef e Wallach dettero il loro assenso, quasi divertiti dalla cosa, Clint invece non ne volle sapere, o comunque impose delle pretese economiche cosi elevate da far saltare tutto.
E cosa poco nota, ma in realtà dopo il terzo film assieme, i rapporti tra il futuro Ispettore Callahan e Leone erano tutto tranne che idilliaci, dal momento che Eastwood ormai era un star e pretendeva di essere trattato come tale, mentre Leone lo considerava abbastanza sopravvalutato come attore.
Nonostante questo però, il regista sapeva che per certi parti nessuno era meglio di Clint, tant’è che inizialmente aveva pensato a lui per il ruolo di Armonica, ma il divo americano aveva altri progetti e alla fine Sergio Leone virò su un caratterista: Charles Buchinsky, in arte Charles Bronson, che era in grado di “fermare una locomotiva con lo sguardo” secondo Leone.
Di certo il doppio “NO!” di Clint costrinse Sergio a modificare i suoi piani, ma col senno di poi veder morire Tuco, lo Straniero Senza Nome e il Colonnello Mortimer sarebbe stato troppo! E Charles Bronson era davvero perfetto per la parte di Armonica!

Sergio Leone e l’incontro col compositore Ennio Morricone

Quando si dice Sergio Leone, immediatamente si pensa anche a lui: al nostro Ennio Morricone, il più grande compositore di colonne sonore di ogni tempo (lo dice Tarantino quindi è vero).
Ebbene i due non si sono conosciuti per la prima volta sul set, ma sui banchi di scuola! Infatti sia Sergio che Ennio, studiarono presso una scuola a Trastevere e in questa foto sono immortalati proprio nel periodo della loro comune infanzia.
Sergio è nella fila centrale il secondo da sinistra, Morricone il quarto.

Chi poteva immaginare che assieme questi due bambini avrebbero fatto la storia del cinema? Morricone come noto divenne famoso proprio per la colonna sonora di Per Un Pugno di Dollari, nello stesso periodo si dava da fare con un altro regista: Bernardo Bertolucci.
Di lì a poco, con il successo degli spaghetti western, Morricone e Leone avrebbero formato un duo assolutamente unico e affiatatissimo, per tutti i suoi film infatti il cineasta volle non solo che le musiche le componesse Ennio, ma anche che le dirigesse.
“L’orchestra suona meglio se ci stai tu a dirigerla” gli diceva sempre, e per tutti questi decenni Ennio gli ha dato retta, per quanto di filmati e momenti assieme non ve ne siano molti.
Quello mostrato di seguito è uno dei pochi, e fa riferimento al premio Disco D’Oro ricevuto dal compositore un anno dopo l’uscita di C’era Una Volta in America, a cui aveva donato una delle colonne sonore più incredibili di sempre.

Certo fa impressione sapere che due geni di questo calibro avessero condiviso i banchi di scuola, e forse copiato l’uno dall’altro!

Un flop immeritato

Senza ombra di dubbio, C’era una Volta in America è il film più famoso di Sergio Leone, il più immortale, il più riuscito e poetico, un kolossal da far tremare i polsi e che ancora oggi è considerato un capolavoro in ogni sua singola componente. Dalla colonna sonora di Ennio Morricone, alle interpretazioni di Robert De Niro, James Woods, Joe Pesci, Elizabeth McGovern, Burt Young, William Forsythe, James Hayden e Jennifer Connely.
Eppure per un crudele scherzo del destino (o meglio dell’uomo) C’era una Volta in America al botteghino fu un flop alquanto inatteso e doloroso per Sergio Leone, che si era impegnato anima e corpo in un film che doveva sia parlare dell’era del Proibizionismo, sia affrontare temi a lui cari come l’amicizia virile, l’amore, il tradimento, il concetto di memoria e quello di colpa.

Sergio Leone

Purtroppo però, a voler confermare quanto i produttori siano sovente il cancro del cinema, la Ladd Company, che si occupava della produzione del film, decise di tagliare moltissime scene, di togliere quelle più violente od estreme, insomma di rendere il tutto più “potabile” e “commerciale”, ma il risultato fu di far crocifiggere dalla critica il film, che riservò parole molto severe alla produzione.
Per il regista fu un colpo durissimo, che secondo molti lo stressò così tanto che ne aggravò lo stato di salute, perché dal suo punto di vista ridurre a due ore e 19 minuti il film era quasi un insulto, uno schiaffo in faccia. Costato 30 milioni di dollari, ne incassò a mala pena 6, e poco importa che dopo la morte del regista, con l’uscita della versione inedita, la critica si rese conto di quale capolavoro avesse creato.

Poco gli importò che la critica riconoscesse il diritto del regista a mostrare al pubblico ciò che aveva creato e condannasse lo scellerato tagli operato dalla produzione, che evidentemente era poco abituata a film così particolari. La Laad Company rifiutò persino la proposta di Leone di far uscire il film in due parti, come Bertolucci aveva fatto con Novecento, visto lo scarso successo economico dell’operazione.
ll film fu celebrato come il migliore degli anni ’80 quando nel 1993 la critica ed il pubblico americani poterono ammirarne la versione integrale; negli anni decine di cineasti, attori, sceneggiatori ed esperti di cinema ne hanno esaltato la complessità narrativa, la profondità, che sono stati punto di riferimento per tre decenni.

L’ultimo film di Sergio leone

Proprio in seguito al disastro produttivo che aveva apparentemente affondato C’era una Volta in America (nonostante i numerosi premi internazionali), Sergio Leone decise nel 1989 di fondare la Leone Film Group, la sua casa di produzione cinematografica, per poter avere maggior libertà creativa.
Aveva intenzione di osare ancora una volta, di spiazzare tutti, abbandonando l’epica americana in favore di una storia ambientata sul fronte orientale, durante la Seconda Guerra Mondiale ed in particolare durante l’Assedio di Leningrado.
Sconfitta tra le più terribili sofferte dalle forze naziste, l’assedio durò più di due anni e mezzo, e fu caratterizzato da un’orrenda ecatombe tra la popolazione civile russa, che fu sottoposta ad un blocco pressoché totale dagli assedianti. Niente viveri né medicinali.
Si calcola che morirono (soprattutto di fame e stenti) quasi un milione di civili, mentre nella battaglia più di un milione di soldati tedeschi, russi, finlandesi caddero sul campo.

Non si trattava di un’idea da niente, né di qualcosa che Sergio Leone aveva improvvisato, ma di un progetto che il regista aveva in mente fin dagli anni 70 e che sperava, in quel 1989 della perestrojika e del disgelo, di poter realizzare.
Confidava nella sua fama, nel suo essere italiano, nel voler raccontare un evento tra i più tragici e cari al popolo russo, e in effetti i segnali dall’altra parte della Cortina di Ferro erano più che positivi. Purtroppo il 30 aprile 1989 il grande regista morì per un infarto, ed il progetto rimase lettera morta.

Nel 2001 sarà il grande regista francese Jean-Jaques Annaud a prendere spunto da questo progetto, per realizzare il suo celeberrimo Il Nemico alle Porte, che lancerà definitivamente la carriera di Jude Law. Ed in effetti, in qualche istante, qualcosa di Sergio Leone il film di Annaud parve quasi averlo.