La maledizione dello scorpione di Giada: recensione

Recensione di La maledizione dello scorpione di Giada, una rivisitazione del genere poliziesco in chiave commedia d'equivoci da parte di Woody Allen, tra Costantinopoli, Madagascar e poteri ipnotici.

Il cinema di Woody Allen è sempre stato caratterizzato da una spiccata vena ironica, unita a dialoghi brillanti, arguti, il cui sotto testo attinge a piene mani alla letteratura, al teatro, alla filosofia, e alla psicologia, rielaborandoli. Non sbagliamo infatti nel dire che la filmografia Alleniana sia – un po’ come le pellicole di Robert Altman (MASH, I compari, Nashville, Un matrimonio, Buffalo Bill e gli indiani, Tre donne, Il lungo addio) degli anni Settanta – un autentico dono del cielo per tutti gli appassionati di cinema. Non è da meno La maledizione dello scorpione di giada (2001) che pur essendo ritenuta dagli aficionados del regista newyorchese una pellicola “minore” nel vasto panorama della filmografia di Woody Allen, spicca tra la media (generale) dei prodotti filmici, per la delicatezza di modi e la comicità sapientemente dosata nel corso della narrazione.

La maledizione dello scorpione di giada – La colonna sonora tra jazz e swing della commedia di Woody Allen

Una filmografia, quella di Allen, caratterizzata da una sana e parodistica comicità unita a elementi slapstick, come nel caso di pellicole come Prendi i soldi e scappa (1969), Il dittatore libero dello stato di Bananas (1972) e Amore e Guerra (1975). Per poi evolversi, maturando in un genere comico-drammatico con sfumature romantiche, dove l’elemento citazionista diventa più esplicito, come nel caso della sceneggiatura di Provaci ancora Sam (1972) – con una spalla come il fantasma di Humphrey Bogart – e in quei due capolavori di Io e Annie (1977) e Manhattan (1979). Il cinema di Allen si è poi evoluto nel corso degli anni ottanta, abbandonando la linea comica, a favore di drammi in cui far emergere tematiche come l’insoddisfazione ontologica dell’uomo, attingendo dal cinema di Ingmar Bergman e dal teatro di Anton Cechov, che porteranno il regista newyorchese a pellicole come Hannah e le sue sorelle (1985) e Crimini e misfatti (1987) – probabilmente i suoi film più grandi.

La maledizione dello scorpione di Giada woody allen cinematographe.it

Giungendo infine agli anni novanta e duemila, con una rivisitazione di tematiche ed estetiche passate, attraverso un nuovo linguaggio, più immediato – come nel caso di pellicole come Harry a pezzi (1997) e Match Point (2004), improprio remake per tematiche, del sopracitato capolavoro alleniano del 1987. È in questo contesto che si inserisce La maledizione dello scorpione di giada (2001), nell’ottica di una rivisitazione del genere poliziesco in quella tipica chiave fatta di un solido intreccio condito da dialoghi brillanti e soluzioni narrative spiazzanti.

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La maledizione dello scorpione di giada: la tipica struttura narrativa alleniana a due binari

Il marchio di fabbrica del cinema di Woody Allen da Io e Annie in poi – maggiormente demarcata nelle pellicole della definitiva maturazione negli anni ottanta – è la classica struttura narrativa a due binari. Il regista newyorchese infatti, soprattutto nelle pellicole dove figura tra i protagonisti ha quasi sempre utilizzato una struttura consistente in due archi narrativi, dove quello principale è quello da cui si dipana la narrazione; l’altro invece, permette di dar colore, aggiungendo dettagli, andandosi poi a intersecare con quello primario. Lo stesso è riscontrabile in La maledizione dello scorpione di giada, dove stavolta però, la delineazione dei due archi tende a essere poco netta, verificandosi così come un amalgama, rendendoli del tutto inscindibili perché gli eventi dell’uno tendono a influenzare direttamente l’altro nel dipanarsi dell’intreccio.

La narrazione de La maledizione dello scorpione di giada infatti, ruota tutta attorno al confronto dialettico tra CW Briggs (interpretato da Woody Allen), e Betty Ann Fitzgerald (interpretata da Helen Hunt), uno investigatore assicurativo pasticcione ma deciso – come un provetto Clouseau – e l’altra la sua segretaria dal temperamento sicuro e impegnata in una tresca con il capo dell’ufficio Chris Magruder (interpretato da Dan Aykroyd). Un andamento, quello de La maledizione dello scorpione di giada non lineare che incede in flashback già in apertura di pellicola; funzionale per rappresentare il rapporto tra i personaggi principali, per poi tornare sul giusto “binario”, dipanandosi in tre atti scandagliati quasi meccanicamente dalla presenza dell’antagonista, Voltan, il mago (interpretato da David Ogden Stiers), impegnato ad alzare continuamente la posta in gioco nel conflitto narrativo.

Ne consegue tuttavia, che la risoluzione del conflitto nell’arco principale, quello incarnato dall’indagine del CW Briggs di Allen, sia resa in via semplicistica se considerata la modalità in un’ottica più generale, ma in linea con il tono comico-brillante della narrazione, e funzionale per la chiusura dei giochi dell’arco narrativo secondario.

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La maledizione dello scorpione di giada: Costantinopoli & Madagascar

No, La maledizione dello scorpione di giada non prevede viaggi spazio-temporali tra l’Impero Ottomano e l’isola confinante con il Continente Nero, sono piuttosto la ripetizione costante di alcune parole che, nel corso della narrazione, denotano una svolta, sia in termini di tono – più romantico e meno poliziesco – che negli eventi. Il sotto testo alla base de La maledizione dello scorpione di giada è il valore dell’ipnosi che – in una sorta di psicanalitico vino veritas – permette ai personaggi in scena che ne sono investiti, di rivelare i propri sentimenti, i propri istinti, seppur guidati dai comandi del Mago.

Un sotto testo che Allen elabora con il suo abituale tono comico – tipico delle pellicole della prima metà del primo decennio degli anni duemila a eccezione di Match Point – in una commedia d’equivoci che rievoca tanto quella brillante degli anni trenta di pellicole come Susanna (1938) e La signora del venerdì (1940), entrambi di Howard Hawks, finendo con il rileggere il genere poliziesco secondo una nuova chiave di lettura. La maledizione dello scorpione di Giada si potrebbe quasi configurare nell’ottica di un noir-post moderno, incarnato dalla femme fatale Laura Kensington (interpretata da Charlize Theron) che rievoca nelle fattezze e nei modi, la leggendaria icona del cinema noir, Veronica Lake.

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La maledizione dello scorpione di giada: un Allen minore, ma pur sempre un gran film

La maledizione dello scorpione di giada, risponde a quel luogo comune tipico di quando si ha a che fare con filmografie di autori leggendari come Woody Allen – quello secondo cui, un film d’autore “minore” sia comunque una pellicola di qualità infinitamente superiore alla media, ed è esattamente quel che accade con La maledizione dello scorpione di giada; una pellicola che pur non essendo all’altezza dei capolavori del regista newyorchese, va a inserirsi perfettamente nella tendenza alleniana alla rielaborazione dei generi tipica degli anni duemila ponendovi il proprio marchio di fabbrica: una narrazione scorrevole, un sotto testo radicato culturalmente elaborato mediante un’autentica lezione dialogica.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

4