Manhattan: recensione

Non vi è dubbio che l’indiscussa protagonista di quello che è stato considerato IL capolavoro assoluto, l’opera che ha consacrato la carriera di uno dei più grandi registi di sempre, sia proprio la città di New York, romantica e pericolosa, misteriosa e famelica, che da sempre rappresenta il cuore pulsante del cinema del newyorkese Woody Allen.
Manhattan (1979) altro non è che una spassionata dichiarazione d’amore, un colorito ed intimo elogio nei confronti di quella città dalle mille contraddizioni che incarna alla perfezione l’essenza stessa di Allen, i suoi sogni, le aspettative, il rapporto con il cinema e le donne, il suo passato e il suo futuro, configurandosi come una pungente metafora della profonda decadenza morale della cultura contemporanea.
Scritto, diretto ed interpretato da Woody Allen e candidato a due premi Oscar tra cui Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Attrice non Protagonista alla giovanissima Mariel Hemingway, Manhattan rappresenta una meravigliosa sintesi di dramma e commedia in grado di fondere in maniera impeccabile il tradizionale cinismo esistenziale di Allen con la sua caratteristica e pungente ironia, dando vita ad un delicato affresco della eclettica e magnetica metropoli di New York, centro vitale di storie che si intrecciano tra loro e scorrono parallelamente, sfondo di passeggiate al chiaro di luna, incontri fugaci al parco, caotici movimenti notturni, romanticamente enfatizzati dalle melodie di George Gershwin e dalla sublime e armonica fotografia in bianco e nero di Gordon Willis.

Woody Allen e Mariel Hemingway in una scena del film.

Woody Allen e Mariel Hemingway in una scena del film.

Idolatrava New York, la mitizzava smisuratamente, esclama il protagonista Isaac in apertura di uno dei più famosi monologhi della storia del cinema.
Isaac Davis (Woody Allen), commediografo televisivo dal grande senso dell’umorismo, vive delle proprie convinzioni filosofiche in un illusorio ed evanescente mondo immaginario che si è costruito su misura nell’incapacità di affrontare appieno le proprie emozioni, ma abbandonandosi a queste in modo confuso e superficiale, senza essere consapevole di ciò che davvero desidera.
A causa di una profonda crisi personale e lavorativa, dovuta al divorzio dalla sua seconda moglie Jill (Meryl Streep), scopertasi bisessuale e alle prese con la pubblicazione di un libro sulle “prodezze amorose e sessuali” dell’ex marito, e all’incapacità di scrivere un tanto decantato romanzo sui “valori in sfacelo”, rincorre costantemente il proprio delicato equilibrio abbandonandosi ad una relazione con la diciassettenne Tracy (Mariel Hemingway), di cui però sottovaluta sentimenti ed intelligenza a causa della giovane età, fino ad allontanare da sé l’unica persona realmente in grado di sopportare e supportare la nevrosi esistenziale di un uomo profondamente insoddisfatto di sé e del mondo che lo circonda.
A turbare ulteriormente la precaria esistenza di Isaac è Mary(Diane Keaton), saccente e brillante giornalista che con la propria nevrosi e strafottenza lo trascina in una travolgente e destabilizzante relazione che però non è destinata a durare.

Grazie allo stile elegante, sobrio e sofisticato, Manhattan si configura come un toccante e quanto mai veritiero ritratto delle moderne e caotiche relazioni umane, in grado di mostrare la sempre più profonda alienazione borghese delle grandi metropoli contemporanee.
Allen, appellandosi alla delicata e pungente ironia che da sempre lo contraddistingue, realizza una amara ma veritiera analisi satirica nei confronti della società del consumo, della tecnologia, delle droghe, degli intrattenimenti frivoli, che ha portato ad una apatia dei sentimenti, ad una incapacità di comunicazione e ad una totale mancanza di emozioni in uomini e donne incapaci di vivere, di assumersi responsabilità, ma schiavi delle propri vizi e delle proprie ideologie fasulle, e soprattutto inadeguati ad amare, a rischiare il tutto per tutto.

Woody allen e Diane Keaton in una scena del film.

Woody allen e Diane Keaton in una scena del film.

Come spesso accade nel cinema irriverente di Woody Allen, la punta di diamante dell’intero film è rappresentata dagli acuti ed incalzanti dialoghi, frizzanti e rivelatori, ricchi di riferimenti cinematografici e psicanalitici, che trasudano un disincantato cinismo nei confronti della vita, dell’amore e di una società moderna che corre inesorabilmente senza che l’uomo sia realmente in grado di starle dietro e di trovare il proprio posto al suo interno.
Attraverso l’intreccio di effimere vicende amorose, la rappresentazione di personaggi delicatamente complessi e nevrotici, caratterizzati da una cronica insicurezza, cinici, capricciosi, insoddisfatti, ossessivi,infedeli ed insicuri, Allen mette a nudo se stesso, e sembra voler spingere disperatamente l’uomo ad affidarsi ai propri sentimenti, a credere nelle emozioni, perché soltanto il  cuore può guidarci nel caos esistenziale della frenetica e destabilizzante vita moderna in cui, nonostante tutto, vi sono sempre cose per cui vale la pena vivere.

Giudizio Cinematographe

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4.2
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4.2
Emozione - 4.7

4.4

Voto Finale