Grosso guaio a Chinatown: recensione del film di John Carpenter

Recensione di Grosso guaio a Chinatown (1986) diretto da John Carpenter, la piena espressione del fantasioso cinema hollywoodiano degli anni Ottanta, tra esplosioni verdi e gente che entra ed esce volando, per un mondo suburbano magico e pericoloso.

Il vecchio Pork-Chop Express, “esplosioni verdi, gente che entra ed esce volando” e un particolare feticismo per le nipponiche dagli occhi azzurri dovrebbero aver già fatto scattare qualcosa nella testa e nel cuore dei cinefili, eppure Grosso guaio a Chinatown (1986), diretto da John Carpenter con protagonisti Kurt Russell e Dennis Dun, quando venne rilasciato nelle sale cinematografiche non fu accolto con particolare clamore, anzi, fu uno dei flop commerciali più colossali nella storia del cinema con appena 11 milioni di dollari di incasso a fronte di un budget che ammontava a più del doppio.

Certo oggi fa quasi strano immaginare che una pellicola come Grosso guaio a Chinatown – ritenuta unanimemente una pellicola di culto – con un personaggio divenuto ormai iconico come il camionista Jack Burton, possa essere considerato come un film mediocre – e non lo è infatti visto che si parla da tempo di un remake; buona colpa l’ebbe la 20th Century Fox che quell’anno scelse di puntare tutto sulla promozione di Aliens – Scontro finale di James Cameron riservando pochissima attenzione alla scanzonata commedia-western urbana diretta da Carpenter.

Grosso guaio a Chinatown: una produzione tormentata, dallo script al casting

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Le parole “produzione tormentata” riferite a Grosso guaio a Chinatown sembrano quasi un eufemismo, basti pensare che l’idea originale degli sceneggiatori Goldman, Weinstein e Richter, consisteva in una pellicola d’ambientazione western con protagonista un vecchio cowboy senza passato e senza nome che arriva in città e libera una ragazza dalle grinfie del malvagio stregone Lo Pan. La 20th Century Fox rispose picche anche perché poco interessata a una narrazione western in un periodo florido per le sperimentazioni e per la fantascienza; il soggetto venne così reinventato con un’ambientazione più moderna condita di elementi orientaleggianti inediti per il cinema del periodo.

E non solo, perché il progetto riuscì sì ad arrivare in cantiere, ma se la 20th Century Fox insisteva per avere nomi del calibro di Jack Nicholson e Clint Eastwood, John Carpenter propendeva più per il suo attore feticcio Kurt Russell già diretto in Elvis, Il re del rock (1979), 1997: Fuga da New York (1981) e La cosa (1982). Ciononostante, e qui sta l’ironia della sorte, a Russell stesso non piaceva un granché il personaggio di Jack Burton per via del non riuscire a inquadrare bene il modo per approcciarvisi. Finché, leggendo la sceneggiatura più e più volte, Russell non realizzò che Jack era: “un eroe che ha tanti difetti. Jack nel film non è un eroe a tutto tondo. Questo ragazzo è un vero e proprio sbruffone. Si dà un sacco di arie, è molto sicuro di sé, ma in realtà è un casinista“.

Non è un caso infatti che lo stesso Carpenter ritenga Grosso guaio a Chinatown una pellicola fortemente innovatrice nel genere action, proprio per la sua capacità di proporre uno “scenario inverso rispetto ai tradizionali film d’azione che di solito hanno un protagonista caucasico aiutato da una spalla di diversa etnia” – Jack Burton infatti, pur essendo colui il quale scaglia il colpo decisivo per sconfiggere Lo Pen (interpretato da James Hong) è ben lontano dall’essere considerato l’eroe della narrazione, piuttosto il sidekick del ben più competente e sicuro Wang (per cui Carpenter aveva pensato inizialmente a Jackie Chan).

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Grosso guaio a Chinatown: la fine (temporanea) del sodalizio Carpenter-Russell e lo scioglimento del contratto con la Fox

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Che ci crediate o no, ma Grosso guaio a Chinatown ha rischiato seriamente di metter fine al sodalizio tra Carpenter e Russell. Il flop commerciale dopo il rilascio in sala della pellicola spinse Russell a dedicarsi ad altri progetti, declinando così il ruolo di John Nada nella pellicola di fantascienza grottesca con sfumature sociali Essi vivono (1988) – andata poi a Roddy Piper – ma che si vedeva che Carpenter aveva scritto per cucirlo addosso al suo attore feticcio.

I due tuttavia riprenderanno la collaborazione per la quinta (e ultima) volta in Fuga da Los Angeles (1996) – sequel/remake di 1997: Fuga da New York (1981) con Russell che indosserà nuovamente la benda sull’occhio del celeberrimo Jena Plissken a sedici anni di distanza.

Grosso guaio a Chinatown rappresenta anche l’ultimo film che Carpenter ha realizzato in collaborazione con la 20th Century Fox a causa dei vari dissidi che il regista ebbe durante la produzione con l’allora capo dello studio Lawrence Gordon che interferì costantemente con il film fino alla sua data di uscita. I successivi Il signore del male (1987) e il sopracitato Essi vivono (1988) furono prodotti in modo indipendente dalla Alive Cinema con la Universal Pictures che s’è occupata unicamente della distribuzione nelle sale. Non è un caso infatti che siano pellicole low concept, con script semplici a basso budget, dalla facile realizzazione.

Grosso guaio a Chinatown: la trama del film

Grosso guaio a Chinatown racconta del rozzo camionista americano Jack Burton (interpretato da Kurt Russell) a bordo del Pork-Chop Express e del suo giovane amico cinese Wang Chi (interpretato da Dennis Dun). I due si recano all’aeroporto di San Francisco per prendere la fidanzata di Wang, Miao Yin (interpretata da Suzee Pai); all’aeroporto, Miao viene rapita da una banda nota come i Signori della Morte, che la portano a Chinatown con l’intenzione di venderla come schiava sessuale. Da questo momento per Burton e Wang inizierà un’avventura straordinaria in un mondo parallelo fatto di magia ed esoterismo, a due passi da un ristorante cinese.

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Grosso guaio a Chinatown si dipana così in una struttura narrativa volta a delineare un intreccio solido, in bilico tra mondo urbano e magico, in una commistione di generi che unisce il comune genere buddy a elementi fantascientifici, orrorifici e wuxiapa (cappa e spada). In uno scorrere della narrazione lineare volto a indicare un aumento graduale della posta in gioco nel conflitto scenico, il cui incedere graduale determinerà la diminuzione degli elementi da mondo ordinario-urbano, per una crescita esponenziale di quelli da straordinario-magico.

Per una regia che rende l’andamento della narrazione veloce e dinamico, in un susseguirsi di piani medi, primi piani, dettagli e particolari. Inquadrature strette che danno carattere alla pellicola e denotano da subito la mano autoriale di John Carpenter nel risaltare gli elementi coloriti e orientaleggianti alla base della narrazione, e nell’offuscare svolte narrative/turning point spesso surreali e implausibili.

Il dipanarsi del primo atto infatti – che parte come un racconto a ritroso tramite digressione temporale – permette l’identificazione dell’ambiente narrativo, il contesto del mondo urbano in cui vive e “prospera” il Burton di Russell tra lunghi monologhi esistenzialisti alla radio e mezzi di fortuna. Il primo atto delinea inoltre le circostanze che portano Jack Burton dalla New York in cui sa destreggiarsi con maestria e sfrontatezza – a differenza del Wang di Den – all’accesso nel mondo straordinario e magico dell’ambiente suburbano della Chinatown dello stregone Lo Pen con il susseguente ribaltamento dei ruoli narrativi.

In tal senso il Pork-Chop Express nei vicoli di Chinatown diventa quasi il simulacro metaforico del film, di un personaggio come Jack Burton – che la scrittura caratterizza in modo immediato nella sequenza d’apertura – fuori posto e fuori contesto in un mondo che ribalta le sue leggi, ma che in qualche modo si trova costretto ad affrontare.

Come sopracitato infatti, Grosso guaio a Chinatown delinea uno scenario inverso rispetto ai tradizionali film d’azione, dove in una coppia di protagonisti di differente etnia, il protagonista bianco caucasico con cui lo spettatore occidentale va a identificarsi, non è l’eroe, piuttosto il sidekick/spalla del protagonista – in questo caso – orientale. Un qualcosa che Grosso guaio a Chinatown mette continuamente sotto l’occhio dello spettatore attraverso sequenze volte a valorizzare le azioni del Wang di Den e al contempo depotenziare progressivamente il Burton di Russell.

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Tra scontri violenti tra i Chang Sing e i Wing Kong, i potentissimi guerrieri-maghi delle Tre Bufere: Tuono, Pioggia e Fulmine, piscine piene di cadaveri in decomposizione, matrimoni con cui raggiungere l’immortalità dell’anima, levitazioni, mostriciattoli, esplosioni verdi e trasformazioni fisiche, Grosso guaio a Chinatown si delinea come un punto d’incontro nel cinema d’intrattenimento tra Oriente e Occidente – reso grande da un Carpenter ispirato, e consegnato ai posteri dagli iconici consigli del vecchio Pork-Chop Express del vecchio Jack Burton “specialmente nelle serate buie e tempestose, quando i fulmini lampeggiano, i tuoni rimbombano e la pioggia viene giù in gocce pesanti come piombo“.

Tutti elementi che rendono Grosso guaio a Chinatown una delle pellicole più fantasiose e divertenti nella filmografia del cineasta americano – prettamente tendente all’horror con capolavori del calibro di Halloween (1978) e La cosa (1982). Di quelle pellicole volte a “far tremare i pilastri del cielo” più oggi che nel 1986 quando venne ritenuto puerile, stupido e la brutta copia de Indiana Jones e il tempio maledetto (1984). Critiche negative a cui immaginiamo che John Carpenter avrà risposto  – usando le parole del vecchio Jack Burton – con: “Mena il tuo colpo più duro, amico. Non mi fai paura“.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.5