Roma FF18 – Jules: recensione del film di Marc Turtletub
Si potrebbe guardare al terzo lungometraggio da regista di Turtletub, come ad una versione senile e ripulita e senza troppe pretese, dell’esilarante e politicamente scorretto Paul di Greg Mottola. In realtà è molto di più. Una favola dolce, malinconica ed estremamente gentile sull’importanza di sentirsi compresi e ascoltati, perfino nel periodo dell’anzianità. Tra E. T. di Spielberg, Cocoon di Howard e Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve di di Jonas Jonasson. Grand Public
Presentato in anteprima mondiale al Sonoma International Film Festival e in seguito alla 18a edizione della Festa del Cinema di Roma, all’interno della sezione Grand Public, Jules, il terzo lungometraggio da regista del noto produttore Marc Turtletub, interpretato da Ben Kingsley e Harriet Sansom Harris, ha vinto il premio Ugo Tognazzi per la Miglior commedia.
Con un occhio all’esilarante e politicamente scorretto, Paul, di Greg Mottola, nel quale due turisti inglesi, interpretati rispettivamente da Simon Pegg e Nick Frost, prestavano servizio ad un alieno in pericolo, nel corso di un on the road cinefilo, sulle strade americane, ed un altro invece al dolcemente senile e malinconico, Cocoon di Ron Howard, Jules di Marc Turtletub racconta con estrema gentilezza di tono e di registro interpretativo – non si era mai visto un Ben Kingsley così pacato e ironico -, di un inaspettato incontro tra un alieno e uno strano trio di anziani, capitanato appunto da Milton Robinson, interpretato da Kingsley.
Nonostante chiunque a Boonton, Pennsylvania, creda che Milton non sia altro che un anziano attempato con qualche rotella fuori posto, in quanto assiduo frequentatore del consiglio comunale, capace di sollevare nel corso di anni e anni, il medesimo punto senza cambiare mai, in realtà, l’atterraggio di Jules (Jade Quon), l’alieno silenzioso e osservatore, che diviene via via il coinquilino di Milton, dimostra a tutti quanto la considerazione collettiva su quel tranquillo anziano solitario, fosse errata.
Sull’importanza dell’ascolto
È interessante osservare come Marc Turtletub scelga di non considerare affatto alcuna implicazione di genere, evitando dunque cliché e topos stilistici, sfruttando l’elemento alieno come un fattore puramente, metaforico che riflette sulla questione dell’importanza dell’ascolto, soprattutto nel periodo dell’anzianità, escludendo qualsiasi derivazione sci-fi di sorta, a partire dall’action, traccia molto spesso presente circa questo modello cinematografico, basti pensare al più volte citato, Paul di Mottola.
Se non altro però, Jules si rivela estremamente abile nel muoversi tra evidentissimi riferimenti cinematografici, su tutti, E. T. – L’extraterrestre di Spielberg e Cocoon di Ron Howard e vere e proprie incursioni nel cinema grottesco, che rimanda ai Coen, ma anche ad un tipico umorismo nero scandinavo che abbiamo imparato a conoscere nel corso degli ultimi anni di cinema, attraverso titoli quali, Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve di Jonas Jonasson e A Man Called Ove di Hannes Holm.
Nonostante la classicità della tematica, dunque la prevedibilità di numerose sequenze, seppur stranamente collocate solo e soltanto nella commedia – in questo senso il film di Turtletub ricorda, in termini di scrittura e umorismo, la cinematografia del celebre duo Jack Lemmon-Walter Matthau -, la presenza dell’alieno Jules nelle vite dei tre anziani, Milton, Sandy (Harriet Sansom Harris) e Joyce (Jane Curtin), vorrebbe farsi profondamente drammatica, in quanto, seppur in modo e per volontà differenti, rimasti soli, allontanati dalla collettiva, e come se non bastasse, perfino dall’amore dei familiari, perciò inascoltati e bisognosi di compagnia, anche attraverso il silenzio.
Jules infatti non proferisce verbo, osserva, esegue, ascolta e poco più. Quanto basta per permettere ai tre anziani di ritrovare la serenità, attraverso un’amichevole confessione che per via della sua natura sordo-muta, non prevede alcun giudizio, né commento, permetto una liberazione totale dai rimorsi, dai rincori e dai rimpianti, fino alla pacificazione degli animi.
Jules: valutazione e conclusione
Padre eastwoodiano sotto mentite spoglie, considerata la sua natura apparentemente docile, Milton, di quella pacificazione ne ha bisogno da tempo. Scandagliato dalla penna acutissima, dolente e ironica di Gavin Steckler e interpretato ancor più efficacemente da un sempre ottimo Ben Kingsley, il suo, è un personaggio che resta nel cuore degli spettatori, nonostante gli spigoli, nonostante la malinconia.
Marc Turtletub con Jules, giunge al suo film più bello, divertente e riflessivo, che pur restando in superficie senza virare mai verso il sensazionalistico e lo spettacolare, come d’altronde sempre, o quasi, accade nel cinema sci-fi, in ogni sua declinazione di genere e sottogenere, trova la propria misura in un passo dolente, senile ed estremamente dolce, che si riflette sullo strano trio, ritrovatosi improvvisamente con un compito tanto importante quanto folle tra le mani, ossia, salvare una vita, ritrovando un amore, prima per sé stessi e poi per gli altri.