Il primo giorno della mia vita – Recensione del film di Paolo Genovese

Un road movie dell'anima, tra Charles Dickens e Frank Capra.

Riflettendo sul cinema di Paolo Genovese e ancor più nello specifico sugli ultimi tre film del regista, sceneggiatore e scrittore romano, ci si ritrova dinanzi ad una considerazione inevitabile: Perfetti Sconosciuti sembra raccontare ciò che siamo, oltre la protezione dei nostri cellulari e al di là di qualsiasi identità sociale, politica, sessuale e non, The Place ciò che potremmo essere se posti nella condizione più – o al contrario –  meno opportuna possibile e a noi distante, Supereroi ciò che invece dovremmo essere, nonostante le incomprensioni emotive, i dubbi e i litigi d’amore. Giungendo infine a questo attesissimo Il primo giorno della mia vita, si ha la sensazione che voglia accogliere un po’ tutte le precedenti istanze tematiche e narrative del cinema di Genovese riflettendo dunque su ciò che saremmo se…

Quattordicesimo lungometraggio di carriera, Il primo giorno della mia vita – così com’era stato per Tutta colpa di Freud (2014) e Supereroi (2021) – nasce come materia letteraria. Ancora una volta romanzo omonimo scritto dallo stesso Genovese e pubblicato per Einaudi nel 2018.

Il primo giorno della mia vita – Dal romanzo al film, dall’America all’Italia

Il primo giorno della mia vita cinematographe.it

“Sono le persone a rendere il futuro imprevedibile e affascinante e lungo la vostra strada ce ne sono un sacco che vi aspettano”

Operando perciò una trasposizione cinematografica da suo romanzo, Genovese decide di prestare fedeltà e aderenza pressoché totali, fatta eccezione per alcuni momenti asciugati o del tutto rimossi e chiaramente per il cambio d’ambientazione, elemento che più di ogni altro ha subito variazione. Chi ha letto il romanzo inevitabilmente ne ricorderà l’ambientazione newyorkese, colma di un immaginario americano realmente vivido e variegato che spaziava dal cinema alla musica, tra Creedence Clearwater Revival, Bruce Springsteen, Frank Sinatra, repertorio Jazz dai numerosissimi brani, drive-in dal concreto sentimentalismo e via dicendo.

L’ambientazione cambia e così anche i protagonisti della vicenda – Napoleone (Valerio Mastandrea), Arianna (Margherita Buy), Emilia (Sara Serraiocco), Daniele (Gabriele Cristini) e l’Uomo senza nome (Toni Servillo) – che pur perdendo quella caratterizzazione tipicamente americana e in qualche modo figlia di un immaginario cinematografico che ben conosciamo a metà strada tra dramma, hardboiled e commedia familiare – e solo in qualche momento buddy movie –, ritrova la sua anima nell’italianità concreta, nostalgica e dolente della città di Roma, qui eternamente piovosa, plumbea, notturna e fantasmatica.

Il primo giorno della mia vita - Cinematographe.it

Laddove i piccoli cambiamenti sembrano condurre altrove, la narrazione di fondo resta la stessa, interessandosi al racconto di quattro individui estremamente differenti tra loro – qualcuno più grande, qualcuno più piccolo – che nella volontà ultima e disperata di perdere la vita ricorrendo al suicidio, creano inconsapevolmente un legame temporaneo, ritrovandosi uniti non tanto per la vita, quanto per la morte, a causa dell’incontro improvviso, straordinario e destabilizzante con l’Uomo senza nome (Toni Servillo), colui che frena quell’esigenza di morte permettendo ai quattro di darsi 7 giorni di tempo, durante i quali conosceranno il futuro delle loro vite, per poi tornare a quel fatidico momento, decidendo se compiere realmente quel gesto, oppure riabbracciare il desiderio di curiosità, casualità e vitalità, rifiutando la morte.

Il film così come il libro si divide dunque apparentemente in sette capitoli, ognuno dei quali rappresenta un passo verso la vita o uno verso la morte a seconda del personaggio considerato. Un modello di cinema corale, che dedicando spazio e tempo in egual modo a ciascun personaggio – il minutaggio è quasi lo stesso -, ne permette la più completa identificazione, simpatia, contrasto, comprensione e distanza da parte dello spettatore, dal più attento ed emotivo, al meno partecipe e disinteressato. Si rivela infatti estremamente arduo distaccarsi dal doloroso cammino di questi quattro individui che elaborando il male interiore e poi quello insito nella società non possono che condurre tutti a noi a profonde riflessioni sulla sincerità e attualità della tematica.

Il racconto e l’interpretazione della sofferenza emotiva – Margherita Buy e Valerio Mastandrea tra hardboiled e dramma

Il primo giorno della mia vita recensione cinematographe.it

C’è chi soffre perché ha perso una figlia, chi perché subisce derisioni e molestie a causa della propria fisicità, tanto dall’esterno, quanto dalla propria famiglia, c’è chi non accetta i propri insuccessi, temendo di trovarsi sempre sullo sfondo, e c’è anche chi sta male, pur non conoscendone affatto la ragione. Paolo Genovese che dirige e scrive il film insieme a Paolo Costella, Rolando Ravello e Isabella Aguilar, riflette sul tema della depressione, mostrando attraverso l’occhio della cinepresa e il mezzo cinema le numerosissime e molteplici prospettive sulla realtà dei disturbi mentali, della sofferenza emotiva e delle cause che possono condurre ciascun individuo apparentemente realizzato, felice e in pace con sé stesso e con il mondo, al desiderio della morte, come ultimissima – e unica – prospettiva di sollievo, capace di alleviare una volta per tutte dolori, pensieri e timori talmente enormi da sovrastare la voglia di vivere e di essere.

“A me non è successo un bel niente. Sto male e non so il perchè, la verità è che io vi invidio, almeno voi sapete con chi prendervela”

Le interpretazioni così differenti e distanti tra loro, si incontrano e scontrano producendo commistioni, vibrazioni, atmosfere e sensazioni di grandissimo impatto emotivo. Basti pensare alla glaciale, malinconica, disperata, ma tutto sommato dolce Arianna di Margherita Buy, che più che dal dramma, sembra fuoriuscita da un cinema hardboiled duro e puro, piovoso, notturno, disincantato e feroce, elaborato da Genovese attraverso la lente della dolcezza e della bontà dell’animo che pur ferito, non smette di ritrovarsi e riscaldarsi.

Oppure alla prova ancora una volta dolente, rassegnata e in sottrazione di Valerio Mastandrea, che appena dopo l’oscurità misteriosa, drammatica e nerissima del suo sconosciuto senza nome in The Place, torna a ricoprire i panni di un uomo che per professione esaudisce i desideri della gente. Laddove finiva per distruggere più vite, qui fa a pezzi soltanto la propria. Napoleone infatti conosce una sola certezza, quella di non voler più vivere, a causa di un male senza nome, forte a tal punto da non fargli apparire alcuna reale motivazione o ragione e conducendolo sempre più rapidamente al vuoto, al nero, dunque alla fine.

Quella stessa fine nella quale ben presto finisce per ritrovarsi l’Uomo senza nome interpretato notevolmente – c’è bisogno di dirlo? – da Toni Servillo, un fantasma del natale passato che permettendo di osservare il futuro, vorrebbe convincere questa volta i suoi Scrooge, non tanto a non odiare il natale, piuttosto a non odiare la vita, ritrovando la speranza e la nostalgia nei confronti delle persone, dell’amore e più in generale dell’esperienza terrena.

Un road movie dell’anima tra Charles Dickens e Frank Capra – Illuminare la felicità nel buio

Il primo giorno della mia vita - Cinematographe.it

“Io non posso garantirvi che sarete felici. Un giorno sarete la lucina accesa, un giorno quella spenta, l’unica cosa davvero importante è che abbiate nostalgia della felicità. Solo così vi verrà voglia di cercarla”

Il primo giorno della mia vita è perciò una sorta di intimo e doloroso road movie interiore che rilegge in chiave dickensiana la parabola dell’incontro tra alcuni individui che hanno perso la fede nei confronti della bellezza della vita, ed un fantasma capace di mostrargliela, illuminando loro – letteralmente – la felicità di un’intera città nel buio di un’altura, mostrandone perciò i cambiamenti istantanei, la scomparsa e poi la rinascita di essa appena pochi attimi dopo essersi spenta, sparendo nel buio della notte.

Un quattordicesimo film che raccogliendo i precedenti, pur discostandosene, favorendo una maggior ricerca drammatica e adulta, colpisce nel segno, pur risultando imperfetto qua e là, vuoi per toni di scrittura che talvolta risentono di un immaginario americano estraneo a quello italiano, oppure semplicemente per via di questioni legate all’alchimia interpretativa assai complessa da costruire e alimentare.

Una riflessione senz’altro sincera e d’impatto sulle sofferenze dell’anima, quelle invisibili, perciò spaventose, apparentemente elaborate da Genovese tra Il Canto di Natale di Charles Dickes, e l’indimenticabile La vita è meravigliosa di Frank Capra, scuotendo ferocemente – ma sensibilmente – l’emotività di ogni spettatore.

Il film è nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 26 gennaio 2023 con Medusa Film, prodotto da Lotus Production in associazione con Medusa Film, prodotto da Raffaella Leone e Andrea Leone.