Venezia 79 – Il signore delle formiche: recensione del film di Gianni Amelio

Un film da vedere assecondando le sfumature di ogni sua anima. Un'opera che sa crocifiggere il dramma con l'ironia, l'ipocrisia con la cultura, l'odio con l'amore. Il signore delle formiche è al cinema dall'8 settembre 2022.

Gli esperti di mirmecologia sanno che gli operosi insetti che troviamo ovunque hanno due stomaci, uno per sé e l’altro destinato alla condivisione col resto della colonia (chiamato per questo “stomaco sociale”). Il Signore delle formiche, il film di Gianni Amelio in Concorso alla 79ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha questa stessa filosofia intessuta sottopelle poiché è exploit artistico del suo autore e insegnamento civile al contempo. È poesia d’amore in grado di sussurrare ira tra le trame ingombranti di una società bigotta, che è specchio degli anni ’60 italiani, che è specchio di ogni restrizione culturale, che è risultante di un Paese che in fondo non è mai andato davvero avanti, restando profondamente “retrivo, meschino, criminale”.

Il signore delle formiche: la storia di Aldo Braibanti per mettere in luce il lato più retrivo dell’Italia

il signore delle formiche recensione Ph. Claudio Iannone cinematographe.it
Il signore delle formiche, Ph. Claudio Iannone

Usando come canovaccio il caso giudiziario che negli Sessanta mise al centro dell’attenzione l’intellettuale Aldo Braibanti, accusato di plagio per aver sottomesso alla sua volontà un giovane appena maggiorenne, Gianni Amelio ci attrae nel caleidoscopio della sua macchina da presa, catapultandoci nei bucolici paesaggi emiliani, strattonandoci nelle aule dei tribunali, tra le piazze romane, le proteste dei giovani e le altisonanti sentenze dei vecchi, così intrise di cattiveria da provocar ribrezzo.

Il regista calabrese, che si è occupato anche della sceneggiatura insieme a Edoardo Petti e Federico Fava, delinea i contorni di una storia – probabilmente insabbiata dalla corta memoria contemporanea – con quella delicatezza sottile di chi entra nella vita di un altro; col distacco necessario di chi narra senza giudicare e con l’educazione di chi romanza senza eccedere in fronzoli, creando schegge di uno stesso quadro che sfavillano ai lati opposti di un medesimo spazio per gridare la propria idea. E in ogni pensiero che emerge sullo schermo, in ogni sguardo, si ingabbia un pezzo d’Italia che possiamo a nostro modo conoscere, toccare, amare o odiare.
Su tutti, però, ci si appiccica addosso quel senso di oppressione, di malessere societario, di obbligo a essere “normali”, di persecuzione fisica e mediatica che infilza i corpi e le menti di chi la subisce.
L’incipit dell’opera basta a sintetizzare quel senso di restrizione, quel fornicare dentro il buco della serratura per godere della pena altrui, quell’invasione di campo nella vita privata di due amanti, di colpo denudati di dignità, strappati l’uno dall’altro in nome di un Dio svuotato di significato, di una moralità solo apparente.

La perfezione chirurgica di Luigi Lo Cascio, irreplicabile senza il talento del resto del cast

Amelio viaggia nel tempo e nei ricordi cucendo brandelli di trama con flashback che congiungono passato e presente, dialetti e persone, ambientazioni differenti. Se Roma sembra apparentemente la meta perfetta per fuggire dalle dicerie di un piccolo paese della provincia piacentina, la stessa Capitale diventa altresì il teatro della sua condanna: il luogo in cui va in scena lo scempio di un intellettuale accusato di un reato oggi inesistente, condannato solo perché omosessuale.
Luigi Lo Cascio entra con vigore, passione e coraggio dentro la pelle di Aldo Braibanti: la sua interpretazione ci restituisce un ritratto tridimensionale del drammaturgo, del poeta, del partigiano antifascista; il suo carattere così tagliente ci entra dentro le carni per iniettarci la supremazia e il fascino della cultura, ma anche quella nota scontrosa di chi non vuole essere né mostro né martire, accettandosi per ciò che è: un essere umano fatto di pregi e difetti, come tutti, che però ama gli uomini e non le donne. E che male c’è?

Lo Cascio esercita rispetto o repulsione, mai pena. Il suo personaggio resta con la schiena dritta anche sotto i colpi delle accuse, impenetrabile da dietro i suoi occhiali spessi, conscio del fatto che per certi attori sociali non c’è colpa ma obbligo di rispettare gli ordini.

Il signore delle formiche: Elio Germano è una certezza, Leonardo Maltese una sorpresa!

Se la ragnatela tessuta da Gianni Amelio ci dirotta fin dal titolo verso Braibanti è chiaro fin dal principio che il suo profilo non potrebbe essere definito appieno senza l’ausilio di altri interpreti. Elio Germano spicca per talento e fama: è la penna affilata che difende, la ferocia di chi non si arrende, l’amico involontario e fugace di cui ognuno necessita. Con la macchina da scrivere sottobraccio, il taccuino in mano, il cappello a dare quel noto da intellettuale squattrinato e schivo, incarna Ennio (giornalista dell’Unità, lo storico quotidiano del Partito Comunista Italiano fondato da Antonio Gramsci): uno spaccato di quell’Italia tendenzialmente comunista, un luccichio di ribellione che cerca di trainare l’intera pellicola verso il lume della ragione. Il suo è lo sguardo lucido di chi sa leggere tra le righe dell’oscurantismo del Bel Paese, cercando di opporsi con intelligenza, talvolta con l’illusione di incorrere nel cambiamento.

Completano il cast una Sara Serraiocco sempre più matura artisticamente, che con la sua Graziella anima domande e guida ribellioni: è la voce del popolo, di chi candidamente non comprende e si domanda “perché?” mentre si dà da fare. Ma la sorpresa di questo film è Leonardo Maltese, che esordisce sul grande schermo in un ruolo carico di tenerezza, regalando uno sguardo puro e disincantato nei confronti del mondo che lo circonda e del rapporto che stringe nei confronti di Aldo. La fascinazione che l’intellettuale esercita sul giovane oltrepassa la quarta parete cinematografica per inondare il pubblico con onestà. Arriva poi, come una folata di vento estivo, quell’anelito d’amore puro che è attenzione, interesse non prettamente sessuale ma profondamente umano.

C’è davvero colpa nell’amore?

La fotografia di Luan Amelio Ujkaj evoca, grazie all’amalgama perfetta di colori terrei e cupi, alternati con immagini di fulgida fattezza, tutto il deserto che scompiglia i pensieri dei protagonisti. E l’occhio meccanico della cinepresa si posa, come una farfalla, sull’orlo dell’abisso che si fa largo nello sguardo di ogni componente della vicenda, nelle loro spalle voltate, inconsapevoli dell’amore, nello sfarzo forsennato di chi assapora la libertà d’essere, ma limitatamente nella quattro mura di una villa.
Il signore delle formiche ritrae il Bel Paese passando per il corridoio stretto di un rapporto omosessuale e in esso incastra la vergogna, il disprezzo, il trattamento che viene riservato a chi ha quel “demonio” nella testa. L’elettroshock che subisce Ettore è la barbarie necessaria a epurarlo da ogni male e a ferire non è tanto né solo quella scena in cui si contorce inerme, quanto la convinzione della madre che quel gesto sia amore. È anche lì allora che emerge la spaccatura che dissocia l’intelligenza dall’ignoranza: il concetto di bene viene filtrato senza forzature, arrivando allo spettatore come una carezza e con estrema naturalezza. Qual’è la colpa e chi sarebbero i colpevoli? In un Paese normale non ci sarebbe colpa ma, Braibanti questo lo sa, per quanto il popolo italiano degli anni ’60 si stia già avviando verso il cambiamento, la burocrazia resta immobile nelle sue formule, bloccata in un congegno mortale che a tratti fatica a sbloccarsi ancora adesso.

L’opera di Gianni Amelio, come un’automobile, attraversa spedita l’autostrada del dramma, ma non dimentica di intrufolarsi in stradine di campagna provviste di dolcezza, in anfratti di genuina ilarità, siparietti che strappano una sincera risata amara capace di ribaltarsi in riflessioni su noi stessi e sulla nostra società. Così facendo l’autore omaggia l’intellettuale emiliano ma accusa democraticamente ogni inutile bigottismo, ogni forma di violenza psicologica, fisica e verbale.
Il signore delle formiche trasporta, una briciola per volta, l’amore verso l’amore, scindendo l’attrazione sentimentalmente e intellettualmente e innescando la molla della curiosità verso ciò che siamo stati, siamo e saremo. Non giudica, non eccede, semplicemente racconta, istruisce. E lo fa egregiamente!

Presentato in Concorso alla 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film è in uscita nelle sale italiane dall’8 settembre 2022 con 01 Distribution.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 3
Emozione - 5

4.2