Amistad: recensione del film di Steven Spielberg

Amistad è il dramma sulla liberazione degli schiavi diretto da Steven Spielberg e con protagonisti Anthony Hopkins, Matthew McConaughey e Morgan Freeman

Ad Hollywood piacciono le storie a lieto fine, storie in cui il sogno americano è vivo e viene rinsaldato con commoventi atti eroici. Questo è Amistad, il dramma diretto da Steven Speilberg e molto liberamente ispirato agli eventi accaduti a bordo della nave spagnola omonima, in cui un gruppo di schiavi riesce a prendere il controllo della nave. La nave Amistad finisce sulle coste americane dando origine ad una battaglia legale internazionale in cui gli schiavi si oppongono alla corona spagnola e a due marinai che cercano di provare di averli acquistati a Cuba.

Amistad

Gli uomini della tribù Mende non parlano una parola d’inglese ma il loro caso attira l’attenzione di due abolizionisti, il signor Joadson (Morgan Freeman) e il signor Tappan (Stellan Skarsgård) che decidono di assumere Roger Baldwin per difenderli in tribunale (Matthew McConaughey). Nel frattempo, la regina di Spagna, Isabella II (Anna Paquin) scrive al Presidente Van Buren (Nigel Hawthorne) per reclamare la proprietà degli schiavi. Inoltre due marinai portoghesi reclamano anche loro la proprietà degli schiavi, fornendo alla corte un documento che attesta l’acquisto a Cuba.

Inizialmente, gli schiavi rappresentati da Cinqué (Djimon Hounsou) riescono a provare al tribunale di essere nati in una colonia africana britannica in cui lo schiavismo è stato abolito. Tuttavia, il Presidente americano sotto la pressione di un’imminente guerra civile, decide di rimandare il giudizio alla Corte Suprema. Grazie all’aiuto del traduttore James Covey (Chiwetel Ejiofor), Cinqué racconta una storia terrificante di violenza e abbrutimento. Questo e l’intervento dell’ex Presidente John Quincy Adams (interpretato da un accattivante Anthony Hopkins) bastano a convincere la Corte Suprema a liberare gli schiavi e dargli l’opportunità di tornare a casa.

Amistad: una pellicola in cui gli antieroe sono solo stranieri

Stupisce che in una pellicola come Amistad, gli anti-eroi siano praticamente solo stranieri. Portoghesi sono i marinai che cercano invano di reclamare la proprietà degli schiavi e spagnola è la regina che rimarca l’utilità dello schiavismo. In mezzo, c’è solo un Presidente spaventato dalla guerra civile – che per altro accadrà venti anni più tardi – e dalla possibilità di perdere le nuove elezioni. Storicamente parlando, nel 1800 gli Stati Uniti erano sì contro l’importazione degli schiavi dall’Africa ma promuovevano ancora lo schiavismo dentro i loro confini. Nella pellicola, invece, traspare poco di tutto ciò: gli Americani vengono dipinti già come un popolo giusto e moderno che accetta la libertà dei neri e anzi la sfoggia come fosse la pietra più bella della sua corona. Se Schindler’s List era un omaggio all’Olocausto e ai suoi superstiti, in Amistad Spielberg non è riuscito fare lo stesso con la tragedia che solo nel 1840 e solo negli Stati Uniti ha privato dei diritti umani fondamentali ben 2 milioni e mezzo di neri.

Questo perché quasi tutti i personaggi mancano di spessore e quasi tutti i grandi nomi del cast sembrano sprecati. Matthew McConaughey fa il meglio che può ma è palese che non abbia un personaggio approfondito abbastanza da poter fare suo; Morgan Freeman ha sempre un’aria solenne e recita le sue battute senza moderne. Anche Anna Paquin, Nigel Hawthorne e Stellan Skarsgård danno la sensazione di essere poco sfruttati e di stare sulla scena più per far piacere al pubblico che per dare spessore al personaggio.

Fuori dal gruppo rimangono i due veri protagonisti: Djimon Hounsou e Anthony Hopkins. È proprio Hounsou a dimostrare che il problema non sono gli attori ma la sceneggiatura: nella prima parte, è furente, con gli occhi iniettati di sangue mentre nella seconda, racconta la storia della sua traversata dalla Sierra Leone, passando per Cuba fino in America. È una storia violenta e orribile eppure troppo rappresentativa e mai specifica tanto da risultare sterile quanto un documentario. Anthony Hopkins gli ruba la scena finale con un monologo filosofico sull’importanza dell’abolizione della schiavitù. Oratore nato, Hopkins è accattivante e fa dimenticare i difetti visti nelle due ore precedenti.

Ed è proprio il personaggio interpretato da Hopkins a rivelare ad un disperato Morgan Freeman il segreto per accattivarsi la giuria e vincere il processo: non vince chi ha più ragione ma chi racconta la storia migliore. Se anche Spielberg avesse ascoltato questo consiglio, forse la pellicola non sarebbe così sterile.

Amistad

A parte Cinqué, gli schiavi rimangono per tutto il film un ammasso di comparse sullo sfondo: non conosciamo le loro storie se non brevemente attraverso il breve monologo di Cinqué. Pur vedendo la violenza sopportata dagli schiavi, è impossibile entrare in sintonia con loro perché non gli viene mai data la possibilità di mostrare la propria personalità e di raccontare la propria storia.

In Amistad non mancano alcune inaccuratezze storiche

A questo si aggiungono anche le inaccuratezze storiche: è davvero inverosimile che la guerra civile fosse già sulla bocca di tutti vent’anni prima del suo scoppio ed è del tutto falso che il Presidente abbia fatto campagna elettorale poiché questa pratica non era in uso all’epoca. Inoltre, contrariamente a quanto alluso, la sentenza originale non garantiva il rimpatrio per gli schiavi poiché, agli occhi della legge americana, quegli uomini erano arrivati in America come uomini liberi e quindi non potevano essere rimpatriati.

Tutto sommato, Amistad ha l’obiettivo di rincuorare e mettere in pace l’anima di un popolo con la coscienza sporca, che preferisce una verità edulcorata in cui risplende come paladino di ogni diritto. È forse proprio per questo che in Schindler’s List, dove gli Americani sono già dalla parte dei giusti, che Spielberg riesce a dare alle vittime dell’Olocausto una degna trasposizione sul grande schermo.

Testo di Jennifer Traini

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Emozione - 3

3.2