Saint X – recensione della serie Disney+ di Leila Gerstein

La recensione di Saint X, adattamento seriale esclusiva Disney+ dell'omonimo romanzo di Alexis Schaitkin, a cura di Gerstein, Carey e Bonzie

Caraibi, lotta di classe, resort di lusso, sessualità e racconto familiare disfunzionale. Quella che in un primo momento potrebbe apparire come la descrizione certamente superficiale e concisa di quel gioiello che è The White Lotus di Mike White, in realtà appartiene in questo caso ad un altro prodotto seriale, Saint X, ideato da Leila Gerstein, Alycia Debnam-Carey e Josh Bonzie, disponibile sul catalogo Disney+ a partire da mercoledì 7 giugno 2023.

Chi ha ucciso Alison Thomas?

Saint X - Cinematographe.it

Così come I segreti di Twin Peaks, capolavoro seriale – e cinematografico – di David Lynch a cavallo tra il 1990 e il 2017 poggia sull’iconico interrogativo Chi ha ucciso Laura Palmer? indagando a fondo morbosità, ossessioni, perversioni e incubi della piccola comunità montana dello stato di Washington improvvisamente risvegliata dal brutale omicidio della giovane, bella e dannata Laura Palmer (Sheryl Lee), anche Saint X sembra voler strutturare la propria narrazione in questo modo e tutto ha inizio con la medesima domanda, seppur variando il nome della vittima: Chi ha ucciso Alison Thomas?

Prevedibilmente non soltanto l’interrogativo iniziale, nonché eco di fondo incessantemente presente nell’arco dell’intera serie non riesce a raggiungere mai realmente quell’intensità e curiosità necessarie a proseguire di episodio in episodio, ma si perde ben presto tra le fila di numerose sottotrame di un prodotto seriale incredibilmente confuso e indeciso sulla propria natura e genere d’appartenenza.

I modelli d’ispirazione sono chiari ed esplicitati fin da subito. Ogni inquadratura o personaggio infatti è lì per richiamare le atmosfere di The White Lotus, del cinema erotico di Adrian Lyne – su tutti, L’amore infedele – e della narrativa di Joel Dicker, romanziere svizzero esploso recentemente in seguito alla trasposizione seriale di La verità sul caso Harry Quebert, che alla stregua di Saint X ricostruisce uno spaccato di venti e più anni ragionando sulla disperazione e in qualche modo perfino dannazione giovanile, inevitabilmente legate alla morte e alla sessualità.

Laddove però Mike White e Joel Dicker si rivelano abili a costruire una evidentissima personalità autoriale, tra critica sociale e politica nel caso del primo, e costruzione di giallo letterario metaforico e intellettuale del secondo, Leila Gerstein, Alycia Debnam-Carey e Josh Bonzie, gli autori di Saint X si perdono, nell’ingenuo tentativo di eccedere con le trame e sottotrame, tradendo l’omonimo romanzo d’origine di Alexis Schaitkin pur di dar vita ad un mix inutilmente vario di toni, narrazioni, morali ed estetiche destinate quasi immediatamente a confondersi l’una con l’altra, fino a sparire e sgonfiarsi definitivamente.

Se infatti la prima parte di Saint X non tradisce alcun sospetto di derivazione thriller, forte di una pacchianeria e di un gusto kitsch necessari alla costruzione di un’umanità e panorama borghese assolutamente derisorio se non addirittura parodistico, la seconda si fa via via più cupa e disperata, tanto da apparire un prodotto a sé, non più centrato sulla sparizione e l’indagine, bensì sulla malattia mentale, il disturbo post traumatico da stress e i traumi scaturiti dalla scoperta identitaria di ciascun individuo.

Certamente è corretto raccontare Saint X come una serie sull’indagine privata di una giovane donna, Emily (Alycia Debnam-Carey) ossessionata dall’inspiegabile e tragica morte della sorella Alison, eppure molto presto diviene evidente quanto ai suoi creatori poco interessi la questione più specificatamente thriller e cupa della serie.

Questo perché ai suoi ideatori, la soluzione dell’omicidio poco importa, e l’attenzione è centrata sulla narrazione da vero e proprio coming of age d’esplorazione erotica e identitaria. Due tracce che se osservate e indagate con maggior profondità e maturità avrebbero potuto cogliere senz’altro l’interesse dello spettatore, eppure Saint X manca di coraggio e non vi è alcun reale desiderio di analizzare a fondo la coscienza sessuale e psicologica dei numerosi personaggi in essa contenuti.

Non l’omicidio, piuttosto la morbosità dello sguardo, la pacchianeria e superficialità del gossip attirano lo spettatore conducendolo alla prosecuzione della serie. Dunque l’interrogativo introduttivo può tranquillamente svanire e tutto ciò che ci interessa, se ci interessa è: Chi è chi, o chi è cosa?

Famiglia e sessualità disfunzionale, attrazione fatale e catarsi silenziosa

Saint X - Cinematographe.it

Seppur Leila Gerstein, Alycia Debnam-Carey e Josh Bonzie abbiano guardato appassionatamente al cinema di Adrian Lyne nel tentativo di lavorare su quelle atmosfere erotiche assolutamente perturbanti, pericolose e realmente degne di costruzione drammaturgica destinata ad inevitabile trasformazione, dunque catarsi, niente si è rivelato sufficiente.

Non soltanto il fatto che di Lyne si intraveda qualche omaggio – scarso di utilità e interesse – e poco più, ma anche e soprattutto la mancanza di coraggio e la timidezza nei confronti di quella traccia narrativa destinata all’esplorazione sessuale e identitaria dei personaggi contribuisce a sgonfiare quasi immediatamente la curiosità di quella sfera inizialmente – e lontanamente – erotica che risveglia lo spettatore dopo la consapevolezza del thriller sotterraneo, se non del tutto inesistente.

Il male è nella famiglia? Un interrogativo che da sempre ritroviamo nel cinema di Gabriele Muccino, e che abbiamo ritrovato in seguito tanto in The White Lotus, quanto nel caso letterario di Joel Dicker, La verità sul caso Harry Quebert, e se è vero che il male nasce nella famiglia, è altrettanto vero che la disfunzionalità non sempre ne è la causa, né tantomeno è vero che debba essere incessantemente presente.

Saint X grida di episodio in episodio caos, distruzione e disfunzionalità, eppure niente di ciò che vediamo, oppure molto poco sembra poter giustificare tale denuncia narrativa o critica sociale, piuttosto ingenuità. La lezione di Mike White non soltanto non è stata assimilata, ma anche osservata e replicata con distacco, come a volerla svestire della propria natura, costringendola a vestirne un’altra totalmente differente e molto poco adatta a sopravvivere sullo schermo.

Saint X: conclusione e valutazioni

Svanito il thriller, non resta dunque che interessarsi alle numerose sottotrame, e se considerato abbastanza, allora non possiamo far altro che fare un grande plauso agli ideatori di Saint X, veri e propri accalappiatori di pubblico, millantatori di un genere definitivamente non nelle loro corde ed infine fautori – volontari oppure no – di quel classico guilty pleasure che non a tutti, ma a molti permette di staccare dalla noiosa routine quotidiana, perdendosi per qualche ora tra intrecci superficiali e ingenui, anche se tuttavia divertenti e d’intrattenimento buffo.

Non è una colpa dedicarsi al binge watching di Saint X, non del tutto almeno.

Saint X è disponibile sul catalogo Disney+ a partire da mercoledì 7 giugno 2023.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5