Baby Gang: recensione del film di Stefano Calvagna

La recensione di Baby Gang, film che mostra in rassegna, le malefatte che affliggono il suburbano romano negli occhi di chi vuol crescere troppo presto.

In un’Italia negli anni sempre più dilaniata dal fenomeno delle baby gang e della prostituzione minorile, terreno florido per la cinematografia nazionale viste le recenti produzioni come la serie Netflix Baby (2018 – in corso) e il film La Paranza Dei Bambini (2019); Stefano Calvagna – regista tra gli altri di Senza Paura (1999), L’Ultimo Ultras (2009) e Cronaca di un Assurdo Normale (2012) mette in scena con Baby Gang (2019), gli orrori e le malefatte del mondo criminale suburbano romano attraverso gli occhi dell’innocenza perduta, quelli di cinque ragazzi che iniziano a delinquere con l’obiettivo di guadagnare sempre più soldi facili in un gioco da adulti.

La particolarità di Baby Gang è, sin dai titoli di testa, un’importante premessa autoriale legata alla visione del cinema di Pier Paolo Pasolini. Calvagna infatti, con Baby Gang, sceglie la via del Neorealismo Pasoliniano di Accattone (1961) e Mamma Roma (1962) e del dialetto come lingua parlata per mostrare, senza filtri, una realtà lesa dal dolore e dalla disperazione, ma non necessariamente la verità. Per Pasolini infatti, il dialetto è in termini neorealistici la lingua che meglio trasmette l’esistenza di vite difficili e disperate in un susseguirsi di momenti tristi, felici e violenti, e che sfociano in destini senza alcuna via d’uscita.

Baby Gang: un “cinema intenzionale” dallo script episodico

Baby Gang cinematographe.it

In Baby Gang il chiaro intento Pasoliniano di mostrare una realtà senza filtri è dettato, come detto poc’anzi, dalla scelta dell’uso del dialetto che ben riesce a trasporre il disagio e la sofferenza dei bassifondi romani. Un disagio declinato in uno script abbastanza insolito nella struttura e nella resa per il cinema di genere, ma che ben si adatta all’idea di un Neorealismo cinematografico e al concetto di cinema-verità del 2019. Lo script di Baby Gang infatti, a detta dello stesso Calvagna, ruota attorno a una storyline che non presenta elementi dialogici di alcun tipo, nessuna linea di dialogo ma semplicemente intenzioni dell’attore in un dato contesto. Il tutto ampliato e potenziato da un andamento narrativo dettato non tanto da una suddivisione in scene, piuttosto da scelte scaturite dal regista giorno per giorno, che valorizzano così la spontaneità degli interpreti – tutti ragazzi presi dalla strada e alla prima esperienza assoluta – sottolineata da una regia veloce, spesso camera alla mano, e da una fotografia asciutta e scarna da ambiente urbano.

Ne consegue però, che il quadro critico che emerge da una pellicola come Baby Gang, dallo script simile, sia quello di un andamento involontariamente episodico e documentaristico. Una rassegna di eventi – dallo spaccio alla prostituzione passando per la rapina – che hanno come unico comune denominatore la ricerca di sempre maggiori profitti in un ambiente narrativo squallido dove i personaggi in scena non hanno alcun modo di evolversi. Nessuno dei membri della gang infatti subisce un arco di trasformazione, sono piatti, statici e restano nel proprio stato psico-emotivo, dall’inizio alla fine della pellicola – rievocando per certi aspetti l’idea di cinema sperimentale delle ultime pellicole di Terrence Malick, e dello squinternato Knight Of Cups (2015) la cui assenza di script impedì ai personaggi in scena di crescere e trasformarsi nel proprio ambiente narrativo.

Baby Gang: forte senso d’appartenenza per vite senza via d’uscita

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Baby Gang, anche per via della tematica trattata, ricalca l’idea di cinema alla base de La Paranza Dei Bambini (2019) senza però quel forte messaggio che scaturiva dalla visione del film diretto da Claudio Giovannesi – quel mostrarci un gruppo di ragazzi, una gang, che forte del proprio spirito d’appartenenza, sceglie deliberatamente l’uso della forza e della violenza per provare a far del bene e cambiare le cose nel Rione Sanità – tuttavia fallendo.

In Baby Gang invece, Calvagna sceglie una visione più pessimistica, non c’è infatti alcuna speranza di redenzione alla fine del percorso di Giorgio (interpretato da Daniele Lelli), Marco (interpretato da Raffaele Sola) e del resto della Gang. In Baby Gang non c’è alcuna specifica volontà di cambiare le cose nel proprio ambiente se non quella di ottenere sempre maggior denaro per acquistare cellulari costosi e modelli d’orologio all’ultima moda – non c’è alcun fine “alto” se non la ricerca di un proprio, egoistico, ed edonistico, piacere personale.

Baby Gang cinematographe.it

Baby Gang, tra il Neorealismo Pasolinano e la filmografia di Claudio Caligari (Amore Tossico, L’Odore Della Notte, Non Essere Cattivo) parte da importanti premesse autoriali che vengono meno in una realizzazione sperimentale in totale assenza di script a cui Calvagna fa fronte attingendo a piene mani dalle estetiche del cinema di genere. Baby Gang diventa così una rassegna in forma involontariamente documentaristica, di tanti episodi criminosi dove i protagonisti incedono progressivamente tra spaccio, risse, missioni punitive, clonazioni di carte, rapine e racket di prostituzione – negli atti violenti di chi vuol crescere troppo presto, in un contesto atroce d’amicizia virile.

Baby Gang è al cinema dal 17 Luglio 2019 distribuito da Lake Film.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 1.5
Emozione - 2.5

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