Marco Bellocchio in 6 film: i migliori del regista

Il nuovo film del regista, Rapito, sarà distribuito in sala a partire dal 25 maggio

Per un’opera critica nei confronti delle mendaci convinzioni della piccola e media borghesia italiana i film di Marco Bellocchio, dalla metà degli anni ’60, si scagliano con vigore e meticolosità espressiva contro la fallacia di un impianto confinato all’interno della propria istituzionalizzazione. Chiesa, famiglia, politica, sistema giuridico, tematiche pericolose, divisive, prese tutte di petto, coraggiosamente spogliate della loro ipocrisia e messe a nudo davanti una società ad esse assoggettata. Partito con I pugni in tasca (1965), passato per il grande successo di un’opera ibrida e a metà tra il televisivo e il cinematografico, come Esterno notte, ed arrivato, quest’anno, a Rapito, il cinema del regista nato a Piacenza nel 1939 ha attraversato gli ultimi 58 anni di storia del nostro paese, raccontandolo in maniera spietata e cercando di mantenere alto il livello dell’arte cinematografica italiana, in decenni di profonda crisi.
Andiamo adesso a riscoprire quali sono i migliori film dell’autore partendo dalla sua ultima fatica, che parte da un fatto di cronaca capace di sconvolgere l’intera nazione, e non solo, a metà del XX secolo.

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1. Rapito

Rapito cinematographe.it

Fresco del David di Donatello alla miglior regia per Esterno notte, Bellocchio non perde tempo e torna al cinema con Rapito, l’ultima pellicola da lui diretta e scritta assieme a Susanna Nicchiarelli, Edoardo Albinati e Daniela Ceselli. Presentato al 76º Festival di Cannes, il film è liberamente ispirato al libro di Daniele Scalise, Il caso Mortara, e racconta appunto del caso che sconvolse l’Italia a metà ‘800 e su cui si concentrò l’attenzione di tutta Europa, e non solo: Edgardo Mortara, giovanissimo ragazzo ebreo nativo di Bologna, nel 1858, all’età di 7 anni, fu rapito dai soldati dello Stato Pontificio per essere educato alla fede cattolica, scatenando la conseguente battaglia dei genitori per poterlo riabbracciare. Ancora una volta la famiglia, ancora una volta la politica, la religione, un trittico vorticoso che da sempre anima l’opera del regista mantenendola viva. Il lungometraggio vanta, inoltre, la partecipazione di Barbara Ronchi (Settembre), Fausto Russo Alesi (Esterno notte), Fabrizio Gifuni (Esterno notte), Filippo Timi (Le otto montagne) e Paolo Pierobon (La caccia).

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2. I pugni in tasca è il film d’esordio di Marco Bellocchio

I pugni in tasca film di Marco Bellocchio cinematographe.it

L’opera prima di Marco Bellocchio è straordinaria e dà subito la cifra di un autore fuori dal comune, già a 26 anni. L’anticonformismo e la critica verso le istituzioni si manifestano immediatamente all’interno di questa pellicola che affronta la difficile realtà della famiglia borghese del tempo, a pochi anni dai moti sessantottini. Il racconto in bianco e nero non necessita di altro che della sfrontatezza del suo autore che descrive questi 4 fratelli, la madre cieca e vedova, e la condanna epilettica che colpisce l’intera famiglia, con particolare attenzione verso il protagonista Alessandro (Lou Castel) e verso le sue particolari e distruttive fantasie. L’opera ha vinto sia il Nastro d’argento per il Miglior soggetto e la Vela d’argento per la miglior regia al Festival di Locarno.

3. La condanna

La condanna cinematographe.it

Nel 1991, con La condanna, il talentuoso regista si esprime ancora in maniera audace, affrontando il tema dello stupro e originando diverse critiche, provenienti soprattutto dalla stampa. Servendosi della consulenza dello psicanalista Massimo Fagioli, il regista colpisce ancora una volta nel segno e attrae il pubblico grazie ad una controverso e lancinante dubbio che, nel raccontare il rapporto tra una studentessa (Claire Nebout) e uno sconosciuto (Vittorio Mezzogiorno), contrappone la violenza alla consensualità. Il film ottenne quello stesso anno l’Orso d’Argento, gran premio della Giuria, al Festival di Berlino.

4. Buongiorno, notte è il primo film di Marco Bellocchio sul rapimento Moro

Buongiorno, notte film di Marco Bellocchio cinematographe.it

Ispirato al romanzo, Il prigioniero, scritto dall’ex brigatista, Anna Laura Braghetti, Buongiorno, notte (titolo a sua volta tratto dalla poesia di Emily Dickinson, Good morning, midnight) è la prima pellicola in cui Marco Bellocchio ricostruisce la vicenda del rapimento Moro. A differenza dell’opera presentata lo scorso anno, in cui i punti di vista variano, dando una visione a tutto tondo dell’accaduto, qua il regista si sofferma sullo sguardo di Chiara (Maya Sansa), brigatista che fa i conti con i propri sensi di colpa per l’intera durata del film. Prodotto da Rai Cinema in collaborazione con Sky Italia, il film ha ottenuto il David di Donatello come Miglior attore non protagonista per Roberto Herlitzka, interprete dello stesso Aldo Moro, poi ripetutosi ai Nastri d’argento, e il doppio riconoscimento anche per Maya Sansa (Globo d’oro e Ciak d’oro).

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5. L’ora di religione

L'ora di religione cinematographe.it

Risale all’anno precedente, il 2002, L’ora di religione, altra tappa fondamentale per il percorso del cineasta. Un’altra storia familiare che vede protagonista Sergio Castellitto, pittore ateo trovatosi a dover fare i conti con l’imminente beatificazione della madre. L’opera è l’occasione per Bellocchio per affrontare nuovamente quelle tematiche che trasudano dalla sua esperienza, sia privata che cinematografica: l’ateismo è riflesso del suo credo, un’invettiva contro una religiosità malata, e ad esso si accostano il tema della pazzia e quello della difficile realtà del nucleo familiare, specchio microcosmico della società. Con 4 Nastri d’argento1 David di Donatello a Piera degli Esposti, 5 Ciak d’oro, 2 Globi d’oro e 1 Oscar europeo a Castellitto, è una delle pellicole di maggior successo del regista piacentino.

6. Vincere

Vincere cinematographe.it

Il primo David di Donatello di Marco Bellocchio per la Miglior regia arriva nel 2009 con La condanna, una perfetta mescolanza di finzione e di ricostruzione storica che racconta dell’amante di Benito Mussolini, (Filippo Timi), Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno), e del suo internamento in manicomio poiché divenuta troppo morbosa ed invadente, oltre che del figlio nato da questa unione, Benito Albino, mai riconosciuto dal leader del partito fascista e morto in istituto psichiatrico nel 1942. Un pagina nera della storia italiana, ricostruita ancora una volta tramite la lente del nucleo famigliare e dei suoi spesso insani rapporti. L’unico film italiano in concorso al Festival di Cannes del 2009 ha ottenuto 8 David di Donatello, 4 Nastri d’Argento, 3 Ciak d’Oro, 3 Globi d’Oro e numerosi altri riconoscimenti.

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