È stata la mano di Dio: la storia vera dietro al film di Paolo Sorrentino

La poesia e la tragedia traggono spunto direttamente dalla realtà, stavolta quella vissuta sulla pelle del premio Oscar Paolo Sorrentino, che in È stata la mano di Dio fa un tuffo doloroso e meraviglioso nella sua adolescenza.

Divertente, profondo, poetico, autobiografico. È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino affascina per la sua purezza ingenua, avvolta in un manto strutturalmente pregiatissimo in cui quel terremoto così funesto e violento che è la vita si assopisce sotto il colpi di una ninna nanna composta tra le note di sorrisi familiari e abbracci mai troppo stretti e strette di mano che invogliano a prendere il volo, a salire sui treni che sembrano portare lontano, ma forse stanno solo portando nel fulcro di quell’io che appartiene all’autore.
Il film, vincitore del Leone d’argento alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, in sala dal 24 novembre e su Netflix dal 15 dicembre 2021, è certamente l’opera più personale del regista napoletano, che qui riversa parte del suo vissuto, ripercorrendo piccole gioie quotidiane e la più grande tragedia della sua vita.

Nella trama di È stata la mano di Dio si nasconde la storia vera del regista premio Oscar

In È stata la mano di Dio il giovane Fabietto Schisa (di cui veste i panni Filippo Scotti) rappresenta l’alter ego di Paolo Sorrentino, interpretandone timidezze e incertezze dell’età adolescenziale. Il regista non traspone tutta la sua vita, bensì solo quella spina nel fianco estrapolata direttamente dalla sua adolescenza. Nato a Napoli il 31 maggio del 1970 e cresciuto nel quartiere Vomero, l’autore partenopeo riporta su pellicola i volti amorevoli e gioiosi dei suoi genitori, senza tuttavia eliminarne le sbavature più scomode. Sceglie di farli interpretare dall’immancabile Toni Servillo e da Teresa Saponangelo, i quali si calano alla perfezione nei panni di Salvatore “Sasà” Sorrentino e Concetta “Tina” Romano (nella finzione il cognome è Schisa): un impiegato bancario con la passione sfrenata per il Napoli lui e una casalinga amante degli scherzi più impensabili lei. Una coppia affiatata, che alimenta le giornate con “smancerie” (come le chiama la rigida e anziana vicina di casa), comunicando con un linguaggio criptolalico, proprio come giovani amanti. Una coppia, come tutte, non priva di dolori e litigi, che proprio per questo appare ancora più autentica e tridimensionale; appare, cioè, per ciò che è ed è stata: reale.

Paolo Sorrentino e la tragica morte dei suoi genitori raccontata in È stata la mano di Dio

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Sorrentino aveva parlato della morte dei genitori anche nel programma di A raccontare comincia tu, condotto da Raffaella Carrà

Così come è reale la tragedia che li ha travolti, scuotendo inevitabilmente la vita del regista. Paolo Sorrentino, infatti, è rimasto orfano all’età di 16 anni. I suoi genitori, come si racconta anche nel film, erano andati a trascorrere il weekend a Roccaraso, in una casa di montagna sita in viale dello Sport e rimessa da poco a posto, provvista di quel camino così romantico e desiderato (nella realtà forse una normale stufa?), che ne ha causato la morte. Una fuga di monossido di carbonio è infatti bastata a togliere la vita a Sasà e Tina, che il regista immagina sul divano, mentre si dicono per l’ultima volta “ti amo” in quel modo così singolare che era solo il loro.

In un’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per Il Corriere della Sera il regista ha raccontato i dettagli di quella storia, che coincidono quasi perfettamente a quelli narrati nel film.
Il giovane Fabietto/ Paolo aveva ricevuto finalmente il permesso da parte del padre per andare a vedere il suo idolo Diego Armando Maradona nella partita Empoli-Napoli. Ma quella volta non riuscì ad andare: al suono del citofono scoprì amaramente che non si trattava del suo amico che era venuto a prenderlo, ma del portiere che lo avvisava dell’incidente. “In questi casi non ti dicono tutto subito”, ha raccontato il regista. Una frase che nel film si traduce nell’imbarazzo dei medici, impacciati davanti a questi giovani rimasti improvvisamente orfani, incapaci di dare loro la notizia più dura.

Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il week end in montagna, nella casetta di famiglia a Roccaraso; ma mi rispondeva sempre che ero troppo piccolo. Quella volta finalmente mi aveva dato il permesso di partire: Empoli-Napoli. Citofonò il portiere. Pensavo mi avvisasse che era arrivato il mio amico a prendermi. Invece mi avvertì che era successo un incidente. In questi casi non ti dicono tutto subito. Ti preparano, un poco alla volta. Papà e mamma erano morti nel sonno. Per colpa di una stufa. Avvelenati dal monossido di carbonio. Io avevo sedici anni.

Il suo status di orfano, quel pesante senso di abbandono, si rintraccia tuttavia anche in altre opere del regista, come la fortunata serie The Young Pope, in cui il protagonista interpretato da Jude Law è rimasto orfano da giovane.
Tornando a È stata la mano di Dio, si intuisce proprio alla luce della tragedia il significato e l’importanza che assume Maradona nella vita di Sorrentino, sottolineata nella sceneggiatura dalle parole dello zio interpretato da Renato Carpentieri, che durante i funerali domanda a Fabietto come mai non fosse a Roccaraso, lui che ama così tanto sciare. Quando il ragazzo gli risponde che si trovata a casa per via della partita del Napoli l’anziano esclama “Ti ha salvato lui, è stata la mano di Dio”, facendo riferimento a quell’osannato Maradona che ha rappresentato per i partenopei una rinascita senza precedenti, il simbolo di un riscatto agognato in un tempo sempiterno in cui attorno al pallone da calcio gira tutta l’esistenza. E anche Sorrentino, da napoletano doc qual è, non può che ringraziare giustamente quel suo idolo giovanile che gli ronzava per la testa più di una bella e avvenente donna, il calciatore fenomenale che involontariamente l’ha salvato dalla morte.

In È stata la mano di Dio un pezzo della biografia di Paolo Sorrentino

E dopo? La pellicola ci mostra la giusta confusione di chi si trova smarrito, la scena d’amore con l’anziana che si fa carico di traghettare lo sguardo del giovane verso il futuro (non sappiamo se quella scena è tratta o meno dalla realtà e, in fondo, che ci importa?) e quella predilezione che inizia a maturare nei confronti del cinema, scandita dall’incontro con Antonio Capuano, col quale lavorerà nel 1998, scrivendo la sceneggiatura di Polvere di Napoli. In riferimento a questo periodo, sempre al Corriera della Sera, il regista ha dichiarato, parlando del periodo successivo alla morte dei genitori:

Mia sorella più grande, Daniela, che già conviveva, venne eroicamente a vivere per un anno con me e mio fratello Marco. Poi rimasi da solo, nella casa al Vomero. Un tempo che ricordo come un limbo. Ero quasi in stato confusionale. Volevo fare lettere o filosofia, ma i miei cugini mi guardavano come fossi un alieno; così mi iscrissi alla facoltà che per me voleva mio padre, economia. Non me ne sono pentito: mi piaceva. Cominciai però a scrivere sceneggiature. Mi mancavano cinque esami alla laurea, quando scelsi il cinema.

Il finale di È stata la mano di Dio ci dirotta quasi immediatamente su un treno che va verso Roma sotto le note del celebre brano di Pino Daniele (Napule è), come a rimandare alla vita reale, quella “interpretata” e “improvvisata” da Paolo Sorrentino stesso. La sua biografia ci racconta come andarono le cose: si iscrisse alla facoltà di Economia e Commercio per compiacere un desiderio del padre, ma non terminò mai gli studi, abbandonando l’università a 25 anni, a un passo dalla laurea, per dedicarsi totalmente al cinema, al quale si era approcciato già ventunenne, assistendo alla regia Decaro ne I ladri di futuro (1991) e co-dirigendo il corto Un paradiso.

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A quelle prime esperienze sul set ne seguirono altre che lo portarono adagio a infiltrarsi nel mondo cinematografico, prima come ispettore di produzione, aiuto regista e sceneggiatore, poi finalmente in solitaria con L’uomo in più (2001) di cui è regista e sceneggiatore. Il resto, come si dice, è storia! Ma è una storia a cui È stata la mano di Dio non fa nemmeno riferimento: non ci parla della carriera di Sorrentino né di Maradona (che aleggia sempre sullo sfondo, proprio come una divinità), bensì di quel pezzetto di vita prima felicissima e poi triste, confusa. Di come l’amore per il calcio gli ha salvato letteralmente la vita e di come il dolore è riuscito finalmente a uscire, divenendo sogno, poesia.

La famiglia di Paolo Sorrentino. Zia Patrizia (Luisa Ranieri) esiste davvero?

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All’interno del film, tuttavia, si fa riferimento non solo a quel tragico evento, ma al quadro disparato e meraviglioso di una famiglia fatta di personaggi sopra le righe: maschere di una Napoli esagerata, paesana, divertente, a tratti scorbutica (come la signora Gentile). Sappiamo, a tal proposito, che di certo i fratelli di Paolo Sorrentino esistono davvero (essendo stati citati anche da lui), mentre non si conoscono i dettagli di quei parenti un po’ più particolari, come la zia Patrizia interpretata da Luisa Ranieri, protagonista nel film di una scena di nudo integrale inaspettata.
L’attrice stessa, parlando del suo personaggio, ha detto che per delicatezza ha preferito non chiedere nulla a Paolo Sorrentino circa l’esistenza di questa zia così sensuale e diversa da tutti gli altri.

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