Ennio Morricone: le 10 colonne sonore più belle del compositore premio Oscar

Quali sono le composizioni migliori di Ennio Morricone? Difficile fare una selezione, ma nella nostra top 10 abbiamo cercato di inserire quelle che, a nostro parere, dovete conoscere per iniziare ad amare il compositore premio Oscar.

Tra i più autorevoli ed inimitabili compositori della sua generazione, Ennio Morricone è riuscito – nel corso di una carriera che dura da più di mezzo secolo – a muoversi in maniera brillante attraverso i più disparati generi musicali, passando con versatilità da sinfonie essenzialmente ancorate alla tradizione a composizioni caotiche, scomposte ed avanguardistiche.

Presentandosi agli occhi dell’immaginario collettivo come il più celebre creatore di colonne sonore della storia del cinema, il compositore italiano, nato a Roma il 10 novembre 1928, inizia la sua prolifica carriera nel 1955 come arrangiatore di musica leggera, firmando successi del calibro di Sapore di sale (1963) di Gino Paoli e Se Telefonando (1966) di Mina. Il primo contatto con il mondo della cinematografia, invece, avviene nel 1961, quando il musicista compone la colonna sonora de Il federale, lungometraggio diretto da Luciano Salce.
Tra le più importanti cause della sua fama, la collaborazione con Sergio Leone – conosciuto tra i banchi delle scuole elementari – che comincia nel 1964 con la composizione della colonna sonora del film Per un pugno di dollari. Ma sono tante le soundtrack che scandiranno, nel corso della vita del compositore premio Oscar, la storia del cinema italiano e internazionale, regalando agli spettatori sinfonie indimenticabili.

Tra le oltre 430 colonne sonore composte dal grande Ennio Morricone abbiamo fatto una selezione delle 10 migliori, quelle rimaste nella storia e che dovete assolutamente conoscere per iniziare ad apprezzare questo talento italiano.

Ennio Morricone in 10 colonne sonore: le più importanti del Maestro

Per un pugno di dollari (1964)

San Miguel, lì dove il Messico e gli Stati Uniti d’America si incontrano, perdendo i propri confini netti, scambiandosi tra di loro. Un cavaliere senza nome. La desolazione del deserto. Attraverso tre semplici elementi, Sergio Leone costruisce “Per un pugno di dollari”, lungometraggio che, come tante altre pellicole del maestro, si conferma essere un capolavoro.

Il silenzio e poi la caotica vivacità di echi latineggianti. Ispirandosi alla tradizione folkloristica dell’area messicana e nate dal miscuglio di sacralità, sperimentazione e toni latini, Ennio Morricone crea quelle che, secondo la sia opinione, sono le sinfonie peggiori da lui create; quelle che, secondo l’opinione altrui, si presentano come veri e propri capolavori in grado di evocare, con potenza, l’immenso fascino esercitato dalle oscure profondità del deserto, trasformandosi in elemento cardine di una narrazione diegetica che prosegue e domina l’intera pellicola.

Per qualche dollaro in più (1965)

Un fischio lacera la solitudine delle distese desertiche. Liberato dalle prigioni messicane, un bandito sadico e allucinato decide, dopo aver placato la sua sete di vendetta, di pianificare un colpo che dovrà passare alla storia.

Ancorata non solo alla storia della cinematografia di una data epoca, ma all’immaginario collettivo, la colonna sonora di Per un dollaro in più diventa manifestazione della potenza del mezzo sonoro che, accompagnato dall’esplicità della comunicazione visiva, arricchiscono la narrazzione, coinvolgendo ed emozionando.
Riprendendo le sonorità di Per un pugno di dollari, Ennio Morricone raggiunge quello che, a detta di molti, sarebbe il suo apice, tessendo sinfonie strettamente legate al personaggio che hanno il compito di descrivere, “seguendo il protagonista e non il film.”

Il buono, il brutto e il cattivo (1966)

La furia devastratrice della guerra di secessione distrugge completamente tutto ciò che incontra: l’umanità è stata massacrata. Un cacciatore di taglie senza nome compare improvvisamente, liberando dalla condanna un uomo come lui.

Terzo e ultimo capitolo della Trilogia del Dollaro, Il buono, il brutto e il cattivo è rimasto ancorato all’interno dell’immaginario popolare – e della storia del Cinema – non solo grazie ai primi piani che gelano il sangue e alla costruzione della narrazione attraverso il rivoluzionario montaggio di Sergio Leone, ma anche – e soprattutto – per la colonna sonora di Ennio Morricone, incisiva, potente e dalla forte forza evocativa.

Un flato, un fischio, un urlo. La colonna sonora del compositore si innalza come un unicum della cinematografia: sfruttando la convenzionalità degli schemi musicali tradizionali, da sempre dominanti all’interno del cinema di genere, Morricone dà origine a composizioni in limbo tra il classico e lo sperimentale. Ancora una volta la musica, con il suo lirismo e la sua sentimentalità – elementi preponderanti nelle tracce de Il buono, il brutto e il cattivo rispetto a quelle dei precedenti lungometraggi, forse perché le note sono qui le ultime note della trilogia, le note di addio –, si riesce ad elevare a strumento in grado di esplicitare con una potenza e una lucidità fuori dal comune dettagli nascosti nella narrazione, nelle parole pronunciate dai personaggi, nei loro silenzi.

Per saperne di più sulla colonna sonora di Il buono, il brutto, il cattivo leggi qui

C’era una volta il West (1968)

In cerca della vendetta, sperduto nel bel mezzo del West. Arrivato nel deserto del Mojave, Armonica verrà a contatto con destini completamente diversi, tra i quali quelli di una seducente ex-prostituta.

Il suono acido dell’armonica sostituito dalla caotica ritmicità della chitarra elettrica, dando vita ad un mix inedito che lascia senza fiato. La colonna sonora di C’era una volta il West si caratterizza come un febbrile susseguirsi di note, come un alternarsi di composizioni ossessive e melodie vecchio stile, strappate ad un passato ormai dimenticato.
Differenziandosi da La Trilogia del dollaro per la mancanza di suoni “naturali” – quali il rumore dei treni, degli uccelli e degli spari –, la musica di accompagnamento può essere definita, in questo caso, un narratore totalmente anacronistico, una narratività che immerge completamente lo spettatore, abbandonandolo negli inferi dell’indefinibile West.

Novecento (1976)

Leggi anche Bernardo Bertolucci: “tutti i registi in realtà sono voyeur”

Olmo, nato sotto l’umile tetto di una famiglia di contadini. Alfredo, nato tra le mura borghesi di una casa patronale. Due esistenze apparentemente antitetiche, unite nel segno del 1900, anno di nascita di entrambi, assoluto protagonista del rivoluzionario Novecento di Bernardo Bertolucci, una pellicola politicamente impegnata, sporca come il sangue che sgorga dal coraggio partigiano, feroce come la violenta brutalità fascista.

Dopo Sergio Leone, Bernardo Bertolucci. Nata nello stesso periodo del sodalizio con il maestro del western, la collaborazione con il regista parmense potrebbe risultare insolita, se confrontata con il resto della produzione musicale realizzata nel primo periodo del compositore.

Clarinetti che raccontano storie: storie d’amore, di guerra, di amicizie e di contrasti. Clarinetti dai suoni intimi, suoni che si trasformano, esplodendo nel caos di un’orchestra. Lasciando le distese desertiche degli Stati Uniti d’America, arrivando alle zone rurali della penisola italiana, la colonna sonora composta da Ennio Morricone per Novecento si costituisce come un range di tonalità variegate che trasmettono in modo vivido, efficace e fedele le atmosfere dell’odissea raccontata da Bertolucci; come un mix eterogeneo che, però, riesce a trovare, nella sua diversità, una coesione unica ed inspiegabile.

C’era una volta in America (1984)

Sommerse nella fosca densità della nebbia di New York, le drammatiche memorie di un uomo – il criminale David “Noodles” Aaronson – si trasformano in proiezione dell’epopea di un’epoca che dura più di quarant’anni – dagli anni venti ai sessanta. Con C’era una volta in America, Sergio Leone realizza un’odissea nella complessità della vita – e della morte –, riuscendo ad abolire totalmente il presente, annullandone ll’importanza: esistono solo il passato, solo i ricordi, solo i fantasmi, visioni spettrali che aleggiano perennemente nella psiche di ogni singolo individuo.

Composta prima della realizzazione della maggior parte delle scene e, quindi, ascoltata mentre queste venivano girate, la colonna sonora di Ennio Morricone è una composizione in grado di emozionare lo spettatore, portandolo ad empatizzare totalmente con i protagonisti, immergendolo completamente in un’atmosfera onirica offuscata e appannata dalla lente filtrante del ricordo, risvegliando in lui sentimenti ormai assopiti, riportandogli alla mente sogni di infanzia lontani e giovani amori perduti. La musica che accompagna le immagini di C’era una volta in America si presenta, quindi, come una delle sinfonie più struggenti che la genialità di Morricone abbia mai partorito; una sinfonia dalla lucentezza della bellezza più pura, una bellezza in grado di commuovere, di lasciare senza fiato. In poche parole, una visione miracolosa.

The Untouchables – Gli intoccabili (1987)

Chicago, 1930. È la Chicago del Proibizionismo, annebbiata dai vapori dell’alcol. È la Chicago della malavita, massacrata dagli spari delle pistole. È la Chicago di Al Capone, inginocchiata di fronte al suo unico padrone. Ispirandosi alla serie televisiva americana Gli intoccabili, Brian de Palma realizza The Untouchables – Gli intoccabili, una intensa rivisitazione della vita di Elliott Ness, l’agente federale che riuscì nell’impresa di arrestare e condannare il celeberrimo Al Capone.

Ennio Morricone realizza per il lungometraggio del regista americano una colonna sonora che, coinvolgendo e affascinando il pubblico con le sue atmosfere tenebrose, riesce in modo magistrale a trasmettere tutta la tensione della vicenda narrata; una colonna sonora che, spostandosi tra la tradizionalità della musica che accompagnava i thriller classici fino ad arrivare a brani dal tocco jazz, si contraddistingue per la sua capacità di trovare un fil rouge all’interno della diversità, per la sua facoltà di rinnovarsi completamente, continuando, tuttavia, a mantenere la stessa essenza.

Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Partire, cancellare il passato, iniziare una nuova esistenza. Ritornare in un posto a cui non si appartiene più e riscoprirsi diversi, cambiati. Osservare con gli occhi della memoria gli oggetti di una quotidianità ormai dimenticata, rivivere i propri ricordi. Scritto e diretto da Giuseppe Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso è la narrazione di memorie infantili impresse sulla celluloide, memorie che scorrono velocemente, come pellicole cinematografiche che scorrono all’interno dei proiettori; in poche parole, il racconto di un’infanzia.

Rievocando l’aura sognante in cui sono da sempre sommerse le memorie, Ennio Morricone plasma una colonna sonora dal fascino di un tempo ormai passato, che mantiene lo charme irresistibile della pellicola del regista siciliano. Attraverso la continua successione di note che sprigionano con potenza la malinconia e la nostalgia dell’infanzia, l’accompagnamento musicale oscilla graziosamente tra la leggerezza dell’essere bambini e la serietà dovuta alla consapevolezza dell’impossibilità di ritornare ad essere ciò che si è stati, dando origine ad un’atmosfera intima e sentimentale; un’atmosfera che profuma di casa.

Leggia anche
Nuovo Cinema Paradiso dov’è stato girato? Viaggio nella Sicilia di Giuseppe Tornatore
Nuovo Cinema Paradiso: la colonna sonora di Ennio Morricone tra amore e nostalgia

La leggenda del pianista sull’oceano (1998)

Leggi anche Giuseppe Tornatore: gli 8 film più belli del regista Premio Oscar

Trovare un neonato a bordo di un transatlantico e dargli il nome di Novecento, un omaggio al secolo che sta iniziando. Crescere su una nave, adottato da un equipaggio, e trovare la fama a bordo di essa, suonando un pianoforte.

Nel 1998, Giuseppe Tornatore si ispira al monologo teatrale di Alessandro Baricco, intitolato Novecento, e crea uno dei suoi capolavori, l’emozionato racconto di una vita che, da sempre in mare, sogna la terraferma.
Tema centrale del lungometraggio, la musica diventa metafora della casa, del rifugio, dell’unico luogo in grado di infondere benessere, serenità, protezione. La musica si trasforma nell’unico mezzo di comunicazione adottabile in un oceano immenso, governato dall’incomunicabilità. Tale aspetto viene del tutto incanalato all’interno della colonna sonora: Ennio Morricone trasmette, attraverso l’ariosità e la leggerezza emesse dalle note scelte, la volontà, la necessità di essere finalmente liberi.

Ancora una volta, il compositore si affida alla semplicità della sonorità di strumenti appartenenti alla tradizione musicale – quali sono il pianoforte e il sassofono – e alla anticonvenzionalità del suo dirigere l’orchestra, per plasmare sinfonie che riescono ad avvolgere lo spettatore, seducendolo ed ammaliandolo, trascinandolo in un universo lontano, sognante.

Leggi anche La leggenda del pianista sull’oceano: una musica infinita

The Hateful Eight (2015)

Nel paesaggio invernale del Wyoming, devastato dalla violenza della guerra civile, una bufera è in arrivo. Otto individui – prigionieri, criminali, dannati – si rifugiano nell’emporio Minnie, scatenando l’inferno. Scritto e diretto da Quentin Tarantino nel 2015, The Hateful Eight è, dopo Django Unchained, il secondo western realizzato dal regista.

Leggi anche Da Le Iene a The Hateful Eight: il sangue e la violenza nel cinema di Quentin Tarantino

Ansia, terrore, brividi. Gli oboe si fondono con gli organi, accompagnati dal suono dei carillon. Premiata con un Premio Oscar nel 2016, la colonna sonora composta da Ennio Morricone riprende l’atmosfera lugubre, coinvolta in un climax di tensione, che tipicamente caratterizza i film horror, generando incertezza e paura nell’animo dello spettatore, quasi a voler anticipare per l’intera durata della pellicola il violento epilogo.

Componendo una colonna sonora per un film western per la prima volta dopo 35 anni – l’ultima era stata quella realizzata nel 1981 per Occhio alla penna di Michele Lupo –, il musicista decide di opporre la modernità temporale, narrativa e stilistica dell’opera alla classicità delle arrangiature, dell’esecuzione e dei toni scelti, elementi appartenenti alla precedente tradizione cinematografica; toni, dopotutto, sobri se confrontati con la sanguinosa violenza mostrata all’interno di The Hateful Eight.

Per saperne di più sulla colonna sonora di The Hateful Eight leggi qui