Venezia 74 – Charley Thompson (Lean on Pete): recensione del film di Andrew Haigh

Charley Thompson (Lean on Pete), nelle sale italiane dal 5 aprile con Teodora Film, è un racconto di formazione in cui il pregevole impianto visivo non trova adeguato supporto dal punto di vista narrativo.

La terza giornata della 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia porta al pubblico e agli addetti ai lavori Charley Thompson (Lean on Pete), road movie di formazione targato Andrew Haigh, regista britannico noto per i suoi due precedenti lavori Weekend e 45 anni. Protagonista della pellicola è il 18enne americano Charlie Plummer, che con una performance di grande carisma e intensità al fianco di interpreti di alto profilo come Steve BuscemiChloë Sevigny diventa di diritto uno dei contendenti per la prestigiosa Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Lean on Pete è basato sul romanzo La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin, edito in Italia da Mondadori.

Charley Thompson (Lean on Pete) cinematographe

Charley Thompson (Charlie Plummer) è un quindicenne introverso e problematico, abbandonato dalla madre in tenera età e cresciuto insieme a un padre donnaiolo e irrequieto. Padre e figlio cercano di trovare serenità e stabilità con il trasferimento a Portland, in Oregon, dove Charlie trova un piccolo lavoretto come stalliere di Del (Steve Buscemi). Durante questa sua prima semplice ma importante esperienza lavorativa, Charlie stringe un rapporto speciale con Lean on Pete, anziano cavallo da corsa a rischio di soppressione per il deterioramento dei suoi risultati sportivi. Per una concatenazione di eventi, Charlie si ritroverà a viaggiare da solo per l’America più profonda, in cerca delle proprie radici e del proprio equilibrio interiore.

Charley Thompson (Lean on Pete): un road movie di formazione negli spettacolari deserti dell’Oregon

Charley Thompson (Lean on Pete) cinematographe

Dopo i già citati Weekend e 45 anni, Andrew Haigh basa nuovamente una propria pellicola su una coppia speciale e particolarmente affiatata, rappresentata in questo caso da un adolescente e un cavallo. Il legame fra Charley e Lean on Pete è immediato, naturale, inarrestabile: nell’equino il ragazzo vede l’unico essere vivente con il quale potersi realmente aprire ed essere se stesso, mentre Charley è per Lean on Pete l’unica ancora di salvezza dalla morte. Insieme al cavallo, Charley intraprende una sorta di viaggio iniziatico, in fuga contro tutto e tutti da un’esistenza difficile e tormentata e alla ricerca di una sua cara zia, al tempo stesso ultimo legame rimastogli con le sue radici e unica possibilità di ricominciare una vita più solida e serena.

Andrew Haigh trae il meglio dalle spettacolari location nei deserti dell’Oregon, utilizzando spettacolari campi lunghi, intensi piani sequenza e abili giochi di messa a fuoco. Un lavoro di grande finezza e ricerca registica, che non è però accompagnato da altrettanto spessore dal punto di vista narrativo. Nonostante l’ottima performance del protagonista Charlie Plummer e il sempre esemplare supporto di Steve Buscemila costruzione dei personaggi risulta frammentaria e forzata, al punto che alcuni di loro non sembrano pedine di un racconto organico e unitario, ma elementi inseriti a forza nel racconto come esempi di step formativi che Charley deve superare, utili per una manciata di scene e poi facilmente licenziabili dalla storia con pochi convenevoli.

In Charley Thompson (Lean on Pete) il pregevole impianto visivo non trova adeguato supporto dal punto di vista narrativo

Il modo di agire dello stesso Charley è fondamentalmente binario: fermata o fuga verso la prossima esperienza, senza nessuna sfumatura intermedia e privo di un reale percorso di maturazione, al punto che il ragazzo della fine del film è a livello comportamentale e dialettico lo stesso di quello che l’ha cominciato, senza alcuna variazione di rilievo. Le tristi vicissitudini del protagonista sono vere e tangibili, ma gestite in maniera meccanica, quasi per accumulo, per essere veramente realistiche e coinvolgenti. Andrew Haigh mette così un film fatto di scene forti e allo stesso tempo dotate di una rara sensibilità, decisamente riuscite se prese singolarmente, ma inserite in un impianto narrativo troppo fragile per sostenerle e creare reale empatia nello spettatore.

Charley Thompson (Lean on Pete) cinematographe

Charley Thompson (Lean on Pete) conferma l’abilità dietro la macchina da presa e la sensibilità nella messa in scena di regista di talento come Andrew Haigh, di cui sentiremo certamente parlare ancora nel prossimo futuro, ma al tempo stesso si rivela un deciso passo indietro rispetto a 45 anni, decisamente più compatto e centrato rispetto all’opera portata in concorso a Venezia. Un’opera visivamente pregevole, ma troppo esile per lasciare veramente il segno.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.8