L’amore che non muore: recensione del film di Gilles Lellouche
La nostra recensione dell’ultimo lungometraggio da regista di Gilles Lellouche. In sala dal 5 giugno, distribuzione a cura di Lucky Red
Come Jackie e Clotaire, i due protagonisti de L’amore che non muore di Gilles Lellouche, anche gli uomini e le donne raccontati da Bruce Springsteen ne sanno qualcosa di cuori che battono tra le polveri della provincia, la ruggine delle fabbriche e la disperata rincorsa di una redenzione spesso annullata dalla violenza e dalla rabbia.
“Now I hear she’s got a house up in Fairview.
And a style she’s trying to maintain
Well, if she wants to see me
You can tell her that I’m easily found
Tell her there’s a spot out ‘neath Abram’s Bridge
And tell her there’s a darkness on the edge of town”
Rabbia che nasce da un profondo sentimento d’abbandono e da un’incessante esigenza di riscatto, che brucia a fuoco a lento per poi divampare, mietendo vittime lungo il percorso e così promesse d’amore talvolta mantenute, altrimenti dimenticate. Jackie e Clotaire (straordinari i due interpreti giovani Mallory Wanecque e Malik Frikah), che si conoscono a quindici anni tra caos adolescenziale, confusione emotiva e folle desiderio d’esplorazione, non intendono affatto dimenticarsi, sopravvivendo al tempo, nonostante la galera di lui e il matrimonio di lei, pur perdendosi e forse ritrovandosi ancora.
Sono molte le anime dell’ultimo Lellouche. Da Springsteen a Scorsese, fino a Kassovitz e Ray
La scelta di Darkness on the edge of town di Bruce Springsteen in apertura non è casuale, Lellouche lo sa bene. L’amore che non muore infatti, si serve con estrema abilità tanto dei chiari, quanto degli scuri. Basti pensare all’esperienza dell’eclissi, che ripetendosi per ben due volte, oscura i corpi dei suoi spettatori, ma mai l’amore che se dapprima può vivere sé stesso, resta poi intrappolato nel ricordo, lasciando che siano le lacrime a farlo tornare, mostrandolo ancora, filtrato questa volta da un profondo sentimento di nostalgia e di irrisolutezza. Cos’ha allontanato realmente Jackie e Clotaire? Forse quell’incolmabile divario che fa riferimento all’appartenenza di classe? Borghese lei, popolare lui. Oppure ancora una volta, lo si deve al contrasto tra chiaro e scuro? Jackie vive nella luce, mentre Clotaire nel buio. Com’è possibile farli incontrare, com’è possibile farli amare?

Ci rifletteva il romanzo Jackie Loves Johnser OK? di Neville Thompson, torna a farlo Gilles Lellouche, che poggia su una grande sceneggiatura scritta a sei mani da quest’ultimo in compagnia di Audrey Diwan (La scelta di Anne – L’Événement) e Ahmed Hamidi. Però, come tutti i più grandi film della nostra vita, anche L’amore che non muore, non procede per tesi o verità, bensì attraverso il caos, l’imprevedibilità dei destini e la logica insopprimibile e spesso autodistruttiva dell’amore, che al pari di un bulldozer abbatte tutto e tutti, senza fermarsi mai, fino a quell’incontro di sguardi e cuori, che immediatamente appare definitivo e immortale.
Un film fuori dal tempo, che attraverso le dinamiche di un amore rocambolesco, seducente e irrinunciabile, come solo le grandi passioni adolescenziali sanno essere, fotografa anche una disperazione tragica, che ha a che fare tanto con il sentimento d’amore, quanto con la condizione sociale propria degli ultimi e degli emarginati. Dunque di quegli uomini e donne, che tra alcol, violenze e promesse tradite, sopravvivono all’ombra delle fabbriche e di tutte quelle gioventù spezzate fin troppo precocemente, tali da violare per sempre l’innocenza, che non tornerà più, aleggiando pur sempre come un fantasma disperato sugli accadimenti della vita.
Subentra qui la questione gangsteristica, che prende a piene mani dal cinema di Martin Scorsese (su tutti, The Departed – Il bene e il male), Quentin Tarantino (Pulp Fiction e la moltitudine dei punti di vista sulle faccende di denaro, violenza e perfino d’amore), e ancora Baz Luhrmann (Romeo + Giulietta di William Shakespeare), Mathieu Kassovitz (L’odio), Walter Hill (I guerrieri della notte), John Landis (Tutto in una notte), Robert Wise e Jerome Robbins (West Side Story) e Nicholas Ray (Gioventù bruciata). Come detto, un film dalle moltissime anime, esagitato e furioso, che in preda ad una inarrestabile tempesta ormonale e più in generale emotiva, pur esplorando scenari di brutale violenza (Clotaire cresce plasmato dagli effetti, si vedrà devastanti della legge del più forte, dunque del sangue e della ribellione), mette in luce gli amori, che nonostante le oscurità e i turbamenti del destino, riescono maldestramente a vincere, aprendosi un varco tra le ombre.
L’amore che non muore: valutazione e conclusione

Cosa protegge questi amori? Nel caso di Jackie e Clotaire, interpretati nel periodo adulto da Adèle Exarchopoulos e François Civil, due volti e corpi cinema di ineguagliabile efficacia e sfrontatezza, tutto è riconducibile ad una vecchia ma mai dimenticata musicassetta dell’amore. Tra i brani incisi, Nothing Compares 2 U di Prince. La riascolterà lei, farà lo stesso il nuovo marito, per poi distruggerla, illudendosi ingenuamente di rimuovere per sempre le tracce di quell’amore unico e insopprimibile, sopravvissuto al tempo e alla distanza. E ancora, una cabina telefonica. Due squilli e saprai che sono io. Nel mezzo, il travagliato eppure saldo rapporto tra genitori e figli, che vive di una profonda e reciproca comprensione, in dialogo tanto con l’amore, quanto col dolore.
Torniamo alle pagine di Nicolas Mahieu, un altro che di amori all’ombra delle fabbriche e delle polverose e disperate province francesi ne sa qualcosa, tra lo struggente E i figli dopo di loro e La canzone popolare. Ancora a Springsteen e ad un piccolo film, maldestro, buffo, eppure a suo modo magico e nostalgico film che sembriamo tutti aver dimenticato e che ha più di qualcosa in comune con L’amore che non muore, ossia Hot Summer Nights di Elijah Bynum. Nonché tra le primissime esperienze interpretative di un giovanissimo Timothée Chalamet.
Correte in sala. Il film di Lellouche è travolgente e memorabile, come solo i grandi titoli capaci di segnare le epoche e la storia del cinema sanno essere. Sono tante le anime, mai imprigionate e sempre libere di danzare, tra gli spazi e i generi di un cinema rocambolesco, personale e in dialogo con tutti noi, e coi nostri amori. Quelli coltivati, quelli perduti.
Un martello arrugginito, carico di promesse e disincanto, che batte tanto sui corpi, quanto sui cuori. Ad oggi il miglior film di Lellouche.
L’amore che non muore è al cinema a partire da giovedì 5 giugno 3035. Distribuzione a cura di Lucky Red.