Il Grande Lebowski: recensione del film dei fratelli Coen

Il Grande Lebowski è di certo la pietra angolare della filmografia dei f.lli Coen. Un film che fotografa con ironia e semplicità la generazione del Vietnam usando come sfondo una Los Angeles silenziosa, non sempre visibile ma costantemente percepibile.

Ci sono film che irrompono fragorosamente nell’immaginario cinematografico collettivo, macinando milioni su milioni e lasciando dietro di loro fiumi di articoli e interviste. Ce ne sono altri che tracciano un solco netto e ben riconoscibile in un genere o in un filone, alzando l’asticella qualitativa per le loro innovazioni tecniche o tematiche. Ne esistono altri ancora che invece compiono un percorso più difficile e tortuoso, scavandosi lentamente ma inesorabilmente una strada nel cuore degli spettatori tramite il passaparola e la condivisione, fino a diventare dei veri e propri intramontabili cult. Un fulgido esempio di quest’ultimo gruppo è sicuramente Il grande Lebowski, settima pellicola dei fratelli Coen e pietra angolare della loro memorabile filmografia.

Dopo il trionfo di Fargo, accolto con entusiasmo dal pubblico e dalla critica e premiato con due Oscar su sette nomination totali, i due fratelli più famosi del cinema contemporaneo mettono in scena una folle ed esilarante rilettura in chiave comica e post hippie dell’hard boiled alla Raymond Chandler e in particolare de Il grande sonno, film di Howard Hawks con diversi punti di contatto con Il grande Lebowski.

Protagonista di quest’impresa difficile e coraggiosa è un monumentale Jeff Bridges, che incarna l’indimenticabile personaggio di Jeffrey Lebowski alias Il Drugo (The Dude in originale), nullafacente appassionato di bowling liberamente basato sul reale produttore amico dei Coen Jeff Dowd. Uno sbandato dall’animo pacifista, che sbarca pigramente il lunario fra uno spinello, una partita con gli amici e un sorso del suo amato White Russian e che finisce invischiato contro la sua volontà in un’assurda storia fatta di scambi di persona, urina sui tappeti, rapimenti, riscatti, nichilismo e pornografia, fungendo da catalizzatore di un universo di personaggi irresistibilmente grotteschi e dannatamente umani.

Il grande Lebowski: la grottesca rilettura comica del noir dei fratelli Coen
Il grande Lebowski cinematographe

Il grande Lebowski vide la luce esattamente 20 anni fa, il 15 febbraio 1998, nella cornice del Festival internazionale del cinema di Berlino. Un esordio decisamente in sordina, fra la freddezza della critica, pronta a bollarlo superficialmente come un passo falso nella giovane ma già brillante carriera dei Coen, e l’indifferenza del pubblico, che non premiò il film al botteghino. Come spesso accade per i grandi film, quelli che lasciano veramente il segno, Il grande Lebowski cominciò a questo punto un proprio autonomo e particolare cammino, insinuandosi lentamente nell’animo del pubblico e nella cultura popolare fino a diventare un manifesto del cinema degli anni ’90, dando inoltre vita a un vero e proprio culto di questa vicenda contorta e sgangherata, culminato in bar a tema, una convention annuale (la celebre Lebowski Fest) e addirittura una vera e propria religione basata sul particolare stile di vita di Drugo.

Il grande Lebowski: suggestioni, false piste e MacGuffin

Ma qual è il segreto di questo viscerale amore dei cinefili per Il grande Lebowski, che a distanza di 20 anni dall’uscita del film non accenna a scemare? Difficile dare una risposta unitaria ed esclusiva. Questa gemma dei fratelli Coen è infatti una pellicola più unica che rara, che riesce a fondere in maniera sublime atmosfere, generi e sottogeneri apparentemente discordanti. Come già anticipato in apertura, l’intero film prende spunto da archetipi e meccanismi tipici del grande cinema noir degli anni ’40 e ’50, spesso composto da trame particolarmente contorte basate su intrighi, malaffari, ricatti e indagini, con un investigatore capace e sicuro di sé (su tutti il Philip Marlowe impersonato nel corso degli anni da Dick Powell, Humphrey Bogart e Robert Montgomery) intento a sbrogliare la matassa.

I registi utilizzano lo stesso canovaccio di questo glorioso filone, infarcendo il film di suggestioni, false piste e MacGuffin (su tutti il tappeto che Drugo rivuole indietro per “dare un tono all’ambiente” dopo che il suo è stato riempito di urina), che fungono da motore narrativo della vicenda, ma non portano a nulla di concreto. Allo stesso modo del già citato Il grande sonno, i cui stessi autori hanno più volte ammesso di non conoscere tutti i passaggi della trama, Il grande Lebowski contiene infatti diversi risvolti criptici, se non addirittura platealmente inutili, che però i Coen manipolano alla perfezione, rendendo l’intera vicenda coerente, coinvolgente e spassosa, pur nella sua illogicità di fondo. La ricerca della moglie rapita di Jeffrey Lebowski, magnate omonimo di Drugo, diventa così un’occasione per esaltare l’umile inettitudine di questo bizzarro personaggio e per fare collidere una serie di universi unici e apparentemente inconciliabili.

L’irresistibile gruppo di personaggi de Il grande Lebowski

Il grande Lebowski cinematographe

Uno dei maggiori pregi de Il grande Lebowski consiste nell’eccezionale gruppo di personaggi scritti dai Coen e messi in scena dagli stessi fratelli con un’efficacia tale da permettere di distinguersi e lasciare il segno anche a caratteri con un minutaggio ridotto a un paio di scene, come l’incredibile pederasta e fenomeno del bowling Jesus, impersonato da John Turturro. Assolutamente fondamentale anche l’apporto della sconcertante radical chic Maude interpretata da una quasi irriconoscibile Julianne Moore, dell’enigmatico e sornione Straniero di Sam Elliott, guida silenziosa e sorta di angelo custode di Drugo, del timido e impacciato Brandt di un irriconoscibile Philip Seymour Hoffman e dell’autoritario e collerico Jeffrey Lebowski di David Huddleston, vera e propria nemesi del protagonista e ai suoi antipodi per carattere e concezione della vita.

Il grande Lebowski fotografa con ironia e semplicità la generazione del Vietnam

Il cuore del racconto è però certamente composto dall’onnipresente Drugo e dai suoi fidi compagni di bowling, ovvero il reazionario veterano del Vietnam Walter Sobchak, magistralmente interpretato da John Goodman, e il povero Donny di Steve Buscemi, continuamente zittito o ignorato dagli amici. I loro surreali dialoghi sulla vita, sulla società  e sugli affetti sono assolutamente esilaranti, e costituiscono la spina dorsale su cui i Coen imbastiscono un ragionamento decisamente atipico e sottile sull’amicizia. Impossibile non sbellicarsi dalle risate davanti agli assurdi duetti fra il pacifista e compassato Drugo, che cerca costantemente la soluzione più semplice e pacata a ogni problematica, e il rissoso Walter, rimasto con la testa e con il cuore al Vietnam e disposto a fare emergere la sua esperienza bellica nelle situazioni più inaspettate, come una partita di torneo di bowling o la commemorazione funebre di un amico.

È su questo spassoso gioco degli opposti che Il grande Lebowski impernia i suoi momenti più toccanti, che permettono a chiunque di immedesimarsi con i personaggi protagonisti di questa stravagante vicenda. Drugo e Walter non sono infatti solo due facce della stessa medaglia, quella di una generazione che ha reagito con modi e pensieri totalmente differenti a quel massacro generazionale chiamato Guerra del Vietnam, ma sono anche e soprattutto due amici, consapevoli delle loro inconciliabili divergenze, ma disposti a farsi forza l’un l’altro nelle più disparate situazioni, da una semplice partita fra amici a una pericolosa consegna di un bottino. Un concetto di amicizia e fratellanza completamente diverso da ciò a cui siamo abituati sul grande schermo, ma che in modo tortuoso e sotterraneo arriva dritto al cuore e all’anima dello spettatore.

Le scene clou de Il grande Lebowski

Il grande Lebowski cinematographe

Gran parte della fama e dell’amore che gli appassionati nutrono per Il grande Lebowski è da attribuire all’impressionante numero di scene madri disseminate nel corso della pellicola e dalle memorabili battute entrate ormai a far parte dell’immaginario collettivo. Doveroso citare le due straordinarie sequenze oniriche con protagonista Drugo intento a volare sul cielo di Los Angeles e a scatenare il suo inconscio a proposito delle sue più grandi passioni, ovvero il bowling e le donne. Impensabile inoltre non pensare alla digressione a casa del giovane Larry, con relativo tentativo di intimidazione del piccolo da parte di Walter, allo stravagante spargimento delle ceneri sulla costa californiana, alla potenziale sparatoria innescata su un contestato punto di una partita di bowling o alla buffa visita di Drugo alla residenza del pornografo e malavitoso Jackie Treehorn.

I Coen sono semplicemente sensazionali nel mettere in scena dei veri e propri film nel film, sostenuti dalla caleidoscopica fotografia del geniale Roger Deakins e sostenuti dalle musiche del loro fido collaboratore Carter Burwell. Un sopraffino lavoro di regia che contribuisce a espandere le personalità dei protagonisti e a definire i contorni di un entusiasmante e ineffabile universo narrativo, creando di conseguenza un solido e viscerale legame fra pellicola e spettatore.

La Los Angeles de Il grande LebowskiIl grande Lebowski cinematographe

Una silenziosa, non sempre visibile ma costantemente percepibile protagonista del film è certamente la città di Los Angeles, con la sua unica e irripetibile combinazione di luoghi, atmosfere e spaccati di umanità. La terra del vuoto a rendere per eccellenza accompagna i protagonisti nelle loro avventure e fornisce un perfetto contesto della vicenda. Un posto incantato e allo stesso tempo incomprensibile, in cui convivono magnati della finanza e sfaccendati, criminali e poeti, pacifisti e guerrafondai, creando un sottobosco di idee e sottoculture che non ha eguali in tutto il mondo.

Azzeccata in questo senso è la colonna sonora de Il grande Lebowski, che spazia con disarmante facilità e disinvoltura da Bob Dylan al sound gitano dei Gipsy Kings, passando per il Southern rock dei Creedence Clearwater Revival o per gli Eagles. Un contraltare sonoro di eccezionale qualità, che procedendo per sintonia o per contrasto dona unicità ai personaggi e un tocco del tutto originale e personale al film.

Il Grande Lebowski: l’unico e inimitabile stile di vita del Drugo

Il grande Lebowski cinematographe

Sarebbe delittuoso non spendere qualche parola per una delle colonne portanti del racconto, ovvero il buffo e disarmante stile con cui Drugo conduce la sua esistenza. Una vita basata sul libero consumo di marijuana, sulla ripetitività, sulla semplicità e sulla più assoluta pigrizia, in cui è perfettamente lecito e accettabile uscire per comprare il latte in accappatoio e pagare con assegno, o presentarsi a casa di una persona particolarmente ricca e importante con zoccoli, bermuda e maglietta. Una vita vissuta con calma e presa come viene, con protagonista il più classico dei perdenti e degli antieroi o, per citare il formidabile incipit della pellicola, un uomo che è l’uomo giusto al momento giusto nel posto giusto, là dove deve essere.

Nello stile sedentario e rilassato del Drugo si scorge però anche una sottile e pungente critica a una società sempre più schizofrenica e precipitosa, in cui ogni occorre compiere ogni attività alla massima velocità e dove chi non si adegua diventa un emarginato. In quel Gli sbandati hanno perso! gridato da Jeffrey Lebowski al suo più giovane omonimo, con scanzonata riposta di quest’ultimo, percepiamo infatti una netta spaccatura fra la classe più privilegiata e coloro che la delegittimano, con tutto il malcelato e reciproco rancore. In certe sfumature e in alcuni frangenti, Il grande Lebowski sa quindi essere anche severa e ironica critica sociale, facendosi portavoce del disagio di una classe e di un’intera generazione.

Il grande Lebowski cinematographe

A ormai 20 anni dalla sua uscita, Il grande Lebowski non ha perso un grammo della sua portata culturale e cinematografica, e continua a ispirare nuove generazioni di cinefili e appassionati. Questa piccola e particolare opera ha così smesso di essere proprietà esclusiva dei Coen ed espressione di una specifica epoca, diventando un inno alla leggerezza e alle nostre debolezze, ma anche alla fiducia in quella dannata commedia umana che procede e si perpetua. Un patrimonio dell’umanità più vivo che mai, da vedere e rivedere per cogliere appieno ogni sua più intima sfumatura e ogni suo più piccolo dettaglio.

«Sei un cazzone, Walter!»
«Dai Drugo… fregatene, no? Andiamo al bowling.»

Il grande Lebowski cinematographe

Giudizio Cinematographe

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5

Voto Finale