TFF41 – Il cielo brucia: recensione del film di Christian Petzold

Il secondo capitolo della trilogia sugli elementi cominciata tre anni fa con, Undine, è un’opera bizzarra, seducente e spietata, a metà strada tra commedia grottesca e dramma. La derisione di un certo intellettualismo si accompagna coraggiosamente a quella sulla fluidità sessuale, che cede presto il passo all’elaborazione tormentata dei propri sentimenti e così l’accettazione della fine. In anteprima italiana al 41° Torino Film Festival

Presentato in anteprima mondiale al Festival internazionale del cinema di Berlino, risultando vincitore dell’Orso d’Argento e in seguito all’International Istanbul Film Festival, seguito dal Festival del cinema indipendente di Buenos Aires, dal Sydney Film Festival e infine dal Tribeca Film Festival, Il cielo brucia, il decimo film da regista, dell’autore di La donna dello scrittore è giunto fino a noi, presentato in anteprima italiana alla 41a edizione del Torino Film Festival.

C’è una casa di campagna, immersa tra le foreste e le acque del Baltico e attorno ad essa, un pericoloso incendio. Qui, trascorrono un’estate, destinata a segnare la loro memoria, due amici, il tormentato e piuttosto insopportabile scrittore Leon (un efficace Thomas Schubert) ed il fotografo Felix (Langston Uibel), che condividono le sottili mura della casa con una giovane donna dagli appetiti sessuali insaziabili e dalle inevitabili sorprese, Nadja (notevole l’interpretazione di Paula Beer), destinata a sconvolgere i fragili equilibri del duo, rompendo una volta per sempre silenzi e convinzioni di Leon e Felix, due anime erranti, l’una per un verso e l’altra per un altro, che forse si ritroveranno, oppure si perderanno per sempre.

La trilogia degli elementi e del sentimento continua, è il momento del fuoco

Il cielo brucia di Christian Petzold - Cinematographe.it

A tre anni di distanza dall’acquoso realismo magico di Undine – Un amore per sempre, il primo capitolo della trilogia sugli elementi e i sentimenti di Christian Petzold, Il cielo brucia, sequel spirituale diretto, con ben pochi elementi in comune con quest’ultimo e in generale con il cinema di Petzold, da sempre estremamente politico e rigido, concentra la sua riflessione sull’incontro e scontro tra arte, sessualità, amicizia e sentimento.

Un’indagine atipica e profondamente seducente sui tormenti interiori di quattro individui differenti tra loro, alla ricerca disperata di un’identità concreta, e con essa, anche di un proprio posto nel mondo. Nel caso di Leon, coincide con il raggiungimento di uno status e la soddisfazione di un desiderio inizialmente irraggiungibile, quello di diventare uno scrittore, mentre nel caso di Nadja, di una corrispondenza emotiva e intellettuale via via più complessa, rispetto alla quale Petzold costruisce una sorta di plot twist che muta irreversibilmente le logiche narrative del film, dando inizio a qualcosa di estremamente differente, soprattutto al sopraggiungere delle fiamme.

Il cielo brucia è un film bizzarro, che include al suo interno moltissimi altri film e generi, intrecciati tra loro e in continua mutazione, passando per la commedia grottesca che poggia sulla rabbia (in)espressa di Leon, il dramma (cosa nasconde Felix?), la rom-com ed il sempre più florido amore & malattia, senza dimenticare lo sfondo dell’intero scenario narrativo, che si lega ad un genere ancora differente, quello catastrofico, seppur riletto dal tono rigidamente in sottrazione del cinema di Petzold, totalmente disinteressato alla dimensione spettacolare della faccenda e focalizzato sui tumulti interiori, i silenzi, gli sguardi e ciò che rabbia, amore e tristezza significano realmente per i suoi protagonisti.

Il cielo brucia: valutazione e conclusione

Di questo film sorprende la natura curiosamente frizzante, derisoria e spietatamente cinica della scrittura di Petzold, fatta di amarissime ed incessanti frecciate, verità non dette e destabilizzanti cambiamenti di forma e dialogo tra quattro protagonisti costruiti in modo così odioso, gelido, e realistico da non permettere in alcuna situazione allo spettatore di parteggiare per questo o per quello, restando a distanza, in assenza di giudizio, ma dallo sguardo sempre più attivo e protagonista, invitato in qualche modo dallo stesso Petzold a partecipare voyeuristicamente, senza tuttavia poter agire.

Qua e là appaiono echi e riferimenti di cinematografie distanti tra loro, eppure radicatissime nell’immaginario di Petzold, tra le quali Bergman, Baumbach, Rohmer, Hansen-Løve e così di moltissimi altri autori che si rincorrono, sostituendosi l’uno all’altro nel corso di un racconto estivo nient’affatto idilliaco, piuttosto conflittuale, definitivo e mortifero, che permette comunque all’arte e alla vita di sopravvivere, seppur pagando pegno, un po’ all’amore, un po’ all’amicizia.

Un melodramma cupo, remissivo e rabbioso che cela tra le sue moltissime ombre un vero e proprio punto di svolta nella cinematografia di un autore fino ad ora rigorosissimo e qui per la prima volta posto dinanzi a sé stesso, protagonista di un confronto che non fa sconti a niente e nessuno, prendendo a piene mani dal melodramma e così dalla tragedia, che infiammandosi brucia, fino a svanire, come quella casa e forse, perfino chi la vive.
Interessante.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.2