Berlinale 2018 – La donna dello scrittore (Transit): recensione del film di Christian Petzold

La donna dello scrittore (Transit il titolo originale) di Christian Petzold è un film sull'attesa che brilla per intelligenza narrativa.

Quando il tuo Paese, la tua casa, vengono invasi da truppe straniere o vessati da conflitti interni, per quanto sofferta, per quanto impensabile fino a un momento prima, l’unica soluzione possibile diventa, improvvisamente, quella della fuga. Lasciarsi tutto alle spalle: affetti, ricordi, certezze, portandosi dietro la sola speranza che il posto dove stiamo andando possa essere un posto migliore. Christian Petzold, adattando il romanzo omonimo della scrittrice tedesca Anna Seghers, Transit (pubblicato in Italia da Edizioni di Cultura Sociale nel 1953 con il titolo di Visto di transito – ormai probabilmente introvabile se non su qualche bancarella di libri usati), ci consegna un film che brilla per intelligenza narrativa, un film sull’attesa, sul dolore delle scelte, sul passato che incontra il presente in un continuo via vai di vite umane. In transito.

Le truppe Naziste, tenendo ormai sotto scacco l’Europa, entrano a Parigi e Georg (Franz Rogowski) è costretto alla fuga ma riesce a raggiungere Marsiglia. In possesso dei documenti di uno scrittore da poco suicidatosi, giunto a destinazione decide di assumere l’identità di quest’ultimo. Città portuale, affacciata sul mare, a Marsiglia possono entrare solo quelle persone capaci di dimostrare di essere soltanto di passaggio, pronte quindi a lasciarsi alle spalle le coste francesi nella speranza di raggiungere altri lidi. Georg ha con sé una lettera dell’ambasciata Messicana dove gli assicurano (o meglio assicurano allo scrittore defunto) un visto per partire. Mentre aspetta di ottenere uno dei pochi posti a bordo delle navi in partenza, Georg incontrerà Marie (Paula Beer) e i suoi piani cambieranno radicalmente.

La donna dello scrittore: quando passato e presente si sciolgono nel contemporaneo

La donna dello scrittore cinematographe.it

Con La donna dello scrittore, Petzold compie un’azione straordinaria. Dimentico delle limitazioni imposte dal raccontare una storia calata nel proprio contesto storico, il tempo viene trasceso e l’avanzare delle truppe tedesche al tempo della Seconda Guerra serve soltanto come pretesto per dare il via all’azione. Infatti, la Marsiglia che ci troviamo di fronte è la Marsiglia di oggi, con le forze armate che vestono i panni della polizia locale e nessuna guerra in corso per giustificare il cieco obbedire all’ordine di scovare immigrati illegali e cacciarli con la forza.

Al tempo stesso, i corridoi degli alberghi, le sale di attesa dell’ambasciata, tutti questi luoghi trasudano di storie, di voglia di raccontare la propria esperienza, di come si è sfuggiti alla morte per un soffio, o di chi si è lasciato indietro e ancora piangiamo per questo. Ė il dramma di essere straniero in un posto di passaggio, che non ti vuole e ti rigetta; ma è anche il dramma delle lunghe e snervanti attese che ci dividono da quel tanto agognato pezzo di carta, troppo spesso negato per qualche ridicolo impiccio burocratico. I personaggi del passato, con le loro storie e le loro ombre, affollando quindi una Marsiglia contemporanea a ricordarci che le colpe di ieri non sono mai state cancellate con un colpo di spugna e che, anche oggi, ci troviamo pericolosamente sull’orlo del solito precipizio.

La donna dello scrittore e la sofisticazione dell’abbandono

La donna dello scrittore cinematographe.it

A questi temi, inoltre, si affianca quello del ricordo, declinato in una domanda che ricorre per tutta la durata della pellicola. Ci si chiede, infatti, chi dimentichi prima, se la persona che ha deciso di lasciare oppure quella che è stata lasciata. Ė una domanda crudele, una domanda che assilla la maggior parte dei personaggi che si affastellano in questo racconto, perché tutti, almeno una volta, siamo stati lasciati e tutti, al contempo, abbiamo deciso di lasciare. E non sempre il confine del dolore scaturito dalla separazione è così netto, come non sempre chi lascia è la persona più forte. Il rimpianto e il rimorso aspettano sempre dietro il primo angolo, pronti a tormentarci durante il sonno e la veglia.

La donna dello scrittore dunque è un film incredibilmente sofisticato, un film che si arricchisce dei suoi numerosi livelli di lettura, che lega passato e presente in un gioco malinconico di ombre. Ė un piccolo gioiello che ci regala uno spaccato di una vita che forse non saremo mai costretti a vivere ma per cui, al tempo stesso, dovremmo provare almeno un’umana empatia. Perché l’incertezza, i sogni di un futuro migliore, il dolore di abbandonare chi amiamo, l’interminabile angoscia dell’attendere sono universali e, proprio per questo, non dovremmo girarci dall’altra parte.

La donna dello scrittore (titolo originale Transit) è al cinema dal 25 ottobre con Academy Two.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 5

4.6

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