Butcher’s Crossing: recensione del film con Nicolas Cage

Butcher’s Crossing si rivela un modello di cinema western inaspettatamente interessante che se non sorprende per originalità e inventiva, conquista per la tematica trattata e l’analisi del personaggio

Presentato al Toronto International Film Festival e alla 22° edizione della Festa del Cinema di Roma, Butcher’s Crossing, quinto lungometraggio di Gabe Polsky – regista americano indipendente dell’ottimo Motel Life passato anch’esso attraverso la Festa del Cinema di Roma nell’ormai lontano 2012 – è l’adattamento dell’omonimo romanzo di John Edward Williams, celebre romanziere e poeta, vincitore nel 1973 di un National Book Award per il suo notissimo Augustus.

Gabe Polsky ben consapevole della pesante eredità narrativa scrive il film con il suo sodale Liam Satre-Meloy, produttore dei precedenti lungometraggi di Polsky, prendendo a piene mani dal repertorio western di autori estremamente differenti tra loro quali Budd Boetticher, Henry Hathaway, Clint Eastwood, Sam Peckinpah e Robert Altman, pur di dar vita ad un western in piena regola che se non sorprende per inventiva e originalità, conquista per analisi del personaggio e profondità della tematica trattata.

L’eredità narrativa (letteraria e cinematografica) di Butcher’s Crossing

Butcher's crossing, recensione, Cinematographe.it

Inevitabile citare Il Grinta di Henry Hathaway, film cardine del 1969, non soltanto per quanto riguarda il genere western, piuttosto per la storia del cinema nella sua totalità, presentando per la prima volta un modello di eroe sporco, violento, burbero e stanco della vita che se accetta di lavorare è soltanto per il guadagno economico e non più per quello morale ed etico com’era stato fino ad allora per i protagonisti del cinema western nordamericano, a partire da Il cavaliere della valle solitaria di George Stevens che nel 1953 sembrava già voler mostrare alcune ombre di quegli eroi solitari e apparentemente immortali e perciò affascinanti chiamati Cowboy.

Un discorso proseguito e in qualche modo concluso diversi anni più tardi da Clint Eastwood con Gli Spietati, il capolavoro nostalgico, nichilista e profondamente drammatico che chiude per un periodo più o meno duraturo il racconto western, all’interno del cinema americano a cavallo tra gli anni ’90 e i primi 2000. Eastwood non presenta modelli virili ed eroici positivi, piuttosto anime corrotte, violente, maligne e ormai destinate ad una fine solitaria, nel ricordo evidentemente scosso di ciascuna brutalità perpetrata per un fine esclusivamente economico, oppure di fama.

Ecco dunque il legame tra Gli Spietati, Il Grinta e Butcher’s Crossing, la presentazione di personaggi maschili sporchi, violenti, folli e affamati di denaro e fama, messi in contrapposizione con anime innocenti, curiose e non ancora macchiate dalla violenza, destinate però ad interfacciarsi con quella realtà fino a chiedersi chi siano i buoni e chi i cattivi.

La trama del film e i suoi evidenti riferimenti cinematografici

Butcher's Crossing recensione, Cinematographe.it

Butcher’s Crossing comincia esattamente come Il Grinta di Hathaway (riletto in seguito dai Fratelli Coen in chiave decisamente più cupa e adulta) ossia con l’arrivo in una cittadina qualsiasi, in questo caso Butcher’s Crossing nel Kansas – una delle molte cittadine dell’epoca arricchite unicamente dalla vendita delle pelli, taglie o dei capi bestiame – di un giovane forestiero, Will Andrews (Fred Hechinger) che animato da una curiosità inaspettata rispetto alla realtà selvaggia del West (come in questo caso) decide di abbandonare la modernità e il lavoro facilitato dai mezzi industriali dell’epoca,1873, pur di conoscere quel modello di vita e inseguendo quindi la virilità solitaria e violenta dei cowboy e l’ostilità della natura.

Will sceglie perciò di unirsi senza conoscenza alcuna ad una battuta di caccia organizzata da un noto cacciatore della zona, Miller (Nicolas Cage), accompagnato da due dei suoi uomini più fedeli. Una battuta di caccia destinata a mutare molto presto in una spirale senza fine di morte, dolore, violenza e follia.

Quando Will giunge a Butcher’s Crossing chiunque conosce la fama di Miller e il denaro (così come la fama) appartiene a coloro che sono capaci di consegnare alla vendita di pelli locale il numero più alto possibile di capi di bufalo.

Fin da subito si ha chiara l’esistenza di una gerarchia e di un nucleo isolato e osservato per certi versi con invidia e malignità, se non sbeffeggio, da tutti gli altri, quello capitanato dal Miller di Nicolas Cage, un uomo folle e visceralmente ossessionato dalla sua missione mortifera e mortale che sembra venir fuori da un incontro anomalo e bizzarro tra il Kurtz (Marlon Brando) di Apocalypse Now e il Reuben J. “Rooster” Cogburn (John Wayne/Jeff Bridges) de Il Grinta.

Laddove Miller sembra essere consapevole delle conseguenze psicologiche e fisiche della sua missione, ossia il raggiungimento di una valle solitaria e sperduta tra le montagne dove a suo dire dovrebbe esserci la più grossa mandria di bufali mai vista, Will non sembra invece cogliere la presenza così opprimente e oscura della morte e della violenza, seppur gridata a gran voce da ciascun personaggio incontrato lungo la strada, nel raggiungimento della valle dei bufali e questo perché Will non è altro che una costola dello Schofield Kid (Jaimz Woolvett) degli Spietati di Eastwood, un’anima ancora fin troppo giovane, innocente, buona e impreparata dinanzi ai rischi del selvaggio west, inteso come paesaggio naturale e umano estremamente variegato, pericoloso e affascinante.

La figura del cowboy e il western secondo Gabe Polsky

Il film di Polsky dunque non racconta soltanto la virilità corrotta e maligna di questi cowboy così evidentemente marci, privati di qualsiasi moralità e perciò idea di condotta rispetto alle logiche della legge e della sopravvivenza nella società e nella natura, bensì le conseguenze psicologiche e fisiche dell’ossessione, qualsiasi essa sia.

Quella di Miller è lo sterminio dei bufali, quella di Will è la conoscenza profonda della vita del cowboy, mentre quella degli altri compagni di missione il denaro. Dunque la domanda che il film di Polsky pone intelligentemente allo spettatore è: a che cosa e dove può condurre l’ossessione?

Butcher’s Crossing si rivela perciò un modello di cinema western inaspettatamente interessante che se non sorprende per originalità e inventiva, conquista per la tematica trattata e l’analisi del personaggio, affidata ad alcune interpretazioni davvero memorabili e singolari, come quella di Nicolas Cage che in pochi sguardi e inquadrature di primissimo piano silenziose e allucinate regala allo spettatore un background del personaggio vastissimo fatto di ossessioni, spietatezza, dolore, sacrificio e lucida follia.

Così come Il Grinta, Il mucchio selvaggio, I compari e Gli Spietati, anche Butcher’s Crossing di Gabe Polsky, pur non raggiungendo quell’intensità di scrittura, regia e in generale di tematica, vuole farsi racconto cupo, sporco, violento e drammatico sugli orrori celati dietro al mito della frontiera, consegnando un Nicolas Cage brutale e inquietante senza precedente alcuno. Una vera sorpresa.

Regia
Sceneggiatura
Fotografia
Recitazione
Sonoro
Emozione