Altri dieci giorni tra il bene e il male: recensione del film Netflix di Uluç Bayraktar

Il secondo capitolo delle involontarie tragicomiche vicende dell'investigatore Sadik, ex avvocato ed ex galeotto, nato dalla penna di Mehmet Eroglu, è disponibile su Netflix, ed insospettabilmente è una grande lezione rispetto a ciò che accade quando si negano le radici di un genere, in nome di un tradizionalismo culturale bigotto e conservatore, che nulla può di fronte alla tecnica, alle estetiche e agli stili di un cinema assai distante e proprio perché distante, potente, credibile e reale. C'è molto poco di reale qui in termini di "fare cinema" e forse, va visto anche per questo. Anzi, soprattutto per questo.

L’estate scorsa, per un periodo di tempo ormai difficilmente quantificabile, seppur stranamente lungo, restava in vetta alla classifica dei dieci film internazionali più visti di Netflix, un prodotto tutto sommato minore rispetto a film dai grandi nomi e produttori e così via. Quel film era Dieci giorni tra il bene e il male, primo capitolo di un’ideale trilogia turca a metà strada tra i linguaggi del noir e quelli dell’hard boiled – seppur di serie B – seguito dal titolo del momento, Altri dieci giorni tra il bene e il male, ancora una volta diretto da Uluç Bayraktar e interpretato da Nejat Isler.

Laddove l’immaginario nerissimo, disperato, fumettistico, noir e gangsteristico del primo film, costruiva una narrazione di caduta e ascesa di un uomo come tanti, ex galeotto, ex avvocato, ormai divenuto investigatore, e in seguito probabilmente criminale, con il pallino della vita su di un’isola tropicale, come massimo idillio e fonte di felicità, questo secondo film gioca invece la carta del grottesco, mettendo da parte l’ascesa e raccontando il crollo, o meglio, il disfacimento apparentemente reale di una lunga serie di convinzioni e strutture mentali capaci di ricondurre ad una potenziale fine, rimandando invece ad un inevitabile inizio, un altro.

Altri dieci giorni tra il bene e il male - Cinematographe.it

Marlowe non c’è più, spazio a Memento

Avevamo lasciato Sadik (Nejat Isler) alle prese con una sparizione – c’è da dire, nemmeno particolarmente interessante e interessata rispetto alle logiche narrative del precedente capitolo – lo ritroviamo vittima di un incidente e di una perdita della memoria e di ciò che avrebbe dovuto compiere e che chiaramente non ha compiuto – o forse solo in parte, pur non ricordandolo – pressoché totale.

Una condizione questa che non può che allontanarlo – forzatamente e immediatamente – dal suo mito, il Marlowe di Elliott Gould, quello dell’intramontabile, disperato e nostalgico Il lungo addio, diretto da Robert Altman, avvicinandolo sempre più al Leonard Shelby di Guy Pearce in Memento, del sempre più stimato e glorificato Christopher Nolan.

Eppure, trattandosi ancora una volta di un film a metà strada tra noir e hard boiled, niente è come sembra e nel corso delle sue due ore estremamente variegate, bizzarre ed evidentemente indecise e confuse sulla natura di linguaggio e codice di un film che potrebbe ricercare serietà, preferendole invece perdizione buffa, se non caduta rovinosa tra parodia non voluta e comicità involontaria, ogni situazione e accadimento è pronto a ribaltarsi, dimostrando che quanto visto, potrebbe in realtà non corrispondere a quell’ordine narrativo, o ancora, significato.

Ciò che invece resta invariato del primo capitolo, probabilmente più solido poiché maggiormente mirato su di una narrazione tipicamente ed unicamente hardboiled, perciò priva di sottogeneri e derivazioni di dubbio gusto e utilità, è il ruolo manipolatorio, sessualmente seducente, aggressivo e letale delle figure femminili che gravitano attorno alla figura complessa e molto spesso divertente, seppur in modo bizzarro, dell’investigatore Sadik.

Scordate le tipiche femme fatale da cinema noir, così riconoscibili e vivide per questioni di eleganza formale e non, tornando piuttosto con la memoria alle sexy e pericolose co-protagoniste di titoli quali xXx di Rob Cohen, o ancora, Transporter del duo Louis Leterrier/Luc Besson, fotografate e modellate nel corso della narrazione in quanto armi su tacchi a spillo. Donne alle quali l’eleganza serve a poco, se non a nulla, poiché tutto ciò che conta è l’adescamento, la manipolazione sessuale ed infine, come traguardo ultimo, la morte.

Il nome di Luc Besson non è certamente casuale, poiché ogni battuta di dialogo, o costruzione d’atmosfera e sequenza action/comedy/grottesca, è proprio all’immaginario cinematografico del regista di Nikita, Cose Nostre – Malavita e Anna che guarda, senza porsi alcuno scrupolo, mettendocela davvero tutta pur di replicarne immediatezza, toni, credibilità e divertimento caustico.

Altri dieci giorni tra il bene e il male: valutazione e conclusione

Altri dieci giorni tra il bene e il male presentandosi dunque come un prodotto ibrido, confuso, citazionista, certamente divertito – anche se sarebbe stato meglio divertente, almeno per noi – che in nome di una propria idea di cinema fortemente culturale (nonostante della Turchia si veda e si senta molto poco, quasi niente) tenta di rincorre fieramente una potenziale idea di cinema action anti-americano, dimostra in realtà e ben presto di non possedere alcuna reale impronta e voce, se non quella presa in prestito, ed è il caso di dirlo, davvero tristemente, da autori estremamente differenti tra loro e da Uluç Bayraktar, come John Woo, Luc Besson e Gareth Evans.

Altri dieci giorni tra il bene e il male - Cinematographe.it

Netflix ancora una volta trasla per il piccolo schermo, nonostante si parli di cinema, la trilogia di romanzi scritta da Mehmet Eroglu, più che celebre in patria, e sconosciuto nel resto dei paesi, o almeno così pare, confermando ancora una volta le basse pretese di una trasposizione dagli stili e dalle estetiche mestamente televisive, tali da arrendersi senza opporre alcuna difesa, di fronte ad un guazzabuglio di idee fastidiosamente intrecciate tra loro, che non conducono il film da nessuna parte, se non nel dimenticatoio.

Che cosa si impara da Altri dieci giorni tra il bene il male?

Cosa non è hard boiled, cosa non è noir, e ancor più importante, cosa non è Cinema.

Un gran peccato, ma l’eccesso di superficialità gigioneggiante, infantilmente demenziale e semplicistica di questo film è così sfiancante da indurre a credere che non vi sia mai stato nemmeno un barlume di serietà nel dar vita a questo secondo capitolo, Altri dieci giorni tra il bene e il male… altro male? Speriamo non più.  

Altri dieci giorni tra il bene e il male è disponibile su Netflix.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 1.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 1

1.6

Tags: Netflix