20 serie tv horror da vedere prima di morire

Quali sono le migliori serie tv horror, quelle da vedere assolutamente, almeno una volta nella vita? La nostra top 20 vi guida tra i migliori telefilm della storia, dai grandi classici come Ai confini della realtà fino ad arrivare a Black Mirror

Vampiri, zombi, spietati serial killer o inquietanti presenze da un’altra dimensione. L’horror ha mille facce e altrettante declinazioni e trova ampio spazio nella letteratura, al cinema e, ovviamente, anche nelle serie tv.
Grazie a telefilm di successo come The Walking Dead o The Vampire Diaries, sempre più gente ha cominciato ad avvicinarsi e ad appassionarsi al genere horror nei telefilm ed è per questo motivo che noi di Cinematographe abbiamo deciso di stilare una classifica delle 20 serie tv horror da vedere, quelle che a nostro parere sono e sono state le migliori, facendo scuola a tutta la storia della tv! Partiamo dunque da True Blood, passando per Stranger Things, fino ad arrivare a… beh, per scoprire le prime posizioni vi toccherà scorrere la classifica!

True Blood

Distribuito in contemporanea con Twilight, il teen horror tratto dai romanzi di Stephanie Meyer, True Blood è praticamente il suo cugino di secondo grado, quello irriverente e un po’ sopra le righe, totalmente privo di filtri – e spesso neanche troppa dignità.

Tratto dalla saga letteraria per “giovani adulti” scritta da Charlaine Harris, True Blood è stata per anni la serie tv di punta di HBO ed è andata in onda per ben sette stagioni, dal 2008 al 2014, con una delle sigle di apertura più belle della televisione mondiale (diretta, manco a dirlo dall’agenzia creativa Digital Kitchen, già nota per aver diretto le sigle di Narcos e Six Feet Under).

Protagonista della serie è la cittadina di Bon Temps, locus amoenus solo all’apparenza, perché teatro di atroci e spietate creature che durante la notte si nutrono del sangue e dell’anima degli esseri umani. Nel lato oscuro della pacifica cittadina della Louisiana, si muovono indisturbati conturbanti vampiri e inquietanti lupi mannari che cercano in tutti i modi di mescolarsi con la gente comune. Nonostante la trama non brilli per originalità e le sottotrame si spingano spesso oltre il limite consentito, True Blood ha avuto il grande merito di sdoganare il sesso e l’omosessualità in un luogo, come il piccolo schermo, in cui i taboo regnavano sovrani. I personaggi di True Blood sono promiscui, estremi, volutamente esagerati e non hanno filtri, dignità, pudore e le loro personalità sono complesse e tridimensionali: insomma, una vera e propria rivoluzione.

Scream

Serie tv horror da vedere cinematographe

Quando Scream è uscito al cinema per la prima volta nel 1996, pubblico e critica si sono letteralmente spaccati in due: da un lato c’era chi aveva preso piuttosto male il ritorno al cinema di Wes Craven, perché troppo superficiale e demenziale; dall’altro, c’era chi era riuscito ad andare oltre le apparenze e a ritrovare, nel suo film, un piccolo gioiello di metacinema, pur con tutti i suoi limiti e le sue ingenuità, nonché un ritorno in grande stile del sottogenere slasher.

Vent’anni dopo, Mtv decide di riesumare il riesumabile e di riportare in vita il cult degli anni Novanta, trasformandolo in una serie tv divertente, brillante e per certi versi anche migliore dei film di Wes Craven. Sì, perché Scream è un telefilm che parla di adolescenti e si rivolge a un pubblico piuttosto giovane, così come in fondo erano i film di Craven degli anni Novanta, ma ha uno stile estremamente moderno e in qualche modo cerca di migliorare i presupposti della saga cinematografica: c’è tanto slasher, ci sono i bulli e i perdenti delle scuole superiori, ci sono gli amanti di cinema e serie tv, ci sono gli assassini spietati con la maschera di Munch (in una rivisitazione decisamente più inquietante, peraltro). Insomma, c’è il cocktail perfetto per un’operazione nostalgia imperdibile – solo, però, se siete dei veri amanti del genere.

Dead Set

Serie tv horror da vedere cinematographe

Charlie Brooker è diventato un’icona della televisione horror grazie a Black Mirror, ma non tutti sanno che il suo esordio è stato un altro – e a dirla tutta completamente diverso dalle atmosfere cupe e distopiche a cui ci siamo abituati.

Parliamo di Dead Set, serie tv inglese del 2008 composta da 5 episodi, autoconclusiva e sperimentale, che ha avuto un grande successo di critica, ma è finita – purtroppo – nel dimenticatoio. Già due anni prima di The Walking Dead, e forse con premesse più interessanti e coraggiose, Dead Set è una serie tv che parla di zombi e lotta alla sopravvivenza in un mondo letteralmente devastato da un’epidemia che trasforma gli uomini in morti viventi. Gli unici sopravvissuti alla strage, in questo caso, sono i protagonisti del Grande Fratello inglese, che sono però anche completamente ignari di ciò che accade nel mondo esterno. Quando uno dei pochi superstiti del “mondo reale” li mette al corrente della situazione, è il segnale che forse, quel mondo, sta per finire davvero.

Pur con toni diametralmente opposti a quelli usati in Black Mirror, in Dead Set è già presente buona parte della poetica di Charlie Brooker, che critica apertamente il meccanismo classista della televisione, minandolo però dall’interno. Brooker, infatti, è lui stesso autore televisivo – e quindi apparentemente parte integrante di questo sistema elitario e tossico in cui gli esseri superiori (gli autori o, per estensione, gli spettatori) osservano morbosamente le azioni ripetitive e stereotipate degli esseri inferiori (in questo caso i concorrenti del Grande Fratello). Ironico, poi, che siano proprio loro gli unici destinati a salvarsi (e destinati, quindi, a ripopolare idealmente il mondo all’indomani dalla sua fine).

Buffy – L’ammazzavampiri

Alzi la mano chi, durante l’adolescenza, rimandava i compiti per guardare l’ultimo episodio di Buffy – L’ammazzavampiri, la serie tv di Joss Whedon (ormai acclamato regista di comic movies come The Avengers) che è diventata, in breve tempo, un vero e proprio culto per tutti gli amanti dell’horror, senza distinzione di età o estrazione sociale.

E dire che il film da cui la serie è tratta fu un tale flop che nessuno si sarebbe mai aspettato un successo planetario come questo.

A pensarci bene, però, in Buffy sono presenti tutti gli elementi del successo: i teenager, le high school americane, i mostri, il sesso (non così esplicito come in True Blood ma in fondo erano anche tempi diversi). Ma ciò che forse colpisce più di ogni altra cosa è che la protagonista, Buffy, è una ragazza comune, carina ma non troppo e senza particolari velleità, ed è quindi molto facile immedesimarsi in lei e riconoscere nella sua lotta contro il male una sorta di allegoria dei tormenti adolescenziali che portano alla crescita di ogni individuo.

Pur con uno stile dichiaratamente cheap ed effetti speciali non proprio da manuale del cinema, Buffy è ancora oggi una delle serie tv più amate in assoluto.

Masters of Horror

Masters of Horror è una serie tv in due stagioni nata dalla mente di Mick Garris (I sonnambuli, L’ombra dello scorpione), con l’intento di realizzare una raccolta antologica di mediometraggi horror diretti dai più grandi maestri del genere come Carpenter, Dante, Landis, Hooper o Argento.

La serie è andata in onda per due anni, dal 2005 al 2007, e nonostante diversi cali sia negli ascolti che nella qualità degli episodi, rimane tra gli esperimenti televisivi più interessanti, anche per il modo in cui la serie tv ha avuto inizio.

Garris racconta, infatti, di aver invitato a cena alcuni suoi amici (tra cui Dante, Del Toro, Carpenter e Argento), una sera del 2002, per chiacchierare amabilmente dei loro successi e della loro carriera fino a quel momento. A quella piacevole cena tra amici, ne sono poi seguite diverse altre che sono diventate vere e proprie sedute di brainstorming per la realizzazione della serie tv.

Il pregio di un telefilm come Masters of Horror è quello di raccogliere in un unico prodotto tanti stili diversi, tanti modi di raccontare l’orrore e, soprattutto, ha permesso al mondo intero di vedere i grandi maestri del cinema horror cimentarsi in un prodotto destinato al piccolo schermo.

Santa Clarita Diet

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Gli zombi possono essere anche divertenti: basti pensare a Zombieland o a Shaun of the Dead. Difficilmente, però, gli zombi hanno sviluppato una qualche ironia sul piccolo schermo. Ben vengano, quindi, serie televisive come Santa Clarita Diet, divertentissima commedia black interpretata da Drew Barrymore e Timothy Olyphant.

Santa Clarita è il tipico sobborgo americano, con case perfette e abitanti perfetti: lo scenario ideale, insomma, per una storia dell’orrore. Immaginate cosa succede, quindi, se una giovane donna viene colta da un malore improvviso e anziché morire “ritorna in vita” come se fosse uno zombi, ma per non dare troppo nell’occhio cerca di vivere la sua vita regolarmente, quasi come se fosse una persona normale. Di certo è più viva di tanti di loro, a guardarla bene, ma pensate che fatica sarebbe risvegliarsi zombi, una mattina, ed avere solo fame di carne cruda, possibilmente umana e allo stesso tempo doversi confondere con la massa che, invece, la carne la consuma solo al barbecue e possibilmente di maiale o manzo.

Sono queste le premesse bizzarre di Santa Clarita Diet, una serie tv targata Netflix fresca, brillante, con non pochi colpi di scena pur nella sua dichiarata leggerezza e uno stile sfacciato e immediato – così immediato che quasi ci dispiace che duri così poco.

Bates Motel

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Nel 1960, il maestro del brivido Alfred Hitchcock traspone per il cinema un romanzo di Robert Bloch, Psycho, ispirato (neanche troppo liberamente) alla figura controversa di Ed Gein, rapporto morboso con sua madre incluso.

Da quel grande classico, Carlton Cuse e Kerry Ehrin decidono di realizzare Bates Motel, un prequel carico di spunti interessanti, che scava a fondo nel rapporto malato e simbiotico tra Norman Bates e sua madre Norma, nel tentativo di creare lo scenario utile a comprenderne la discesa nella follia di entrambi. Il risultato è un telefilm multigenere, che spazia dal thriller, nuota liberamente nell’horror e sfocia spesso nel giallo psicologico un po’ old school di (ovviamente) Hitchcockiana memoria.

Il punto di forza, che sulle prime può far storcere il naso, è la volontà di ambientare la storia nei giorni nostri, cercando però di restituire alle ambientazioni un vago retrogusto retro, sia nella fotografia che nei colori. Lo stile di Bates Motel è molto televisivo, al punto da ricordare anche qualche puntata di Alfred Hitchcock Presenta (e magari non è una coincidenza), eppure la storia è avvincente anche se sappiamo già come andrà a finire ed è capace di incollarti allo schermo episodio dopo episodio – merito anche dei continui cliffhanger tra una puntata e l’altra.

Hai paura del buio? (Are you afraid of the Dark?)

Chiunque sia nato negli anni Ottanta non può dimenticare le produzioni televisive horror interamente dedicate ai più giovani: serie tv come Hai paura del buio?, raccolta antologica prodotta per la televisione nella prima metà degli anni Novanta.

Protagonisti erano un gruppo di bambini, membri del cosiddetto Club della Mezzanotte, che si riunivano tutte le settimane attorno a un focolare per raccontarsi storie di puro terrore.

Nonostante uno stile elementare e una regia poco curata e decisamente scarna, Hai paura del buio? ha avuto un successo tale che in Canada decisero di cavalcare l’onda e realizzare una serie tv ispirata ai romanzi di R.L. Stine, Piccoli Brividi, e verso la fine degli anni Novanta provarono a far rinascere la fiamma di Hai paura del buio? producendo una nuova stagione, che però non riscosse il successo sperato (probabilmente i tempi erano cambiati – e i giovani di allora erano ormai cresciuti).

Qualità discutibile a parte, Hai paura del buio? rimane uno dei telefilm più amati dai bambini di allora – ed è rimasto un vero e proprio cult televisivo ancora adesso (al punto che Netflix ha deciso di inserirlo nel suo catalogo).

Rosemary’s Baby – tv series

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Il capolavoro di Polanski del ’68 è inarrivabile, così come il suo predecessore, l’omonimo romanzo di Ira Levin del ’67. Eppure c’è qualcosa in questa serie televisiva della NBC che non può lasciarci indifferenti.

Ambientando la storia in una Parigi contemporanea (non siamo più, quindi, nella New York della fine degli anni Sessanta), questa rivisitazione di Rosemary’s Baby si allontana, in senso quasi positivo, dal suo grande antenato, e prova a intraprendere una strada tutta nuova: la possessione demoniaca assume, in questo telefilm, un significato ben più profondo e si pone come vera e propria allegoria della società contemporanea, disposta a tutto pur di ottenere ciò che vuole (anche vendere il proprio figlio al demonio).

Sorprendente e assolutamente perfetta anche la scelta del cast: Zoe Saldana è un’insolita Rosemary, mentre i coniugi Castevet sono interpretati da Carole Bouquet e Jason Isaacs.

Da vedere, anche se si è molto legati alla versione originale e al romanzo di Levin: l’importante, però, è farlo senza pregiudizi.

Stranger Things

Gli amanti di tutto ciò che è retro e, soprattutto anni Ottanta, non possono assolutamente perdersi neanche un episodio di Stranger Things, serie tv dei Duffer Brothers prodotta e distribuita da Netflix che nel Luglio 2016 ha fatto strage di cuori e spettatori.

Nel calderone di Stranger Things ci sono tutti gli ingredienti per un sicuro successo: le citazioni agli anni Ottanta, il soprannaturale, le musiche synthwave, i ragazzini sbarbatelli alle prese con le prime cottarelle adolescenziali… c’è perfino Winona Ryder, l’eterna ragazzina più amata di Hollywood. Insomma, nominate qualcosa che appartenga al meraviglioso mondo del memorabilia cinematografico del passato e la troverete, lì, ad aspettarvi.

La trama di Stranger Things è avvincente, così come lo sono le vicende dei suoi piccoli protagonisti e a differenza dei film da cui trae spunto tanto spazio è offerto anche alle storie degli adulti, che sono irrimediabilmente connesse a quelle dei più giovani.

L’unica nota di demerito è data, forse, dal citazionismo esagerato in cui a volte Stranger Things rischia di inciampare (al punto da riportare parola per parola interi dialoghi da film come IT o Stand by me), ma i piccoli protagonisti sono così adorabili che non potrete fare a meno di andare avanti nella visione e di innamorarvi di ognuno di loro.
I brividi ci sono, ma se siete abituati alle ambientazioni anni Ottanta non ci farete troppo caso – e in fondo va bene così.

Channel Zero

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Le Creepypasta sono leggende metropolitane nate esclusivamente sul web, create con l’unico scopo di inquietare e disturbare il lettore nella chiusura del racconto. A differenza dei racconti brevi horror, quindi, le Creepypasta sono racconti apparentemente lineari, tranne che per il loro colpo di coda, solitamente “spaventoso”. Il fenomeno è nato su 4Chan, piattaforma sul web che raccoglie e rigurgita tutto ciò che disturba online, ma si è diffuso rapidamente in giro per il mondo.

Ispirandosi a questo filone nasce Channel Zero, una serie tv britannica di discreto successo che sta facendo molto parlare di se soprattutto negli ultimi tempi, quando l’emittente televisiva Syfy ha deciso di trasmetterla per i suoi spettatori.

La prima stagione, Candle Cove, racconta la storia di uno psicologo infantile di nome Mike Painter, che torna nella sua terra d’origine perché ossessionato dal ricordo di un programma televisivo del suo passato – Candle Cove, appunto – molto amato dai bambini di allora, seppur molto inquietante, e responsabile, a suo dire, della sparizione di alcuni di quei bambini (tra i quali figura suo fratello).

La seconda stagione, invece, è ancora più classica della prima, per tema e svolgimento: un gruppo di amici decide di visitare una casa abbandonata e divenuta attrazione turistica, ma presto si accorge che quello che nasconde al suo interno è molto più inquietante delle apparenze.

Programmi televisivi con personaggi mostruosi e disturbanti, case infestate, mostri, spettri e fantasmi. Creepypasta, appunto, che diventano episodi di una serie tv un po’ acerba, per certi versi, ma ricca di spunti interessanti e un potenziale creativo destinato solamente a crescere e migliorare. Channel Zero è una serie televisiva da tenere d’occhio (anche perché il successo è stato tale che sono previste almeno altre due stagioni fino al 2019).

AHS – Asylum

A prescindere dalla qualità del prodotto, American Horror Story è ufficialmente una delle serie tv più longeve – e a suo modo più coraggiose – della televisione contemporanea. Creata da Ryan Murphy (già autore di Glee e Popular), American Horror Story è una serie tv antologica ispirata alle grandi leggende dell’horror americano: ogni stagione, infatti, rappresenta una narrazione a se stante ed è autoconclusiva. Il progetto è coraggioso, senza alcun dubbio, ma grottesco e confusionario il più delle volte, anche quando il grottesco è accidentale.

Tra tutte le discutibili stagioni, però, ce n’è una che merita più di una visione e la qualità registica, fotografica e narrativa è così elevata che quasi sembra una serie tv a se stante: parliamo, ovviamente, di Asylum, la seconda stagione di American Horror Story, andata in onda tra il 2012 e il 2013 e divenuta, in breve tempo, uno dei più grandi esempi di serie tv horror, per ambientazione e contenuti. Ambientata in un manicomio teatro di atroci e turpi sofferenze (niente di nuovo, è vero, ma è di leggende metropolitane e racconti tradizionali che parliamo, in fondo), AHS – Asylum è inquietante, disturbante e spaventosa al punto da toglierti letteralmente il sonno. La narrazione è così avvincente da spingerti al binge watching più estremo e le vicende dei suoi protagonisti sono così surreali da sembrare credibili – e quindi ancor più spaventose.

C’è un grande pregio, dunque, nelle serie antologiche come American Horror Story: puoi saltare tutte le altre stagioni e goderti solo quello che vale la pena vedere (in questo caso Asylum, ovviamente).

Dark

La distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente

(Albert Einstein)

Una sorpresa inaspettata per tutti gli amanti delle serie tv (e non solo): Dark, prima produzione Netlfix interamente Made in Germany, è forse uno dei progetti più interessanti del 2017 appena giunto al termine, nonché la migliore serie tv prodotta dall’emittente on demand statunitense.

Ambientata in una cittadina cupa, fredda e dalle atmosfere glaciali, Dark racconta una storia davvero difficile da spiegare a parole, perché estremamente complessa e intricata. Quel che è certo è che si muove in un arco temporale lungo 33 anni, dal 1986 al 2019, e che mette in luce due casi irrisolti incredibilmente simili tra loro, creando connessioni tali da azzerare completamente le distanze spazio-temporali.

Dark mescola il terrore alla fantascienza con una maestria tale da porsi come uno dei progetti più coraggiosi, intensi e sperimentali degli ultimi anni, complici anche un lavoro certosino fatto con suoni, musiche, rumori e colori.

Chi ha paragonato Dark a Stranger Things ha fatto un grossolano errore di valutazione, perché se quest’ultimo appare più come un’operazione nostalgia creata ad hoc per aggraziarsi i favori degli amanti degli anni Ottanta, in Dark il ritorno al passato è un pretesto per raccontare una storia molto più cupa, più intensa e decisamente più matura della serie tv dei fratelli Duffer.

X-Files

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Chi è cresciuto negli anni Novanta sa che X-Files era un appuntamento imprescindibile, in famiglia, uno di quei telefilm capace di catalizzare le attenzioni di tutti, grandi e piccini, per ore ed ore davanti a un piccolo schermo. L’iconica sigla di apertura era quasi più attesa dell’intero episodio.

Che piaccia oppure no, X-Files e Twin Peaks hanno rivoluzionato il modo di concepire la televisione fino a quel momento ed hanno spianato la strada per tutti i telefilm a venire. La combinazione perfetta tra terrore e fantascienza di X-Files era tale da incollare letteralmente gli spettatori alla sedia, occhi fissi sullo schermo, alla scoperta di tutti quei casi irrisolti o difficili da risolvere, in cui probabilmente era forte la matrice soprannaturale.

È stato questo, forse, uno dei grandi pregi di un telefilm come X-Files: rendere plausibile il soprannaturale e avvicinare realtà distanti anni luce da noi per renderle quasi reali, palpabili, concrete.

Con ben 9 stagioni andate in onda tra il 1993 e il 2001, X-Files era già diventata una delle serie tv più longeve della storia della televisione contemporanea: la nostalgia per gli agenti speciali dell’FBI Mulder e Scully, però, era tale da richiedere la realizzazione di almeno altre due stagioni tra il 2017 e il 2018, dopo le quali, forse, potremo dire addio a uno dei telefilm più amati di sempre.

Hannibal

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Ci sono casi in cui i telefilm riescono a eguagliare o superare i film o i libri da cui traggono spunto e ispirazione. È il caso di Hannibal, serie tv di Bryan Fuller con Mads Mikkelsen e Hugh Dancy, andata in onda per sole tre stagioni e poi brutalmente cancellata per inspiegabili ragioni dovute a un calo di ascolti. Inspiegabili perché di una serie tv come Hannibal non ti stancheresti mai, perché il modo in cui sono rappresentati i buoni e i cattivi è completamente diverso da ciò a cui ci eravamo abituati fino ad allora e perché il rapporto morboso di odio/amore tra Hannibal Lecter e William Graham che è alla base dell’intero telefilm vi farà mettere in discussione il vostro concetto di bene e male.

Hannibal è un telefilm che scava a fondo nelle origini del male che alberga in un mostro come Hannibal Lecter: Fuller, però, decide di presentarci lo spietato psichiatra come un uomo colto, affascinante e misterioso, quasi magnetico, al punto che ne siamo contemporaneamente attratti e disgustati e non possiamo non sederci dalla sua parte per tutta la durata del telefilm.

Fino alla fine, il confine labile tra buono e cattivo, giusto e sbagliato, bene e male si stringe sempre di più, al punto che lo spettatore per primo si sente vittima e carnefice e testimone (in)consapevole di tutto ciò che succede durante il telefilm. E anche se il calo qualitativo della serie si fa sentire, soprattutto durante la terza stagione, Hannibal rimane uno dei telefilm più disturbanti e affascinanti degli ultimi anni.

I segreti di Twin Peaks (Twin Peaks)

Qualche anno prima di X-Files, un’altra serie tv si preparava a fare breccia nei cuori degli spettatori di tutto il mondo. Twin Peaks (I segreti di Twin Peaks, in italiano), la serie tv di David Lynch e Mark Frost, è diventata in pochissimo tempo un vero e proprio cult, avvicinando al mondo dei telefilm anche chi non ne aveva mai sentito parlare prima di allora.

Il suo creatore, David Lynch, ha reso visibile la sua firma fin dalle prime battute della serie, avvolgendo la trama con forti elementi di surrealismo, grottesco e sovrannaturale.

Ambientata nell’omonima cittadina di Washington, a pochi passi dal Canada, Twin Peaks si incentra principalmente su un misterioso caso di omicidio ai danni della giovane e bellissima Laura Palmer, che un detective dell’FBI, Dale Cooper, è invitato a risolvere nella speranza di trovare al più presto il colpevole. “Chi ha ucciso Laura Palmer?” è diventata, infatti, la frase più famosa del telefilm, la domanda che tutti gli spettatori si chiedevano, insistentemente, per tutta la durata della serie.

Pur essendo una serie tv sperimentale e sensibilmente diversa dai prodotti televisivi del tempo, Twin Peaks si è guadagnata i consensi di pubblico e critica in ogni parte del mondo, diventando appuntamento abituale per tutte le famiglie davanti alla tv. Iconica ed emblematica anche la sigla di apertura, con le musiche del grande maestro e compositore Angelo Badalamenti.

Ai confini della realtà (Twilight Zone)

C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità; è la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere: è la regione dell’immaginazione, una regione che potrebbe trovarsi “Ai confini della realtà”

È la tagline di una delle serie tv più famose e longeve della storia della televisione: The Twilight Zone, Ai confini della realtà, serie televisiva di genere fantascientifico andata in onda in tre tranche temporali, dal 1959 al 1964, dal 1985 al 1989 e dal 2002 al 2003.

Incredibilmente, la traduzione italiana del titolo della serie (Ai confini della realtà) esprime alla perfezione il cuore pulsante della narrazione: protagoniste del telefilm, infatti, sono storie apparentemente ordinarie con un twist finale che vira spesso sul soprannaturale, vere e proprie storie ai confini della realtà, appunto.

Tra gli autori della serie compaiono nomi altisonanti come Rod Sterling (autore e creatore del telefilm), Roy Bradbury e Richard Matheson, padri fondatori a loro modo della fantascienza moderna: Ai confini della realtà, infatti, ha avuto il grande merito di rendere la fantascienza un genere accessibile a tutti e fruibile da tutti – al punto che, ancora oggi, i suoi episodi sono fonte di ispirazione per tantissimi film e telefilm.

True Detective (season 1)

Avvicinati all’oscurità e l’oscurità si avvicinerà a te

Prima che True Detective approdasse su HBO, i telefilm erano ancora un prodotto di intrattenimento televisivo. Alla qualità, ovviamente, ci eravamo già abituati con progetti come Lost e ancor prima Twin Peaks, ma i telefilm erano progetti creati e destinati per una fruizione televisiva.

Con l’arrivo di True Detective, le carte in tavola si sono mescolate ancora una volta e i suoi creatori, Nic Pizzolatto e Cary Fukunaga hanno messo la firma su uno dei progetti televisivi più coraggiosi e ambiziosi degli ultimi anni.

Concepita come serie antologica – un po’ come AHS, per intenderci – True Detective vede, tra i suoi protagonisti, personaggi diversi per ogni stagione: diverse le storie, diverse le ambientazioni, diversi perfino i generi di riferimento. In ogni stagione, tuttavia, si scava a fondo nei segreti della polizia investigativa, alla ricerca di verità scomode e sconvolgenti, spesso anche al di fuori della legge.

Per la prima stagione, infatti, Pizzolatto e Fukunaga hanno deciso di strizzare l’occhio al thriller e all’horror, confezionando un film lungo 8 episodi con luci, suoni e fotografie curate nel minimo dettaglio, quasi come se il telefilm fosse destinato al grande e non al piccolo schermo.

La prima stagione di True Detective è un piccolo capolavoro di estetica e narrazione e i suoi personaggi sono cupi, drammatici e disgraziati esattamente come le strade del sud più profondo degli Stati Uniti (la serie tv è ambientata tra Louisiana, New Orleans e Texas).

Black Mirror

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Con il termine distopia si intende l’immaginario di una società che, al contrario dell’utopia, prevede conseguenze disastrose per l’uomo. E Charlie Brooker, con il suo Black Mirror, ha immaginato un tipo di società completamente devastato dall’avanzamento tecnologico, in cui le nuove tecnologie prendono il sopravvento a un punto tale da governare quasi completamente l’ambito umano, dalle relazioni interpersonali e sociali fino ad arrivare al lavoro, la vita e la morte.

Trasmessa per la prima volta da Channel 4 nel 2011, e in Italia su Sky Cinema 1 verso la fine del 2012, Black Mirror ha ipnotizzato i suoi spettatori nel vero senso della parola, lasciandogli addosso una sensazione di sconforto e perdizione tale da mettere in discussione perfino la loro stessa esistenza.

Il mondo e la realtà ipotizzate da Black Mirror (il cui nome deriva dallo schermo nero dei monitor, siano essi televisioni, computer o smartphone) sono verosimili anche se non completamente reali e la loro plausibilità basta da sola a rendere le sue storie angoscianti e disturbanti quanto basta da chiedersi se davvero i rischi della tecnologia sono così alti (e, forse, Charlie Brooker non ha tutti i torti).

Dopo due prime stagioni completamente inglesi, Netflix ha deciso di acquistare i diritti della serie, trasmettendo la terza e la quarta stagione sulla sua piattaforma streaming: al passaggio di testimone, il calo qualitativo della serie è stato palpabile, purtroppo, ma il genio di Charlie Brooker è ancora presente e Black Mirror rimane uno degli esperimenti televisivi più interessanti mai visti finora.

Inside no. 9

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Gli inglesi, si sa, sono i signori del black humour, per il loro fare comico che spesso oscilla tra il grottesco e il surreale e Inside no. 9 ne è, forse, il massimo esempio, per scrittura e messinscena.

Scritta e diretta da due dei quattro gentiluomini della League of Gentlemen (collettivo di attori teatrali che ricorda molto da vicino i Monty Python), Inside no. 9 è una serie televisiva britannica realizzata per la BBC two, composta da sei episodi per stagione autoconclusivi e apparentemente scollegati tra loro: l’unico punto in comune? Le vicende di ogni singolo episodio si svolgono tutte dietro porte, stanze e abitazioni contrassegnate dal numero 9.

Come per Channel Zero, anche Inside no. 9 deve molto del suo stile al fenomeno delle Creepypasta (che a sua volta, probabilmente, deve molto anche allo stile grottesco e sopra le righe dello humour nero all’inglese): ogni storia, infatti, sembra partire come un racconto ordinario, salvo poi trasformarsi completamente sulle battute finali, rivelando il suo spirito “nero” e spiazzando letteralmente lo spettatore.

Ancora completamente inedita in Italia, Inside no. 9 ha ottenuto un grande successo di pubblica e critica in Inghilterra e a breve tornerà in tv con una quarta stagione.
Grazie a uno stile narrativo unico e alle sue storie disturbanti, Inside no. 9 è forse la migliore serie tv horror mai realizzata.