Editoriale | Scarface: Luca Guadagnino è il regista giusto per il remake?

Luca Guadagnino a lavoro su Scarface: la notizia ha messo in fibrillazione critica e appassionati del cult con Al Pacino. Ma il regista palermitano è l'uomo giusto per compiere questa impresa?

E chi se l’aspettava un annuncio del genere durante una quarantena per Coronavirus che sembrava aver sedato così tanto cinema. Invece la stoccata di Variety pubblicata pochi giorni fa ci rimette bruscamente di fronte a un progetto ambiziosissimo che ha per punta di diamante Luca Guadagnino: una nuova versione di Scarface diretta dal regista palermitano. Molto più ambizioso di quello sull’horror Suspiria, remake ben riuscito ma non del tutto apprezzato da critica e pubblico. Cosa potremmo aspettarci da un nuovo progetto del genere?

Scarface: Luca Guadagnino alla regia del remake

Lo scomodo raffronto è dietro l’angolo, perché se per il film di Dario Argento avevamo a che fare con un cult molto più improntato sulla regia che sui personaggi, qui abbiamo a che fare con un’icona. L’eroe cupo della criminalità cinematografica Tony Montana, che nel 1983 tra le mani di Brian de Palma e la faccia impalcabile di Al Pacino si ispirava vagamente a Pablo Escobar, a sua volta ha ispirato negli anni addirittura anche qualche vero boss con la passione del grande schermo, nonché un franchising non indifferente. Questo per ricordare il grado di popolarità raggiunto da questo cubano immigrato in Usa che faceva fortuna con lo spaccio di cocaina su larga scala, conquistando niente di meno che una mai così felina Michelle Pfeiffer. Fu un film che fece anche conoscere al grande pubblico il crimine organizzato in relazione alla polvere bianca. Una visione ovviamente romanzata e mitizzante del cattivo, dove le forze dell’ordine avevano giusto i ruolo di pallide comparse. Tra gli anni settanta e gli anni ottanta il fenomeno cocaina si sarebbe allargato negli Stati Uniti, con reti commerciali illegali facenti capo ai vari cartelli sudamericani, a partire da Colombia e Messico.

Scarface, un po’ d’ordine sui primi due film

Scarface: recensione del film di Brian De Palma con Al Pacino

In realtà anche quello di De Palma non era altro che un remake. Scarface è stato il romanzo più famoso di Armitage Trail, nome letterario di Maurice Coons, pubblicato nel 1929, l’anno nero della Grande Depressione Americana. L’autore morirà d’infarto 12 mesi dopo, a soli 28 anni. Viveva a Los Angeles ed era un promettente sceneggiatore di una Hollywood che stava piegando il Sogno Americano a pellicole noir. Raccoglie la sua eredità, anzi, i diritti sul manoscritto, il produttore Howard Hughes, sì quello interpretato da DiCaprio in The Aviator di Martin Scorsese, affidando il progetto al regista Howard Hawks. Film e romanzo parlavano di proibizionismo ispirandosi vagamente all’ascesa di Al Capone, criminale celeberrimo che in quegli anni, con il commercio illegale di alcolici s’impossessò di mezza America a soli 30 anni.

Sono interessanti due dettagli provenienti da queste opere del passato. Nel romanzo di Trail, il nocciolo familiare alla base della storia ambientata a Chicago vedeva la madre e il fratello poliziotto del protagonista come statica zavorra alla vita agiata e sregolata sognata e inseguita da Tony Guarino. Nel film di Hawks, invece, il criminale sfregiato diventa Tony Camonte. Una memorabile sequenza del film uscito nel 1932 metteva in scena il massacro di San Valentino, una delle più cruente rese dei conti nella storia della criminalità organizzata. I gangaster di Al Capone giustiziarono 7 uomini della banda del boss irlandese George Bugs Moran. Il film mantenne nel sottotitolo quello di riserva, The Shame of a Nation, soluzione escogitata per aggirare la censura, nel caso la commissione avesse ritenuto l’opera come istigatrice alla violenza. In realtà divenne un gangster movie di riferimento tra i fondamentali del genere, portando a galla molti caratteri basici di questo specifico linguaggio cinematografico. Dramma criminale, sparatorie urbane, sfida alla legge, bande in mitraglietta e malavita sotto il Borsalino.

Nel 1983 arriva Brian de Palma. In quell’anno Al Pacino era già una star con alle spalle 5 Nomination all’Oscar, 1 Golden Globe, 1 Bafta, e 2 Tony Award per il teatro. Si cambia location. Il gangster reduce dalla guerra diventa un immigrato cubano, che ha vissuto gli orrori di guerriglia e fuga dal suo paese, portandone in faccia il celebre segno: la cicatrice che gli vale il soprannome del titolo. La città prescelta sarà Miami, opulenta città di mare, cocktail alla frutta e camicie hawaiane. Scansato Al Capone, il film di De Palma si ispirò a Jon Roberts, primo trafficante americano a creare uno smercio di oca tra Miami e il cartello dei boliviani. Scarface classe ’83 è un’opera dall’estetica estremamente pop. Che ammicca alla sensualità dei gioielli di Michelle Pfeiffer e Mary Elizabeth Mastrantonio (la sorella di Tony) tanto quanto al gusto splatter di certe scene violente e agli interni kitsch della villa di Montana nella sequenza finale.

Scarface, Guadagnino e il remake del terzo millennio

Scarface, Cinematographe.it

Nuovo millennio, nuove versioni della storia. Prima di Guadagnino, nel 2017 girava un rumor sul progetto Scarface. La regia sarebbe stata di David Ayer, mentre un volto possibile per interpretare Montana era quello di Diego Luna. Addirittura si era sparata una data d’uscita per l’agosto 2018. Ma siamo ancora qui. L’unico dettaglio utile di questa news era la presenza di Joel ed Ethan Coen come sceneggiatori. Allora come oggi erano loro a firmare lo script. Una costante, a nostro avviso, per un plot molto più bisognoso di una grande scrittura e di un cast iconico rispetto a una maestria registica in cima al set. Con questo la scelta caduta su Guadagnino non sembra affatto sciocca, anzi. La mano estetizzante del regista di Chiamami col tuo nome potrebbe sposarsi molto bene con la scrittura dei Coen. Dalla loro, i due fratelli hanno già dimostrato il loro valore nel trattare il crime in Fargo e Non è un paese per vecchi, mentre Guadagnino sicuramente apporterebbe valori simbolici potenti al pastiche. D’altra parte, lo stesso regista non ha soddisfatto tutti col suo Suspiria. Seppur di una bellezza conturbante che si mescolava con l’accurata ambientazione in una Berlino divisa dal muro negli anni settanta, la nota horror avvolgeva lo spettatore più nel donare dettagli estetizzanti che nella deflagrazione di essi, recuperando tutto soltanto nella lunga e implacabile epifania sanguinolenta del finale.

Ora le scelte narrative su Scarface sembrano essere state già fatte dai Coen, anche se non le conosciamo quasi per niente. Ma di loro, a occhio e croce, ci si potrebbe fidare un po’ di più per quanto riguarda l’economia narrativa del prodotto finale. In questi giorni si è discusso molto sulla ipotizzabile estraneità di Guadagnino rispetto alla storia di Montana. Il nuovo film sembra che sarà ambientato a Los Angeles nei giorni nostri. Ancora buio sul protagonista. Chissà se i Coen e Guadagnino ci racconteranno gang afroamericane o spacciatori di meth e crack al posto di cocaina? Certo, Los Angeles si presta anche a rivisitazioni dell’ambiente hollywoodiano alla Tarantino. Vedi C’era una volta… a Hollywood.

S’ispirerà più al romanzo che alla versione di De Palma, a quanto pare, quella dei Coen. Quindi il nucleo familiare potrebbe tornare ad avere un certo peso in chiave di possibile redenzione del gangster? O forse saranno infilate nel film tematiche californiane come il razzismo degli sbirri bianchi? O addirittura ci potrebbero essere personaggi molto rilevanti in coming-out, chissà. Lo scopriremo solo vivendo. Sicuramente ad oggi riesce difficile immaginare un volto nuovo a confronto con quel gigante di Pacino. Forse l’ostacolo più alto che il progetto potrà incontrare sta proprio nell’ombra immensa che questo attore di un metro e settanta ha impresso nella memoria collettiva con un boss che ha riscritto l’estetica e il linguaggio del genere dopo Il Padrino. Ma a questo proposito è sempre bene tenere a mente i Joker di Nicholson e Ledger.

Scarface. Un bene o un male per Guadagnino aver accettato questo progetto?

Lo stesso Al Pacino, alla notizia di un remake ha reagito positivamente. “Mi sta bene. Fa parte del nostro mestiere dopotutto, noi rifacciamo le cose”. Ha dichiarato in un’intervista. E forse nella sua semplicità ha proprio ragione lui. I film sono anche archetipi che mutano coi tempi. I Tarzan, gli 007, e ultimamente i cinecomic. La figura del gangster ha subito un nuovo cambiamento sia con gli ultimi film con Del Toro e Bardem su Pablo Escobar, e ancor di più con la serie Narcos su Netflix. Ma pure con gli stessi Gomorra, al cinema con Garrone, e soprattutto in tv con la serie firmata Sollima.

Quindi, sì, Guadagnino fa bene a tuffarsi in questa nuova avventura. Meglio lui che altri. Certo, visti gli esiti felici di Chiamami col tuo nome sarebbe augurabile che alternasse almeno un film inedito a ogni remake. Invece, oltre a una serie di prossima uscita, We are who we are, ha già le mani in pasta con un titolo che partendo dal romanzo originale ha già avuto 2 trasposizioni cinematografiche: Il signore delle mosche.

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