Scarface: recensione del film di Brian De Palma con Al Pacino

La recensione di Scarface, il capolavoro di Brian De Palma, divenuto parte dell'immaginario collettivo, con un istrionico Al Pacino e una grande potenza visiva e narrativa

Scarface è una delle pietre miliari del genere gangster, diretto nel 1983 da Brian De Palma e scritto da Oliver Stone, con protagonista assoluto Al Pacino, affiancato da Michelle Pfeiffer e Steven Bauer. È il remake del classico omonimo di Howard Hawks, ma se ne discosta marcatamente nei contenuti, a partire dagli anni Ottanta come periodo in cui si svolge la vicenda al posto degli anni del proibizionismo, dall’ambientazione di Miami al posto di quella di Chicago, e con la droga come elemento centrale dei traffici illegali al posto degli alcolici. Inoltre il film di De Palma ha una considerevole durata di quasi 170 minuti che permette lo sviluppo di una narrazione dettagliata con un approfondimento e una delineazione dei personaggi eccezionalmente costruita. Al tempo dell’uscita il film ricevette giudizi contrastanti da parte della critica, a causa dell’estrema violenza di alcune scene e dell’uso disinvolto di linguaggio volgare, tuttavia nel corso degli anni venne sempre maggiormente rivalutato fino ad essere considerato in maniera pressoché unanime come un caposaldo del genere.

Scarface è la storia di Tony Montana, un esule cubano che diventa il “signore della droga” di Miami

Il film racconta la parabola ascendente e discendente di Tony Montana, piccolo criminale cubano giunto a Miami con i profughi dell’esodo di Mariel per cercare fortuna nel mondo malavitoso, tentando di spacciarsi per prigioniero politico. Dal tentativo di emergere attraverso omicidi su commissione e piccolo spaccio di droga, all’affermazione come grande boss della malavita, fino alla caduta tra la dipendenza da cocaina, l’attaccamento morboso alla sorella, i problemi con la giustizia e le faide interne al mondo malavitoso. Grazie alla sua sete di potere unita ad una personalità spregiudicata e crudele Montana riesce, assieme all’amico Manny, a scalare la vetta del crimine e a divenire “il signore della droga” di Miami. Ciò avverrà anche eliminando coloro che lo avevano protetto e inserito in quel mondo, raggiungendo così sfarzo e opulenza e conquistando Elvira, la donna del suo precedente capo, che lo affiancherà nei suoi traffici, prima di abbandonarlo a causa del suo carattere psicopatico, che ne determinerà anche il tracollo generale.

In Scarface e nel personaggio di Tony Montana c’è tutta l’essenza della folle atrocità del mondo malavitoso americano, con una rappresentazione iperrealista che non lesina crudità e crudeltà. Il film di De Palma è la personale rivisitazione del sogno americano attraverso lo sguardo distorto di un esule cubano bramoso di ricchezza e gloria, che opera a prescindere dal tipo di canali azioni necessari per raggiungerle.

La sceneggiatura, scritta da Oliver Stone, è un feroce spaccato del mondo della criminalità americano e un atto di accusa verso il sistema capitalista che induce alla bramosia malata di ricchezza

De Palma crea uno straordinario affresco della Miami degli anni ’80 dove imperavano i traffici legati alla droga e il substrato di violenze ed efferati atti criminali connessi emergeva in tutta la sua drammaticità. La carica realistica del racconto la si deve alla meticolosa e tagliente sceneggiatura di Oliver Stone, che stette a diretto contatto con ex-criminali e agenti dell’antidroga per dipingere uno spaccato il più possibile credibile di quel mondo. Quello di Stone è un racconto dalla forza bruta, fatto di violenza mai smorzata o celata, di meschinità e sotterfugi, di atti di sopraffazione e di cattiveria, dove la moralità emerge solo nei rapporti familiari e nelle più strette amicizie. Montana ha un ulteriore sprazzo di umanità nella parte finale del film, quando si trova alle prese con un omicidio da compiere che vedrebbe coinvolto un bambino, messo davanti ad una scelta dove un solo cedimento etico risulta fatale all’interno di un mondo spietato e disumano.

I personaggi di Scarface vengono presentati nella loro brutalità ma con una costruzione che ne esalta i caratteri e le debolezze, delineandone la discesa in un tunnel infernale che – nella visione stoniana – si configura come un atto d’accusa all’accumulo malato e incontrollato di ricchezza indotto dal sistema capitalistico, di cui di fatto i personaggi del film sono pedine. Un sistema che non lascia scampo, dove la spregiudicatezza diventa un trampolino di lancio verso il successo all’interno di una giungla governata dalla legge della sopraffazione, ma dove si viene altrettanto rapidamente scaraventati a terra con indifferenza e ferocia, trasformando repentinamente il sogno in incubo.

De Palma e Stone descrivono in maniera spettacolare – con elementi di consapevole e funzionale kitsch – la fascinazione di quel mondo, in una narrazione dal ritmo sempre sostenuto e travolgente nei suoi eccessi e nella sua spietata critica disincantata. Una costruzione del racconto che ha il suo apice nel folle e ultraviolento finale dove la brutalità raggiunge il suo culmine in un vortice distruttivo ed annichilente, racchiudendo in sé tutto il senso e la metafora del film.

Il film di De Palma riesce a coniugare straordinariamente cinema autoriale e popolare

In Scarface, il regista riesce ad unire impeccabilmente autorialità cinematografica e spettacolarizzazione, grazie ad una tecnica raffinata propria di un cinema che risplende in tutta la sua potenzialità. Con una regia virtuosa ma mai autocompiacente, composta da piani sequenza, zoom e carrelli che si accompagnano e oppongono, un uso intenso del dolly, e rallenty che donano pathos alla narrazione, De Palma riesce a trasformare un’opera d’arte in un prodotto perfettamente fruibile per il grande pubblico. Lavoro impreziosito poi da una fotografia che alterna il grigio dei poveri bassifondi con i colori sfarzosi degli ambienti dell’opulenza malavitosa, evidenziando i contrasti delle ambientazioni e restituendo allo spettatore una visione esaltante anche sotto l’aspetto estetico. Inoltre a dare ulteriore slancio all’opera è la colonna sonora realizzata dall’italiano Giorgio Moroder, un tripudio di sonorità elettroniche anni ’80 che perfettamente si sposano col dinamismo e l’eccesso delle immagini filmiche, mescolando musiche adrenaliniche ed incalzanti ad altre più lente e cupe fino a passaggi più delicati.

Scarface è esaltato dalla sublime prova attoriale di Al Pacino che ne amplifica la grandezza dell’opera, affiancato da una splendida Michel Pfeiffer

Ovviamente il film non sarebbe divenuto poi l’oggetto di culto che è attualmente se non ci fosse stata l’istrionica interpretazione di Al Pacino, ispiratissimo nei panni schizoidi di Tony Montana. Un ruolo in cui l’attore americano riesce ad esaltare tutte le sue doti teatrali donando credibilità e vigore al personaggio, con una gestualità volutamente eccessiva ed una mimica marcata e sopra le righe, volte ad evidenziare consciamente la personalità sbruffona e schizoide del protagonista. Da evidenziare poi anche la convincente performance di un’emergente Michelle Pfeiffer, perfettamente credibile nei panni della donna sensuale e affascinante ma scostante e autodistruttiva.

In definitiva Scarface è un film che resta e resterà impresso nella memoria comune del cinema contemporaneo, la cui forza impattante rimane intatta anche al giorno d’oggi, da un lato come prodotto d’eccezionale intrattenimento e dalla superba potenza visiva, dall’altro costituendo tutt’ora uno spaccato disincantato della criminalità insita nei gangli vitali della società americana e una riuscita e coraggiosa critica sociale nei confronti della fascinazione capitalistica.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5