Duplicity: la recensione del film con Clive Owen e Julia Roberts

Un promettente spy movie dallo sfondo romantico, che si rivela tuttavia opaco e privo di mordente.

Duplicity è un film del 2009 scritto e diretto da Tony Gilroy, con Clive OwenJulia Roberts, Tom Wilkinson e Paul Giamatti, che segue le vicende di Ray Koval e Claire Stenwick, due agenti segreti che vengono assunti per due multinazionali concorrenti, la Equikrom e la Burkett & Randle.

Duplicity

Entrambi lavorano per la propria azienda per spiare i rivali, ottenere più informazioni possibili e mettere le mani su un prodotto segretissimo, un brevetto milionario che Burkett & Randle sta per lanciare sul mercato. Le due spie, ex agenti MI6 e CIA, si incroceranno in questo gioco di spionaggio, controspionaggio e tradimento, cercando di celare la storia d’amore che nasce tra di loro, senza lasciare tracce alcune dei loro spostamenti e tentando di scovare una bomba da 40 milioni che l’azienda nasconde con grande cautela.

Duplicity: un’operetta grondante di dispersioni

Duplicity

Tony Gilroy (Michael ClaytonThe Bourne Legacy) dirige un’operetta grondante di dispersioni, spionaggio mal composto, duplici e triplici giochi tra multinazionali nel cui intermezzo è intrecciata una storia d’amore che non colpisce, sorprende o attrae. Una composizione che immerge lo spettatore in una narrazione che nasce come una spystory, per poi diventare un thriller opaco, molto più tendente al gusto sentimentale e feuilleton.

I personaggi tentano in tutti modi di sembrare ciò che non sono, per tutta la pellicola non cambiano di intenti, di volontà, non si spostano di mezzo centimetro, è la storia stessa che cambia attorno a loro, dimostrando quanto sia solo il loro carattere attoriale e la mise-en-scène a dar credibilità ad un film che sarebbe stato inesorabilmente abbattuto sul nascere. Clive Owen, più che la Roberts, porta il peso di una pellicola sulle spalle, assieme ai due meno visibili Tom Wilkinson e Paul Giamatti, che nei loro piccoli ruoli da antagonisti nella vita e nel lavoro, riescono a dare senso alla faida e al minutaggio che in certi momenti rischia di peccare di opulenza.

Duplicity: un gioco perverso, che unisce e oppone in un dualismo esasperante

Duplicity

Dopo Closer, i due protagonisti tornano a confrontarsi con due ruoli decisamente meno interessanti, due ruoli che per loro natura dividono, creano quella duplice intesa/alleanza/vendetta che continuamente li pone in conflitto, che porta prima l’uno e poi l’altro sotto accusa, poi li scagiona, poi li rende partecipi dello stesso gioco, un gioco perverso, che li unisce e li oppone, un dualismo esasperante che si infrange proprio al momento dell’epilogo.

Certamente a dare un po’ di senso alla trama sono le reiterazioni dialogiche, un modo per aprire uno squarcio e mostrare che gli stessi attori recitano a loro volta, ad un certo punto si avverte il senso del girato, come se ci fosse un altro ruolo, un’ altra maschera, un’altra storia da sviscerare, è non è un fattore di poco interesse ma che non può reggere da solo l’insensatezza e il poco spessore che si percepiscono per tutta la durata del film.

Le piccole scene in cui finalmente si pone l’accento su questi due personaggi e sulla loro realtà vengono abbattute dal contesto, i loro incontri tra Roma e Dubai sono quasi un pugno in un occhio. E non è solo per ciò che si mostra, ma per come non si riesca a scrollarsi di dosso alcuni cliché che hanno tutta l’aria di sbavature di prima stesura.

Duplicity: Un film che si compie senza prendersi troppi rischi

Duplicity

Duplicity è film che lascia insoddisfatti, la cui tensione tenta di innestarsi nella mente dello spettatore senza essere mai alta o dai ritmi serrati. Un film che si compie senza prendersi troppi rischi, un incrocio maldestro tra Il caso Thomas CrownMr. & Mrs. Smith, che li ricorda vagamente, soprattutto quest’ultimo. Una pellicola fatta di riflessi, di specchi, che è duplice anche dal punto di vista visivo, c’è una specularità che sarebbe anche intrigante se fosse stata sorretta da un intreccio più apprezzabile. Un caper movie che si cela dietro l’azione, per quanto poca ce ne sia, la cui logica sarebbe stata sicuramente ben accolta, non proprio come in The Italian Job od Ocean’s Eleven, la cui presenza però avrebbe aggiunto quella dose di intrigo e suspense che avrebbe sicuramente giovato e tenuto alta l’attenzione.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.5