Editoriale | Quentin Tarantino: l’insostenibile leggerezza del post-moderno

L'unico modo per etichettare il lavoro di Quentin Tarantino è associarlo all'idea di post-modernità: come Re Mida, tutto quello che tocca diventa oro

Nei manuali di Storia del Cinema scritti a cavallo dei Duemila, tutti erano più o meno concordi nell’affermare che i tre più importanti rappresentanti del cinema del futuro sarebbero stati Tim Burton, Emir Kusturica e Quentin Tarantino. Sappiamo poi com’è andata: il gotico burtoniano degli esordi (Batman, Edward mani di forbice) si è sciacquato nell’epica preconfezionata Disney (Alice in Wonderland, Dumbo) che tutto snatura e tutto fagocita; mentre il talento cristallino di Kusturica si è accartocciato rivelando il suo brevissimo respiro (On the Milky Road è una sbiadita copia degli stilemi di Underground e di Gatto nero, gatto bianco). E poi c’è Quentin: l’unico del gruppo (ma potremmo citare altre decine di registi) a creare suggestioni senza mai subirne, l’unico capace di scatenare ancora un dibattito sulla natura e il contenuto dei suoi film colpendo trasversalmente tutte le fasce d’età.

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Basterebbe rivedere una qualunque sequenza di Le iene (1992) e Pulp Fiction (1994) per accorgersi di come le sue sceneggiature, le sue messinscene e i suoi ingranaggi narrativi non invecchino mai, continuando nei secoli dei secoli (amen) a venire regolarmente saccheggiati e imitati. Per quanto sia stato seminale per la cinematografia contemporanea, Matrix – pescando dal mucchio dei film che hanno lasciato una traccia di sé negli ultimi 20 anni – è stato superato dal tempo: le evoluzioni tecnologiche hanno inevitabilmente reso obsoleto un congegno che, nel 1999, non aveva rivali. Quentin, invece, è il tempo: il suo cinema riscrive di volta in volta le regole dell’audiovisivo, facendosi evento ancor prima di vedere il buio della sala.

Quentin Tarantino e la struttura del post-moderno

Quentin Tarantino cinematographe.it

Le iene: 10 citazioni e curiosità che forse non sapete sul film di Quentin Tarantino

L’unico modo per etichettare il lavoro di Tarantino è associarlo all’idea di post-modernità. Nulla si crea ex novo, tutto è già stato detto e scritto; ma la riformulazione del pre-esistente, la sua ripresa e la sua scomposizione, possono creare qualcosa di originale e genuino. Anzi, è questa l’unica via, oggi, per creare Arte. La biografia leggendaria di Quentin (sarà vera? Ma poi, in fondo, che importa?) racconta di un ragazzo che a 20 anni lavora a lungo in una videoteca, dove ha modo di nutrire la sua onnivora e vorace passione cinefila. Come avrà modo di precisare lui stesso: “Non sono diventato un cinefilo perché lavoravo lì, è il contrario; mi hanno preso a lavorare in quel posto perché ero molto appassionato di cinema e sapevo tutto sull’argomento”.

Quentin è un simulacro post-moderno, che conosce a memoria decine di western, melò, kung fu movie, horror e noir; un archivio vivente di sollecitazioni che trova la sua naturale espressione nel mezzo cinema, nello sfogo su pellicola di un’ossessione totalizzante. Da questo punto di vista, chiunque lo accusi di plagio fa il suo gioco: Tarantino sembra quasi invitare il suo pubblico – di fan, detrattori, semplici curiosi – a individuare i riferimenti presenti nelle sue opere, a indovinare contaminazioni che portano all’exploitation giapponese anni ’70 (Lady Snowblood, per certi versi identico a Kill Bill) e agli spaghetti western di Leone (che cosa sono Django Unchained e The Hateful Eight, se non degli abnormi omaggi alla Trilogia del dollaro?). È la prima regola dell’avantpop, bellezza: i grandi artisti non copiano, rubano.

Quentin Tarantino e il tocco da Re Mida

Quentin Tarantino cinematographe.itNel corso della sua pluri-ventennale carriera, Tarantino ha riesumato decine e decine di attori finiti nel dimenticatoio, ridandogli lustro e visibilità: tra gli altri John Travolta e Bruce Willis in Pulp Fiction, Pam Grier e Robert De Niro in Jackie Brown, Uma Thurman in Kill Bill e Kurt Russell in Grindhouse – A prova di morte. È uno degli aspetti del suo inimitabile e inconfondibile tocco: qualunque cosa sfiori Quentin, immediatamente si tramuta in oro. Su di lui confluiscono tutti gli aspetti di un franchise che fa impallidire i Cinematic Universe di Marvel & Co. (a proposito, lo sapevate che c’è una teoria che collega tutti i suoi film come fossero l’uno la prosecuzione dell’altro?): per creare l’evento non serve neanche un fotogramma, basta l’intenzione.

Quentin Tarantino spiega la scena dello sputo in Kill Bill

Tarantino che dichiara di voler girare un film, che annuncia le sue prossime intenzioni o che semplicemente presenta le opere altrui (Hero di Zhang Yimou, Hostel dell’amico Eli Roth, L’uomo con i pugni di ferro di RZA) sono avvenimenti di cui parlare per settimane, che rendono appieno l’idea di un potere e di una influenza che non ha eguali. Non importa che poi i film si facciano davvero o restino semplici boutade, o che le sue “raccomandazioni” portino a pellicole di cui si sarebbe potuto fare tranquillamente a meno; conta che l’oracolo tarantiniano abbia parlato, si sia espresso o si sia in qualche modo palesato (come dimenticare le manifestazioni di giubilo incontrollato a Venezia 67, quando Quentin da Presidente di giuria assisteva ai film del concorso in mezzo al pubblico accreditato e pagante?).

Quentin Tarantino e il progetto X

A proposito di propositi reali o presunti tali, quale sarà il prossimo film di Quentin Tarantino? Mentre l’hype per C’era una volta a… Hollywood cresce a dismisura (l’uscita è prevista per il 26 luglio in Usa, e per il 19 settembre in Italia), ogni informazione è utile per capire con quale lungometraggio Quentin chiuderà la sua carriera. Perché, come già ampiamente preannunciato, dopo l’opus numero 10 Tarantino dovrebbe appendere la cinepresa al chiodo. Impossibile dargli credito, ma in fondo anche questa esagerazione rientra appieno nella mitologia del personaggio.

Le voci più accreditate portano alla clamorosa realizzazione di un nuovo Star Trek (un’idea “fuori di testa” secondo l’attore Karl Urban) ma anche al ritorno a Kill Bill, con un ipotetico terzo capitolo in cui la figlia di Vernita Green cercherà vendetta nei confronti della Sposa. Ma nelle interviste Quentin si lascia sfuggire anche altro: e se si trattasse di un film della serie di James Bond, di cui l’autore è fan? E se invece dopo Django Unchained e The Hateful Eight desse una degna chiusura alla sua personale trilogia del dollaro, con un nuovo western? Siamo pronti a tutto ma, indipendentemente dal soggetto, risulta piuttosto evidente come con Tarantino la spasmodica attesa sia parte integrante del progetto e del risultato finale.