Quei bravi ragazzi: le frasi più significative del film cult di Martin Scorsese

Quei bravi ragazzi è un viaggio nella vita di uomini che indossano la criminalità come una seconda pelle, che fanno della violazione di ogni legge un credo da seguire.

Sono dei bravi ragazzi, lo dice già il titolo di uno dei film cult del cinema, una delle pellicole che ha fatto storia, dopo cui nulla è stato più come prima, Quei bravi ragazzi (The Goodfellas) appunto, firmato Martin Scorsesenel 1990. Sono gangster, criminali crudeli e spietati ma sono legati alle tradizioni, amano le loro madri, non fanno mancare niente ai loro figli e alle loro mogli – anche se spesso passano le notti con altre donne -, hanno un’etica fatta di sangue e onore ma ce l’hanno. Sono proprio dei bravi ragazzi insomma, però hanno il grilletto facile, sono intransigenti nel lavoro, basta sgarrare una volta e hai chiuso.

Henry Hill (Ray Liotta) è cresciuto a Brooklyn col mito del mafioso ed è stato sufficiente questo per diventarlo: si è fatto grande come grande si è fatta la sua statura criminale, a fianco di James Conway (Robert De Niro) e Tommy DeVito (Joe Pesci), amici, fratelli, compagni di lavoro, una famiglia insomma. Una storia di ascesa e declino, di tradimento e morte, di pistole e soldi facili.

Quei bravi ragazzi: Henry e gli altri. Il racconto di chi ha scelto la mafia

Henry lo ha sognato, lo ha desiderato con tutto se stesso di essere come quelli che hanno in pugno la città, come quelli che vengono rispettati, venerati, temuti.

Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster. Per me fare il gangster è sempre stato meglio che fare il Presidente degli Stati Uniti.

Il giovane dagli occhi azzurri tanto agogna al danaro, al potere e al successo, status symbol della cosca mafiosa, quanto si guarda attorno smarrito quando Tommy uccide a sangue freddo chi gli pesta i piedi. Henry è il centro di tutte le incoerenze possibili: fa il padre e il marito amorevole ma compra una casa per l’amante del momento di cui dice di essere innamorato, è in carcere, dove per sopravvivere spaccia, e spera di poter uscire presto ma appena fuori ricomincia la solita vita.

Per noi vivere in qualsiasi altro modo era da matti. Per noi quella brava gente che faceva lavoretti di merda per una busta paga di merda e andava a lavorare tutti i giorni con la metropolitana e stava sempre in pena per i conti da pagare, per noi erano dei cadaveri, erano fessacchiotti, gente senza palle. Noi, se ci serviva una cosa, ce la prendevamo. Se uno si lamentava più di una volta che l’avevamo pizzicato aveva finito di lamentarsi per sempre, era ordinaria amministrazione, non ci pensavamo due volte.

Henry lo ammette, vivere una vita “normale”, come le persone normali, non fa per lui ma forse non fa per lui neanche l’altra vita, quella che sta conducendo nel cui vortice è stato risucchiato e di cui non ha mai abbastanza; questo perché ha imparato dai migliori, da quelli che lo hanno sempre fatto sentire uno di loro. E il loro è sempre l’ultimo colpo, quello che ti sistema per la vita, ma poi inevitabilmente non lo è mai e si riparte con un altro e un altro ancora.

Quei bravi ragazzi: Questa (non) è una famiglia

Scorsese racconta di come questi uomini più o meno ricchi, più o meno in alto nella piramide del potere, “più o meno” italiani creano una famiglia in cui almeno apparentemente si lavora in armonia, l’uno affianco all’altro, l’uno per l’altro. Tutto va per il verso giusto fino a quando uno non fa un passo falso, non si pavoneggia per il bottino dell’ultimo colpo, contravvenendo agli ordini ricevuti e allora lì, il legame familiare si scioglie, il bene si trasforma tristemente in cinico calcolo. Si spara, si uccide, ci si vendica; e poco conta se a terra restano i cadaveri di chi era fratello non di sangue ma per scelta. James e Tommy abbracciano, danno pacche sulle spalle ma quando è necessario sono spietati e crudeli assassini e poco c’entra se si chiamavano “bravi ragazzi”, poco c’entra se la loro faccia lo indicava, perché le regole valgono più di tutto il resto.

Con Henry sono sempre stati buoni, protettivi, fratelli maggiori, zii addirittura, hanno rappresentato la famiglia: sono stati vicini a sua moglie, hanno partecipato alle feste in casa sua e lui come li ha ripagati? Se uccidere è tristemente funzionale all’economia mafiosa, il tradimento no, se è accettabile e giustificabile freddare chi non serve più, non è accettabile e ancor meno giustificabile essere delatore. Henry, disperato, seguito e inseguito dalla polizia per ingenuità sua e degli altri, sbaglia, ha promesso e ripromesso a James di non fare mai i nomi dei compagni, ma lo fa. Ci sono momenti in cui bisogna pensare a se stessi e alla propria (vera) famiglia e per Henry quel momento è arrivato.

Adesso è tutto finito. Questa è la parte più dura. oggi è tutto diverso. non ci si diverte più. io devo fare la fila come tutti gli altri […], Sono diventato una normale nullità, vivrò tutta la vita come uno stronzo qualsiasi.

Quei bravi ragazzi: Un mondo espressione di una violenza spietata e senza limiti

La canna della pistola fuma ancora, il cadavere è ancora caldo. James, Tommy e Henry, seduti a tavola, parlano come se niente fosse successo con la madre di Tommy, discutono sul fatto che il figlio dovrebbe trovarsi una donna e mettere la testa a posto, raccontano di un incidente fasullo che sarebbe avvenuto poco prima in cui si sono sporcati di sangue. Tutto normale per loro, uccidere fa talmente parte del loro DNA che non provoca alcuna emozione. La violenza è in ogni cellula del corpo di questi personaggi, picchiano selvaggiamente, si urlano addosso – si pensi al rapporto tra Henry e la moglie -, si comportano come se fossero padroni del mondo. Ciò che sconvolge è proprio la naturalezza con cui parlano, si muovono, baciano le loro mogli, passano le notti con le loro amanti. Tornando alla scena citata, quando mangiano attraverso il cibo (“morto” anch’esso) non ingurgitano solo alimenti ma si ricaricano anche di energia vitale, la stessa che hanno appena tolto ad un uomo; tale doppio e parallelo circolo vizioso, cibo-energia, vita-morte, è proprio di questi personaggi. Colui che di nuovo esce un po’ da questo cerchio è Henry che muto, senza però agire a difesa della vittima di turno, partecipa al godurioso consesso come uno che non si abitua mai abbastanza a tutto questo.

Gli avevano sparato in faccia, così la madre non poteva fargli il funerale con la bara aperta

Scorsese racconta un mondo senza pena e senza compassione in cui ciascuna pedina è solo un mezzo per arrivare ai propri scopi, un anello di una lunga catena. Non c’è un luogo in cui la pace regni sovrana, dappertutto ci sono droga, sangue e morte, nascosti sotto una coltre di soldi facili e ricchezza. Intorno a Henry a poco a poco si fa il vuoto, i suo “alleati” cadono come mosche e lui è sempre più solo, spaventato (la scena in cui fugge disperato, assieme alla moglie, convinto di essere seguito da un aereo, per portare l’ultima partita di droga), consapevole che sta giocando l’ultimo round di un importantissimo incontro.

The Goodfellas è un viaggio nella vita di questi uomini che indossano la criminalità come una seconda pelle, che fanno della violazione di ogni legge un credo da seguire, che sono invischiati in ogni losco affare. Il capolavoro di Scorsese “gioca” con il sangue e con le pistole, con gli occhi pazzi di chi sta per sparare e quelli di chi sta per tradire, indaga il misterioso mondo che vive nella testa di quei ragazzi che si credono e si comportano da re in città.