El Siglo de Oro del cinema e delle serie TV? Così la Spagna detta le regole!

Il mondo del cinema e della serialità di produzione spagnola sta conoscendo una nuova rinascita e un consenso di pubblico non unanime, ma senza dubbio massiccio, soprattutto sulle piattaforme di streaming. Tutto merito di una certa spregiudicatezza formale e della voglia di ridefinire i generi. 

La casa di carta (Netflix) non è più solo una serie tv, ma un’icona, un brand, forse persino un cliché. La terza stagione ha deluso le aspettative di molti ma, nel farlo, ha paradossalmente confermato che lo show è diventato un paradigma di drammaturgia, un modello che si è imposto nell’immaginario comune e nei circuiti internazionali: oggi solo la Spagna, tra gli stati europei, sembra in grado di offrire prodotti fruibili globalmente e di disancorarli al nome preminente di un regista. In Italia abbiamo realizzato, spesso in co-produzione, serie di altissima qualità (le due sui papi di Paolo Sorrentino, Gomorra) ma il loro successo è dipeso più che da modalità codificate e artigianiali di fare serialità dal blasone e dal genio isolato degli autori.

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La Spagna, in stato di grazia, fa invece scuola: sembra in grado più che mai di intercettare gli umori del pubblico, di soddisfarne gli appetiti e di trasformare il compromesso qualitativo attuato attraverso l’adozione di un’estetica ai confini del kitsch in una negoziazione fra necessità di rimescolare i generi e la persistenza dei capisaldi della tradizione latina. La serialità iberica non rinuncia, infatti, all’abbraccio inscindibile tra sangue e melodramma, al dialogo fra le atmosfere cupe da thriller mysteries o detective stories e un sentimentalismo che può assumere tanto i contorni della tensione erotica esasperata quanto accenti affettivi più intimisti.

La scuola spagnola del piccolo schermo: contaminare i generi, non rinunciare né all’amore né al mistero

La zona, disponibile su Amazon Prime Video

In Élite (Netflix), serie del 2018 ideata da Carlos Montero e Darío Madrona, le caratteristiche proprie del teen drama trovano un respiro sociale più ampio diramandosi in filoni tematici disparati, dalla disuguaglianza economica alla tossicodipendenza fino alle questioni sessuali o religiose, ricorrendo, però, sempre alla formula che lega l’eros al crimine, il thrilling al pathos. L’illecito è al centro anche di Vis a Vis (Netflix), un dramma carcerario che nel cast annovera Alba Flores, la Nairobi della Casa di carta. Lo show, che qualcuno potrebbe a torto accostare al più spensierato Orange is the New Black, punta tutto sulla sequenza serrata di intrighi e sulla scrittura dei personaggi, forgiati per suscitare trasporti o antipatie radicali. 

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Anche La zona (Amazon Prime Video), serie creata da Jorge Sánchez-Cabezudo e Alberto Sánchez-Cabezudo, contamina i generi: da una parte, infatti, s’inserisce nel tracciato del racconto post-apocalittico (è ambientata in suggestivi scenari asturiani, in una terra che viene presentata come colpita, nel suo passato recente, da un disastro nucleare); dall’altra, recupera gli stilemi del giallo investigativo. E alla suspense come cardine del thriller non rinunciano neanche opere formalmente più tradizionali come Le ragazze del centralino (Netflix) o Hotel Almirante (Amazon Prime Video), prodotti di consumo seriale che fondono dramma storico, romance, mistero e commedia di costume, sorreggendosi anche sulla valorizzazione delle diverse declinazioni del tema femminista. 

Gli spagnoli che scrivono per il piccolo schermo hanno, dunque, imparato dal loro cinema: non solo è ancora più che mai attuale l’invito almodovariano a non temere né il mélo né il grottesco, ma le opere di registi talentuosi come Raul Árevalo, Álex de la Iglesia, Daniel Monzón, Alejandro Amenábar hanno dimostrato negli ultimi anni come si possa fare cinema di genere allargandone lo spettro delle influenze e rinnovandone gli stilemi pur nel rispetto estremo della loro codificazione e riconoscibilità. Tutto questo senza sacrificare un’identità etnica che, sebbene getti uno sguardo ai modelli internazionali, non li scimmiotta mai.

Realizzato tra Alicante e la Thailandia, The Impossibile, il disaster movie diretto da Juan Antonio Bayona sullo tsunami che nel 2004 ha colpito l’Oceano Indiano è uno dei primi esempi di produzioni spagnole con distribuzione americana in grado di trascendere i confini nazionali per offrire un prodotto globale di sicuro impatto emotivo: è, infatti, tratto dalla storia vera di un’intera famiglia sopravvissuta ‘per miracolo’ ad un cataclisma di enormi proporzioni e conta su attori di rilievo internazionale quali Naomi Watts ed Ewan McGregor.

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Il buco, opera prima di Galder Gaztelu-Urrutia

Lo stesso colosso dello streaming Netflix sembra aver puntato in questi ultimi anni sulla Spagna in modo particolare: lo dimostrano opere recenti come 7 años del catalano Roger Gual, film dalla scrittura affilatissima e di matrice teatrale capace di ghermire lo spettatore in una tensione che investe soprattutto il piano delle dinamiche amicali e del loro inevitabile portato di segreti, ostilità sopite, non detti pronti a riaffiorare. Si tratta, infatti, della storia di quattro amici soci in affari che, grazie all’intervento di una mediazione esterna, devono decidere in una serata chi di loro pagherà per tutti a causa di un crimine finanziario commesso. 

Più lieve ma altrettanto avvincente è Gente que viene y bah, commedia romantica di derivazione romanzesca con interpreti iconici quali la musa di Almodóvar e Carlos Saura Carmen Maura e la più inesperta ma altrettanto popolare Clara Lago. Scritto e sceneggiato dal giovane talento madrileno Esteban Crespo, Amar è, invece, un vero e proprio film di culto tra i più visti di Netflix: vicenda di un primo amore vissuto fra idealizzazione romantica e successivo disincanto, con uno slancio erotico che l’autore è in grado di trasportare sullo schermo senza edulcorarne l’intensità quasi ferina. 

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Girato tra Madrid e la Patagonia, Il faro delle orche (sempre su Netflix), il delicato film di Gerardo Olivares con Maribel Verdú e Joaquín Furriel, si basa sulla storia vera di una madre abnegata nella cura del figlioletto autistico che incontra nella figura di un guardiano del faro con una rapporto speciale con le orche l’occasione di ricominciare a sperare. Altrettanto toccante il lungometraggio basco Loreak nel quale viene mostrata l’esistenza assai desolata di una donna comune, Ane, che inizia a ricevere ogni settimana un bouquet di fiori da un anonimo benefattore. Di sensibilità ugualmente agrodolce anche la commedia on the road Thi Mai di Patricia Ferreira, storia di tre amiche che partono per il Vietnam con l’obiettivo di andare a prendere una bambina vietnamita che la figlia prematuramente scomparsa di una di loro aveva deciso di adottare prima di morire. 

Inserito nel solco del cinema di genere è, invece, Dentro la tormenta, una delle acquisizioni più recenti di Netflix, opera sospesa tra thriller e fantascienza del giovane ma già esperto Oriol Paulo che, prima di passare alla regia, ha collaborato in qualità di sceneggiatore con Guillermo del Toro. Eppure il film più interessante realizzato da maestranze spagnole e disponibile su Netflix è, forse, Il buco, esordio del basco Galder Gaztelu-Urrutia: irriducibile a definizioni univoche ed esaustive, si tratta si una distopia orrorifica che ricorre alla metaforizzazione del cibo e della prigione, rappresentata come una torre e quindi verticalizzata in nome di un preciso rimando all’impostazione gerarchica di ogni fenomeno di realtà, per imbastire una satira sociale dai toni tanto asciutti quanto grotteschi.

Il fermento creativo spagnolo, pur inserito in un contesto apparentemente marginale come quello delle produzioni europee di area mediterranea, lascia dunque ben sperare sulle possibilità di godere in futuro di un cinema meno monopolizzato. Già la vittoria di Parasite agli Oscar di quest’anno sembra sufficientemente indicativa della volontà collettiva di archiviare gli automatismi stanchi delle grandi produzioni americane e di superare il concetto di centro in favore di una dialettica più feconda ed animata tra le major e quelle che, fino a ieri, erano considerate cinematografie periferiche, tra le quali appunto quella spagnola, oggi, senza dubbio, in vertiginosa ascesa.