Aladdin (2019): in che modo il live action “corregge” il cartone Disney

Quali sono le differenze tra il live-action di Aladdin dal materiale originale? Quali modifiche sono state apportate a livello produttivo e di trama?

L’ultimo remake targato Disney cerca di elaborare una reinterpretazione di alcuni aspetti specifici del cartone animato del 1992 Aladdin. Alcune scelte effettuate, anche se azzardate, possono avere senso. Dove è intervenuto lo sceneggiatore e regista Guy Ritchie,assieme ai suoi collaboratori dietro le quinte, per rafforzare la componente narrativa del film?

Aladdin del ’92 è sempre stato un film amato da un’intera generazione di fan della Disney, ma irto di problemi per la sua insensibilità razziale e la permanenza dello sguardo bianco su una storia che si incentra sulla cultura araba. A causa della popolarità della quale gode il titolo originale e della sua presenza fissa come marchio per lo studio, era inevitabile che sarebbe stato riadattato e riproposto su schermo. C’è ancora molta strada da fare per offrire una vera diversità in termini di rappresentazione del medio oriente, offrendo l’opportunità a voci emarginate di esporsi ad Hollywood e in film ad alto budget. Tuttavia abbiamo individuato tre punti che emergono e fanno la differenza nel film di Ritchie, partendo dalla scelta dei membri dello staff e del cast.

Attenzione: il seguente articolo contiene spoiler sul film.

Aladdin (2019): la questione razziale nel live-action

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Aladdin sembra essere più soggetto a un fallimento rispetto ad altri progetti Disney. In precedenza vi era già stato un caso delicato riguardo il cartone del 1992, molto controverso per via del problematico ritratto della cultura mediorientale messo in scena da cineasti bianchi. Ancora oggi, il cartone viene messo in esame specialmente per la questione razziale del cosiddetto “white-washing”, termine che indica una pratica dell’industria cinematografica in cui personaggi caucasici ottengono un ruolo o vengono raffigurati all’interno di un mondo in cui dovrebbe ergersi un’altra etnia, al fine di renderlo più appetibile al grande pubblico.

Aladdin (2019) – conosciamo il cast del live action Disney

In termini di messa in scena di eroi e cattivi nel film, il live-action di Aladdin propone un cast appartenente a etnie diverse, come Mena Massoud (egiziano, nato al Cairo) nei panni del protagonista e Marwan Kenzari (tunisino, nato a L’Aia, Paesi Bassi) in quelli di Jafar. Ci si distacca dal problema dell’animazione creata prevalentemente da un team di persone caucasiche per espandere gli orizzonti e coinvolgere su schermo volti non tanto riconoscibili ma perfetti nel ruolo che devono ricoprire.

Aladdin (2019): il ruolo centrale di Jasmine nel live-action

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La figura di Jasmine è essenziale ai fini della trama, non viene ridimensionata ma anzi si cerca di ampliare lo spettro delle sue emozioni e le ambizioni che coltiva dentro di sé. La principessa, ai tempi dell’uscita del cartone originale, era stata criticata per il suo design troppo sessualizzato, incluso un momento in cui lei seduce Jafar dopo essere diventata sua schiava. Tuttavia nel remake le viene assegnato un ruolo più centrale e definito, soprattutto nel confronto con Jafar. Lui non la brama e quando la costringe a sposarlo, non si tratta di sesso ma di potere. È un misogino che sfutta il matrimonio come un modo per controllarla, ma i suoi gesti risulteranno inutili. È una svolta necessaria e importante, si va limando il contenuto sessualizzato rimpiazzandolo con una guerra di posizione, molto più marcata e ben esposta tramite l’esposizione di un personaggio femminile deciso, determinato e con uno spirito avventuriero da esplorare nel corso della visione.

Aladdin (2019): più caratterizzazione e motivazioni aggiornate nel live-action

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Soffermandoci ancora su Jasmine: lei è ancora turbata dall’insistenza della legge che la costringe a sposare un principe ma il suo arco emotivo è motivato più che da un semplice desiderio di amore vero e libertà al di fuori delle mura del palazzo del Sultano. Vorrebbe ottenere lo status di Sultano lei stessa ed essere un leader gentile per il popolo di Agrabah. Un ruolo che viene messo in discussione perché si ritrova in uno scenario in cui una donna non può essere vista come guida o esempio per il popolo, quindi deve sposarsi e lasciare che sia il suo futuro marito a governare. Un sottile cambiamento in sede di scrittura molto sottile ma che fa davvero la differenza.

A Jafar viene data una motivazione più regolata dal suo passato che dalla lussuria, quest’ultima trasmessa in maniera superficiale nel cartone. È un ex ladro, un dettaglio che condivide con Aladdin quando lo convince a entrare nella Caverna delle Meraviglie. Dice al ragazzo che la cosa più importante al mondo non è solo essere potente, ma rappresentare la persona più potente del regno. Un personaggio plasmato dalle sue insicurezze, poco considerate rispetto alle richieste del Sultano; difetti che lo hanno spinto ad accumulare più potere attraverso ogni mezzo necessario. Un antagonista che non brilla per interpretazione, ma ha una sua valenza ai fini della trama con una scrittura rifinita e aggiornata per il remake.

Al Genio di Will Smith viene cucito addosso un interesse amoroso con l’introduzione di un nuovo personaggio Dalia, l’ancella di Jasmine, interpretata da Nasim Pedrad. Questo dettaglio di trama si lega perfettamente con il prologo, nella quale appare il Genio non sottoforma di mercante ma nella sua versione umana con moglie e bambini, pronto a raccontare al pubblico la storia di Aladdin. Un comprimario di rilievo non limitato a grande caratterista con inserti comici incisivi, come lo poteva essere la sua controparte animata interpretata dal compianto Robin Williams in originale e Gigi Proietti nella versione italiana, ma un carattere più formato che deve essere disteso per due ore di durata dall’arco dinamico e potenziato dal contributo registico di Ritchie.

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