Wolves – Il campione: recensione del film con Michael Shannon

Wolves – Il campione è l’ennesimo film sportivo dalle grandi speranze inesorabilmente infrante che fa affidamento su due nomi noti per sviare l’attenzione da una trama inconsistente e un’esecuzione mancante. Qui di seguito trovate la recensione di questa pellicola con Michael Shannon e Carla Gugino.

Wolves – Il campione vede protagonisti Anthony Keller, giovane promessa del basket studentesco con una borsa di studio assicurata presso la Cornell University, una fidanzata di lunga data che lo ama e un coach che accetta i suoi consigli, seppur azzardati, poiché capitano benvoluto e osannato dai compagni di squadra. Ma la vita al di fuori dell’ambiente scolastico è tutt’altro che rosea e sta inevitabilmente iniziando a degenerare a causa di un padre che, tra alcol e gioco d’azzardo, rischia di distruggere il suo futuro. Una situazione da sempre precaria che non è mai sembrata così tragica come adesso e che romperà definitivamente l’idilliaco equilibrio mentale che il ragazzo aveva cercato di costruire.

Concedendogli un primo rapido sguardo, si potrebbe pensare che Wolves – Il campione sia desideroso di inserirsi nella lunga traduzione di film sportivi che cercano di coniugare l’amore per il basket e una famiglia disagiata, infondendo nello spettatore il classico messaggio di speranza che con la perseveranza e il duro lavoro i giovani talenti possano comunque riuscire a superare la loro condizione sfavorevole e diventare dei campioni, proprio come suggerisce il titolo italiano. Ma la realtà è ben diversa da quello che si possa immaginare e da ciò che la trama vuole inizialmente rivelare.

Il film richiama vagamente le intramontabili pellicole sportive del passato solamente per pochi momenti, in quelle quattro scene contate che vedono il protagonista coinvolto nelle partite di basket che gioca a scuola e nel campetto del quartiere con una passata stella di questo sport, per poi distaccarsene totalmente e tentare un sommesso approccio da opera di nicchia dalle vaghe aspirazioni.

Il rimando a He got game di Spike Lee è più che evidente a partire dalla riproduzione di un rapporto conflittuale tra un giovane talento e una figura paterna egoista e problematica, con la sostanziale differenza che in questo caso genitore e figlio sembrano viaggiare su due binari paralleli, con i due che portano avanti le loro esistenze separatamente senza mai incrociarsi veramente. Se nel film di Lee il protagonista era stato un genitore assente per via della sua permanenza in carcere, in Wolves – Il campione non ci è dato sapere per quale motivo essi condividano la stessa casa senza sapere nulla della vita dell’altro, con le scelte sconsiderate del padre che inevitabilmente si ripercuotono sull’avvenire del figlio e su una brillante carriera che potrebbe essere stroncata ancora prima di nascere.

Il capofamiglia di questa pellicola non è solamente sconsiderato ed egocentrico, pronto a compiere azioni deprecabili, ma è soprattutto inconsapevole di cosa stia avvenendo nella vita del giovane, come se dal nulla si fossero ritrovati a essere padre e figlio e gli ultimi diciotto anni trascorsi insieme non fossero mai stati vissuti.

Wolves – Il campione, Cinematographe.it

Wolves – Il campione: un film dalla trama inconsistente che si dimentica dell’esistenza dei suoi personaggi

Ciò che realmente manca in questa pellicola diretta da Bart Freundlich, conosciuto più per essere il marito di Julianne Moore che come navigato regista, è l’intrinseca caratterizzazione dei personaggi principali che portano i volti noti di Michael Shannon e Carla Gugino, i quali fungono solamente da grossolano espediente per vedere il film, non essendone state sfruttate le illimitate capacità. La raffigurazione di una famiglia disfunzionale pienamente votata all’autodistruzione e al sabotaggio reciproco, in cui scelte sbagliate si susseguono una dietro l’altra in un immancabile effetto domino che inghiotte ciascun membro in un vortice di frustrazione e commiserazione, non è abbastanza per sostenere la corda di collegamento tra spettatore e vicende.

Ogni personaggio prosegue sulla sua strada con degli enormi paraocchi che gli impediscono di vedere ciò che gli capita intorno corroborato da una evidente carenza di personalità. Nonostante i suoi sforzi, il padre interpretato da Michael Shannon assolve solo allo scopo di mettere in scena il classico antagonista della situazione che a malapena si riesce a sopportare, senza preoccuparsi di donargli anima e corpo, motivazioni e intenti che approfondiscano la sua natura malata che sta progressivamente mettendo in ginocchio chi gli sta intorno. A tutto questo, si aggiunge a completare il quadro una regia arrancata e piatta che finisce inesorabilmente per diventare stanca e depressa, come se avvertisse il macigno di una storia destinata ad accartocciarsi su se stessa, inconsapevole del punto di arrivo e dello scopo da raggiungere.

Wolves – Il campione è un film che perde di vista i suoi stessi obiettivi, o forse non li ha mai realmente avuti, dimenticandosi il funzionamento delle regole base della narrazione e limitandosi a estrapolare qualche aspetto da tematiche e storie già ampiamente raffigurate nel corso degli anni, ripiegandosi sui suoi stessi errori e cadendo così in fondo nel baratro della banalità da non riuscire a risollevarsi nemmeno se alla fine avesse deciso di mostrare la partita più vittoriosa e sensazionale mai giocata.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

1.8