Un vizio di famiglia (L’Origine Du Mal) – recensione film di Sébastien Marnier

La recensione di Un Vizio di Famiglia (L'Origine du Mal), il film di Sébastien Marnier al cinema dal 4 gennaio 2023 con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Presentato in anteprima mondiale alla 79° mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonte Extra, L’origine du Mal (tradotto malamente in Italia, Un vizio di famiglia), terzo lungometraggio scritto e diretto da Sébastien Marnier, di prossima distribuzione nelle sale nostrane a cura di I Wonder Pictures, sembra riportarci ad un certo modello di cinema thriller a tinte erotiche un po’ pacchiano, seppur nerissimo ultimamente così raro da ritrovare al cinema e che non troppi anni fa sembrava invece affollare certe emittenti televisive nelle ore della notte.

Giunto al suo terzo lungometraggio, Sébastien Marnier, giovane e interessantissimo regista, sceneggiatore e scrittore francese, dopo l’ottimo e nerissimo L’ultima ora che si legava ad aspetti per certi versi sovrannaturali e il meno riuscito Irréprochable, si interessa questa volta ad un modello di cinema tutto al femminile (o quasi) che sembra affondare i denti nella materia cinematografica propria di autori quali Rainer Werner Fassbinder, Michael Haneke e Thomas Vinterberg, riflettendo tanto sulla lotta tra classi quanto sulla famiglia e dunque coralità, come entità capace di generare il male più assoluto e temibile di fronte ad ogni altro.

Marnier, interessandosi all’analisi e costruzione di un personaggio femminile frammentato, ambiguo e in conflitto con sé stesso – e poi con gli altri – alla costante ricerca di una protezione, che questa si identifichi in una figura umana, piuttosto che in un’abitazione, considerata la sua natura costantemente misteriosa poiché legata ad una logica di sfruttamento e di richiesta, proprio perché priva di qualsiasi reale appoggio o solidità nella vita, crea una sorta di figura fantasmatica o quantomeno ibrida e invisibile, capace di adattarsi a qualsiasi condizione, mutando sé stessa e vestendo i panni di qualcuno – o qualcosa – che di fatto non è, senza tuttavia apparire, scomparendo tra le identità.

Il gioco narrativo più probabilmente riuscito di L’origine du Mal lo si può facilmente identificare in questa riflessione su di un’identità astratta abile e meschina che sfruttando condizioni esterne in continuo mutamento, è capace di vestire panni che non solo non le appartengono, ma che studia o simula, appellandosi a racconti o vicende altrui. Un’identità che diviene presto divoratrice di numerose altre identità e che per certi versi sembra rifarsi al tema del doppio, eternamente rivisitato dal cinema horror.

Stéphane (Laure Calamy) infatti convinta di condurre una quotidianità estremamente banale e riduttiva rispetto a ciò che le sue aspirazioni le hanno creato nella mente, frequenta donne che non smette di sfruttare, succhiando da esse racconti, accadimenti e vite nella speranza di poter compiere quel salto in più che da così tanti anni va cercando. Un salto che probabilmente la compagna carcerata le offre senza tuttavia volerlo.

Il male è nella famiglia – Destabilizzazione e Capovolgimento in Un vizio di famiglia

Ritrovata la famiglia d’origine dunque, a Stéphane è permesso affacciarsi su dinamiche di potere che mai si sarebbe aspettata di dover fronteggiare. Infatti Serge (Jacques Weber), il padre miliardario ormai anziano, non soltanto è vittima di una malattia degenerativa mai realmente nominata, ma è anche – e soprattutto – vittima delle figure femminili della sua famiglia, sempre più affamate di denaro e fama, da George (Dora Tillier), la figlia imprenditrice, a Louise (Dominique Blanc), la moglie diabolica che pur di farlo soffrire, lo punisce acquistando compulsivamente qualsiasi genere di bene, che finisce poi in un seminterrato colmo di pacchi, scatole e sacchi, osservati e alleggeriti quotidianamente dalla governante Agnes (Véronique Ruggia-Saura), all’insaputa della famiglia.

Se in un primo momento Stéphane sembra ritrovarsi di fronte ad una condizione di abuso e perversa tortura psicologica, è solo con il procedere del film che Sébastien Marner svela tutte le carte, destabilizzando ferocemente lo spettatore attraverso un capovolgimento di ruoli e dinamiche capace di mutare una volta per tutte L’origine Du Mal, da dramma sociale a tesissimo thriller psicologico.

In un incontro curioso tra più cinematografie così distanti – seppur in dialogo – tra loro come quelle di Almodóvar , Fassbinder, Haneke e Vinterberg, L’origine du Mal forte di una narrazione in continuo svelamento, e di personaggi mai chiaramente delineati perciò celati nell’ombra, tra sadismo, perversione e violenza, intrattiene e conquista, ragionando sulla famiglia come entità capace di generare il male peggiore, quello atavico, immortale e in continuo mutamente, perciò invisibile, sotterraneo eppure percepibile, così com’è invisibile, subdola e percepibile Stéphane.

L'Origine du Mal Cinematographe.it

Dalla distruzione del sistema patriarcale, alla derisione delle logiche machiste per certi versi parodica, poiché derisa in un primo momento e sfruttata attraverso questa femminilità corrotta e pericolosa in un secondo tempo, fino all’ambiguità dei ruoli identitari e alla scelta certamente interessante e nerissima di uno scenario popolato da sole figure antagoniste. Ciò che contraddistingue il film di Marnier da qualsiasi altro del panorama internazionale attuale è proprio questo, la volontà di raccontare il femminile unicamente come diabolico e perverso, sfidando le attuali condizioni generate dal Me Too.

Un film di altri tempi, che tra erotismo soft, dramma familiare e thriller psicologico, esplora i lati oscuri tanto della mente femminile, quanto della famiglia come nucleo identitario e di élite, capace di garantire protezione e potere dinanzi a qualsiasi malefatta e atto di violenza, generandola a sua volta, attraverso l’inganno e la menzogna.

Il male è nella famiglia, questo sembra affermare Sébastien Marnier, un autore sempre più anomalo e interessante, legato ad un’idea di cinema oscuro, ambiguo, feroce, estremamente tecnico (interessante l’uso continuo dello split screen) e nichilista difficilmente rintracciabile altrove.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.1