Venezia 76 – The Prince (El principe): recensione

Recensione di The Prince (El principe), debutto alla regia del cileno Sebastián Muñoz che ci porta un film all’insegna della sensualità irruente.

Pablo Larraín, Sebastián Lelio, Sebastián Muñoz. Il cinema riparte dal Cile. Al regista di Gloria e del suo remake americano Gloria Bell, nonché vincitore di un Premio Oscar per il Miglior film straniero con Una donna fantastica nel 2018, e al suo compatriota Larraín in concorso alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia con il musical Ema, va affiancandosi il semi-esordiente Muñoz, per anni scenografo del cinema cileno e alle prime esperienze di regia con i cortometraggi Happiness (1996) e Good Luck (1997) e il documentario a sei mani Buenos Aires Rap (2014). Ora Muñoz arriva al Lido con il film The Prince (El principe).

Un’entrata all’insegna della sensualità irruente quella di Sebastián Muñoz con il suo The Prince, quella dei corpi scoperti, dei genitali toccati e inquadrati, che portano nella sezione della Settimana Internazionale della Critica l’esplorazione della propria sessualità nelle predeterminate tappe della vita in carcere. È, infatti, nelle celle argillose e rettangolari che Jaime (Juan Carlos Maldonado) mette a frutto i semi delle proprie fantasie naturali, legate ai fisici dei giovani prestanti, ma consumate agli inizi con l’esperienza di uomini adulti e dominanti. La prigione del 1970 è per il ragazzo crescita personale e interscambio di piaceri che non potevano essere esplicitati al di fuori, resi tattili dal film di Muñoz e dal narcisismo dei suoi personaggi selvaggi e ingordi.

The Prince (El principe): le calde celle del film di Sebastián Muñoz

The Prince (El principe) cinematographe

L’ambiente macho della galera rivive del racconto omonimo scritto da Elías O. Martínez e sembra pulsare delle eco dei diari del Novecento del poeta Jean Genet, di quegli incontri rubati violentemente, accarezzati e posseduti per essere poi gettati in un angolo della propria prigione, aspettando di ricominciare a stuzzicare e baciare ancora. Il promiscuo di The Prince riscalda le celle, così calde grazie all’illuminazione di Enrique Stindt e alla sua fotografia avvolgente che esalta tinte e persone, spogliate entrambe delle futilità e riempite di passione e, a volte, sentimento. Nella casa della mascolinità è il femmineo che unisce i personaggi, i loro corpi freschi, vogliosi, che si fanno portatori della storia, quella che viaggia parallelamente nella reclusione forzata di Jaime e nell’omicidio che lo ha costretto al carcere.

Dalla repressione della quotidianità all’esterno, alla nomina di Principe per i corridoi e le docce del penitenziario cileno: il percorso del protagonista di Juan Carlos Maldonado si trasforma tra uno sfioramento e l’altro, riti che diventano canonici tra gli spazi della prigionia, che portano il personaggio alla sua evoluzione completa, mentre è il passato che viene messo a confronto, in cui era impossibile domare i propri istinti. Circolarità che si compie nella scoperta tangibile di una sessualità che non è mai fine allo scandalo, mai decisa a scioccare con la propria nudità o la lussuria del gesto. È, piuttosto, il destino che va delineandosi, che da fanciullo da svezzare rende Jaime sovrano delle proprie stanze, nell’adempimento di un cammino che lo vede da cortigiano di corte a padrone dello stesso uomo che lo aveva aperto alle gioie del sesso.

The Prince – Storia poliedrica fra sesso, crescita, violenza e piaceri

The Prince (El principe) cinematographe.it

In The Prince il torbido e il proibito vanno oltre la licenziosità, integrandosi alla messa in scena tanto da rendere quell’aggrovigliarsi di membra parte stessa delle sale, dei muri, un’integrazione di quei luoghi sporchi che donano ardore alle pareti vuote. Il cinismo della criminalità si maschera della sfrontatezza della seduzione, ma sono sempre gli impulsi a soggiogare gli uomini, sanguinosi quanto carezzevoli, letali quanto teneramente affezionati.

Nella scoperta del proprio posto nel mondo, The Prince è un esordio nella finzione coi fiocchi, curato nei dettagli di quell’edificio da cui è impossibile sfuggire alla veemenza e in quella scenografia da cui il proprio regista partiva – assemblata per l’occasione da Claudia Gallardo. Un film conturbante, nella sua poliedrica ferocia sessuale, emotiva e primitiva.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5