L’uomo che vide l’infinito: recensione del film con Jeremy Irons

Un film che avrebbe potuto far sognare molto di più, attraverso l'amore del suo protagonista per quegli schemi matematici che non sono altro che indizi divini per comprendere le regole di un mondo in perpetuo cambiamento: una benedizione che spesso si fatica a vedere come tale, ma solo per paura.

Un uomo di origini umili, devoto alla sua neo-sposa e a una terra, l’India, ricca di spiritualità, in cui la religione è parte integrante della vita quotidiana: Srinivasa Ramanujan è il genio della matematica la cui breve esistenza è raccontata da L‘uomo che vide l’infinito, il film per la regia di Matt Brown con protagonisti Dev Patel, Jeremy Irons e Stephen Fry.

Un uomo dotato di un dono – o meglio – di un’urgenza che lo porta a interpretare naturalmente i numeri, comprendendo, senza sapere come, gli schemi sottesi alle più complicate operazioni matematiche. Verità che appaiono agli occhi del giovane come dogmi, privi della necessità di essere dimostrati e per questo difficili da fare accettare ad un mondo abituato a credere solo in ciò che vede.

L’uomo che vide l’infinito racconta i passaggi salienti della breve vita di quello che viene considerato ad oggi uno dei più grandi talenti della disciplina, paragonabile all’estro e al genio di Newton per le sue scoperte e come lui appassionato alla forma, al lato più estetico e romantico della matematica.  Nella vita di Ramanujan (Patel) – vissuto nel famigerato periodo storico della prima guerra mondiale – la matematica rappresenta il senso di un’esistenza che sembra destinata alla miseria e all’incomprensione. Fino a quando un professore dell’Università di Cambridge (G.H. Hardy, interpretato da Irons) accetta la premessa della sua praticamente nulla istruzione e decide di riceverlo per verificare con mano la portata delle sue scoperte.

L'uomo che vide l'infinito Cinematographe.it

Abbandonata Madras e la sua giovane sposa, Ramanujan attraversa così l’oceano alla ricerca di quel riconoscimento che ai suoi stessi umili ma consapevoli occhi appare più che dovuto ma che dovrà presto scontrarsi con una realtà in cui tutto ciò che è considerato reale va dimostrato, in contrapposizione a tutto quello che il protagonista è, un uomo di Fede.

L’uomo che vide l’infinito: la stretta relazione implicita tra Fede e matematica

Le intuizioni di Ramanujan appaiono subito notevoli agli occhi dei professori della prestigiosa università inglese, ma mancano del criterio fondamentale per essere convalidate e pubblicate: la dimostrabilità. Un cruccio irrisolvibile per il  matematico, del tutto impossibilitato a ridurre le proprie geniali visioni a un ragionamento razionale, del quale tra l’altro non conosce le basi. Ha inizio così un inesorabile travaglio interiore che porta il suo iper-razionale mentore Hardy a dover ripensare il suo concetto di validità scientifica, e il protagonista ad una profonda crisi interiore in cui le credenze religiose, faticosamente difese nel mondo occidentale, lo portano a credersi vittima della maledizione peggiore: essere negato per ciò che è. Lasciando così ai posteri il doloroso compito di verificare quanto le sue formule fossero accurate, pur senza la possibilità di essere dimostrate con la stessa facilità con cui erano state prodotte.

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Ne L’uomo che vide l’infinito Matt Brown cerca di valorizzare il lato più sensibile di questa grande personalità, sottolineando lo stretto rapporto fra la vita spirituale di Ramanujan e il suo impressionante talento. Ma una sceneggiatura debole, a tratti retorica, non rende la dovuta giustizia a un uomo che rivoluzionò letteralmente le conoscenze matematiche del tempo, mettendo il suo sapere innato addirittura al servizio delle attuali teorie sui celebri buchi neri. Peccato, perché i protagonisti sembrano cuciti sui rispettivi personaggi e la regia appare accurata nella resa visiva di questa splendida storia che – nonostante qualche ottima trovata – non riesce a trovare lo spazio per brillare quanto questo straordinario ragazzo, la cui vita fu decisamente troppo breve per la portata delle sue idee.

Un film che avrebbe potuto far sognare molto di più, attraverso l’amore del suo protagonista per quegli schemi matematici che non sono altro che indizi divini per comprendere le regole di un mondo in perpetuo cambiamento: una benedizione che spesso si fatica a vedere come tale, ma solo per paura.

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L’uomo che vide l’infinito è basato sulla biografia di Robert KanigelLa vita breve vita di Srinivasa Ramanujan, genio della matematica; nel cast anche Toby Jones, Jeremy Northam e Kevin McNally.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

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