Venezia 77 – Lasciami andare: recensione del film di Stefano Mordini

Stefano Mordini torna al thriller con Lasciami andare, che sfocia però prettamente nel dramma, non sapendo costruire il mistero.

Stefano Mordini ha dimostrato che il genere thriller lo sa fare. Ha preso una sceneggiatura non originale spagnola, ha trasformato un racconto contorto in un remake di discreta fattura ed è riuscito a realizzare un buon prodotto di genere come Il testimone invisibile, che ha saputo unire connotati usuali del mistery drama a una fruibilità di pubblico altamente commerciale nella sua accezione più positiva. È per questo che, dopo quella macchia insofferente e ingiustificabile del rifacimento nostrano della commedia francese Gli infedeli, l’arrivo del suo Lasciami andare poteva appianare dispiaceri e rimostranze che la pellicola simil a I mostri aveva suscitato. Film che la Mostra del Cinema di Venezia sceglie di optare come chiusura del suo anno funesto coordinato dal Covid-19, mettendolo fuori concorso e aggiungendo quello di Mordini a una lunga lista di pellicole italiane presenti nell’anno più particolare del festival internazionale.

Se le aspettative, quindi, erano quelle di ritrovare un mordente che era rimasto celato dietro le sorti di un rifacimento italiano di un’opera che non ha saputo racimolare alcun consenso, confidando nel ritorno a un ambiente che solo due anni fa il regista e sceneggiatore aveva saputo esplorare soddisfacentemente, è nello sconforto più sincero che l’opera con Stefano Accorsi, Valeria Golino, Maya Sansa e Serena Rossi trascina lo spettatore, che di una possibilità di rivalsa per Mordini aveva avuto il sentore. Sentore perché di Lasciami andare sono diverse le qualità che vanno riconosciute al film e al suo fautore: un buon allestimento della messinscena, scenografie e occhio per tinte e dettagli che, seppur non particolarmente intriganti sotto il grigiore di una fotografia a evocazione dei sentimenti dei personaggi, rispettano l’atmosfera del dramma e riescono ad amalgamare una coerenza d’unione e visiva, nonché un’evidente attenzione alla recitazione degli attori, che riescono a interagire con convinzione – marginale nel complesso della pellicola – nei corridoi prolungati di una perdita ancora viva.

Lasciami andare – Auto-sospingersi di un thriller debole e immobilelasciami andare, cinematographe

Cure che palesano un cinema non sciatto, non lasciato a se stesso nella risoluzione di un mistero, anche qui, che cerca di venir sospinto fino allo sciogliersi della sua conclusione. Ma nell’adattamento del romanzo di Christopher Coake You Came Back, Lasciami andare manca di un’azione che sembra non svolgersi mai all’interno della pellicola, arrestando e estendendosi intollerabilmente, auto-sospingendosi per giungere a una spiegazione che avrebbe potuto intraprendere molte altre strade per venire districata, scegliendo invece la più inadatta e scansante per arrivare alla soluzione finale.

Conseguenze, quelle di un’immobilità della storia che porta a continui viaggi a vuoto i protagonisti del film, le quali non possono che influire sull’interesse che uno spettatore può acconsentire a un’operazione cinematografica che si arrovella solamente su se stessa, privando di movimento i protagonisti, la cui evoluzione interiore non corrisponde a quella di una struttura narrativa di passaggi e gesti, di agire e progredire, che sono assenti tanto da deconcentrare lo spettatore. Una dilatazione esasperante che finisce per condizionare la percezione stessa che si arriva ad avere nei confronti di Lasciami andare, non riuscendo più a capacitarsi delle scelte dei suoi protagonisti o, ancor peggio, trovandole di un’inutilità, nel loro ripetersi inerti e uguali, sfiancante, limando quel buono che gli si era concesso, sfuggendo dalla comprensione del loro da farsi.

Lasciami andare – Un thriller che diventa puro dramma lasciami andare, cinematographe

Una fissità di cui è il chiudersi medesimo a far risentire i propri effetti nella narrazione, con un velocizzare il racconto in un tempo ristrettissimo della sua intera durata, come se non si fosse stati in grado di districare per tutto il film i nodi creati, riducendosi a un finale pasticciato e precipitoso che fa interrogare ancora di più sul tutto il tempo che si ha avuto e di come non si sia pensato di suddividerlo lucidamente.

Rendendo vacuo il proprio incedere, come più o meno tangibili possono essere le presenze che abitano i canali veneziani di Lasciami andare, Stefano Mordini aveva una possibilità di riscatto, ma non ha saputo sfruttarne il materiale. Un thriller che non sa farsi thriller e che vira, dunque, nelle insidie del puro drammatico, perdendo un’identità che avrebbe potuto farlo distinguere e a cui si è dovuto vedere rinunciare.

 

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Recitazione - 3
Fotografia - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.4