Il morso del coniglio: recensione del film Netflix

La recensione del thriller psicologico dalle venature horror diretto dalla regista australiana Daina Reid e interpretato da Sarah Snook. Dal 28 giugno 2023 su Netflix.

Con un curriculum di tutto rispetto alle spalle che ha alzato di molto l’asticella e di conseguenza le aspettative degli abbonati, Il morso del coniglio è finalmente approdato su Netflix lo scorso 28 giugno 2023 dopo l’anteprima mondiale alla recente edizione del Sundance Film Festival. Una vetrina importante per una pellicola che prima di sbarcare sulla piattaforma a stelle e strisce aveva diverse frecce a disposizione nel proprio arco per provare a colpire il bersaglio grosso. Da una parte la presenza dietro la macchina da presa di Daina Reid, regista australiana con un passato da attrice e una filmografia nell’ambito seriale di altissimo profilo (da Shining Girls a The Handmaid’s Tale, passando The Outsider), dall’altra quella di Hannah Kent, già autrice di La donna del bosco, Devotion e Ho lasciato entrare la tempesta, nella delicatissima fase di scrittura. Per non parlare di quella di un attrice di peso e spessore come Sarah Snook, vista in Succession o The Beautiful Lie, qui nel ruolo complicatissimo della protagonista, una specialista in fertilità di nome Sarah che deve mettere in discussione le proprie convinzioni e combattere i fantasmi del passato quando si trova costretta a dare un senso ai comportamenti sempre più strani della figlia.

Il morso del coniglio perde quota a causa del lavoro dietro e davanti la macchina da presa che non ha espresso e messo al servizio dell’opera in questione tutto il suo enorme potenziale

Il morso del coniglio cinematographe.it

A malincuore e con ancora l’amaro in bocca per ciò che il film sarebbe potuto essere e invece non è stato, cominciamo con il dire che le frecce scagliate dalla Reid quel bersaglio di cui sopra non lo hanno mai centrato, nonostante le indubbie qualità presenti sulla carta. Il tutto è stato vanificato dal lavoro dietro e davanti la macchina da presa che non ha espresso e messo al servizio dell’opera in questione tutto il suo enorme potenziale. Quest’ultimo rimane in gran parte inespresso, cristallizzato nel percorso del potrei ma non riesco più che del vorrei ma non posso. Le qualità delle forze e delle competenze messe in campo del resto le conoscevamo tutti. Ne avevamo avuto dimostrazione in più di un’occasione quando sono state chiamate in causa. Il ché fa crescere ancora di più la delusione.

Il morso del coniglio finisce per accartocciarsi su se stesso e su una serie di interessanti premesse non sviluppate

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Il morso del coniglio finisce infatti per accartocciarsi su se stesso e su una serie di interessanti premesse non sviluppate. Il risultato è un thriller psicologico che ci mette davvero tantissimo a ingranare la marcia giusta, con il motore narrativo e drammaturgico che nella prima ora gira spesso a vuoto, dilungandosi e accumulando in maniera eccessiva. Come ogni thriller che si rispetti punta tutto sulle atmosfere, portandoci in una Melbourne oscura e selvaggia, ma anche sulla gestione della tensione, con le venature horror che avrebbero dovuto fare il resto. Si perde tra i simbolismi, le derive sovrannaturali e delle suggestioni da favola dark, quando invece avrebbe dovuto trovare una strada e su quella sviluppare la propria identità di genere. Precedenti che si muovono sulle medesime frequenze di genere e modus operandi come Babadook o Hereditary in tal senso riescono proprio laddove la pellicola della cineasta australiana non riesce, ossia nella capacità di non perdere mai il controllo della tensione sino al momento della sua implosione. Ne Il morso del coniglio la detonazione avviene ma non fa rumore e per di più troppo in ritardo rispetto alle reali esigenze della timeline, ossia quando questa ne aveva veramente bisogno per dare una scossa decisa al racconto.

La scrittura si perde tra simbolismi, derive sovrannaturali e suggestioni da favola dark

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Questo continuo rimandare si ripercuote negativamente anche sulla messa in quadro, con la regia che da un punto di vista formale appare troppo concentrata sull’estetica e sulla forma, rimanendo di conseguenza fine a se stessa. Davvero un gran peccato vista la qualità che vi è alla base, che trasuda anche dal pregevole contributo dato dalla fotografia e dal sound design.Peccato anche per la performance della Snook, che per assecondare le mutazioni genetiche e i cambi di registro a cui la scrittura sottopone il suo personaggio non riesce a esprimersi al meglio e a esternare tutto il magma incandescente che cova in Sarah. L’attrice e le sue spalle, compresa la giovanissima Lily LaTorre nei panni di Mia, fanno il possibile per tenere acceso il fuoco, ma questo il più delle volte si spegne o perde di intensità.       

Il morso del coniglio: valutazione e conclusione

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Ne Il morso del coniglio va in scena la fiera dell’inespresso e dell’incompiuto, quella del potrei ma non riesco piuttosto che del vorrei ma non posso. Tali potenzialità rimangono colpevolmente cristallizzate a causa della scrittura incerta sulla strada da prendere e portare avanti, da una regia troppo concentrata su se stessa e da performance attoriali che perdono troppo frequentemente la bussola per colpa di personaggi stereotipati e mal delineati. Il lavoro sulle atmosfere e sulla tensione non porta agli esiti sperati, nonostante la qualità messe in campo dalla fotografia e dal sound design.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 3.5
Emozione - 1.5

2.5

Tags: Netflix