The Handmaid’s Tale 5: recensione del finale di stagione

Dopo 10 episodi siamo arrivati alla conclusione di questa quinta stagione di The Handmaid’s Tale 5 – dal 15 settembre 2022 (il 14 su Hulu), per il pubblico italiano su TimVision e la programmazione prosegue poi con il rilascio di un episodio a settimana, dal 22 settembre al 10 novembre -, la serie che prende le mosse dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood. La serie è un doloroso racconto di violenza e sopraffazione, una distopia che ferisce e che non dà mai pace, anche questa quinta stagione è un viaggio nel trauma di June, una sempre strepitosa Elisabeth Moss, che pensa di trovar pace lontano da Gilead, invece anche lontano da quel luogo la sua ferita continua a sanguinare. June non è più DiFred, è ritornata ad essere donna libera, almeno nel nome, ma porta dentro, in ogni cellula del suo corpo una rabbia, uno strazio, un desiderio di vendetta mai paghi. L’abbiamo visto all’inizio della stagione, quando, assieme alle sue compagne, uccide Fred, uno per tutti gli uomini che le hanno stuprate, usate, umiliate. Uccidere uno per uccidere tutti gli altri. Quegli occhi di brace però hanno ancora sete di vendetta: anche Serena è stata complice della prigionia ai suoi danni, June la odia con tutta sé stessa ma dall’altra parte sono unite da qualcosa di talmente spaventoso e profondo di cui si comprenderà l’intensità solo lungo questi episodi. Come andrà a finire lo scontro titanico tra queste due donne? Come si può lenire una ferita così profonda senza cercare vendetta? Il Canada riuscirà a fermare Gilead o quello che ne resta?

The Handmaid’s Tale 5: un’eroina che colpisce

Questa stagione, la penultima prima della sesta conclusiva, vede June compiaciuta del proprio gesto (l’assassinio di Fred): non prova alcun tipo di rimorso, ha imparato a Gilead la violenza, l’ha incanalata in ogni parte del proprio corpo e, come spesso accade, il male ha generato e genera male, il dolore ha generato e genera dolore. La sua umanità si è affievolita e ha lasciato posto ad una belva feroce pronta ad attaccare. Il personaggio di Elisabeth Moss ha fin da subito incarnato il ruolo di eroina, la sua tenacia, la sua voglia di vivere anche quando era costretta ad essere un oggetto, una bambola nelle mani di un padrone – un comandante stupratore, violento, poligamo per legge, che possiede le donne in ogni maniera e modo – il suo coraggio che l’ha resa combattente anche quando l’unica strada possibile sarebbe stata quella di impazzire. Lei è tutto nella narrazione, su di lei si costruisce l’intera serie, lei è multiforme: è madre tenera che accarezza la piccola Nicole ma con le mani sporche di sangue, è vendicatrice ma poi fa l’amore con Luke per celebrare quella vita e quel piacere che per molto tempo le sono stati tolti, è pronta a uccidere più volte Serena ma poi l’aiuta nel momento più importante, quando sta per dare alla luce suo figlio.

Non è pentita di aver ucciso Fred e al tempo stesso capisce che non può farsi assorbire totalmente dal desiderio di vendetta, perché altrimenti finirebbe per perdere di vista il suo compito principale: liberare sua figlia Hannah da Gilead, non può permettere che anche lei subisca ciò che ha subito lei.

The Handmaid’s Tale 5: Serena e June, due donne che compiono viaggi complementari, paralleli e convergenti

Sono June e Serena, i due perni di questa serie che racconta di un mondo misogino e patriarcale, malato e violento che usa le donne. In questa stagione il percorso di June e Serena è convergente, parallelo e contrario – vestite l’una di bianco, l’altra di nero – e inverso: chi è vittima diventa carnefice, chi è carnefice diventa vittima, chi aveva il potere ora ha bisogna di aiuto e viceversa. Il viaggio interiore di Serena è complesso eppure in un modo o nell’altro è molto simile a quello di June, infatti, seppur mosso da motivazioni diverse il loro cammino è quasi complementare. Anche lei inizia la stagione con il desiderio di vendicare la morte di Fred, ma capisce ben presto di aver questioni più importanti da risolvere. La donna si rifiuta di rimanere in Canada e tenta in tutti i modi di tornare a Gilead, convinta di poter avere di nuovo lo stesso potere detenuto in precedenza. Capisce ben presto di non aver più rilevanza nel regime totalitario che ha contribuito a fondare, anzi il suo percorso sembra molto simile a quello di June e delle altre ancelle.

L’estenuante percorso di Serena e la disponibilità di June al compromesso portano le due donne, nello stesso tempo, nello stesso luogo e con lo stesso obiettivo – mettere in salvo i loro due figli- quando si incontrano su un treno nel finale della quinta stagione. Per quanto sia stridente vedere le due donne e i loro bambini viaggiare – simili anche nel loro essere madri – come civili e pari, è una conclusione logica per una stagione implacabile. Serena ha perso Fred, Gilead, la determinazione a ritornare a casa sua si è indebolita, ciò che è invece fortissimo è l’amore per quella creatura e la sua intera esistenza si è rimodellata attorno a quel grembo che cresce – quello stesso grembo che è stato riempito dagli uomini di Gilead – e che dà alla luce un maschietto. Senza il marito al suo fianco, ha capito che Gilead non la sosterrà, lei è una donna, lei ricorda il passato, ha bisogno di allontanarsi il più possibile per crescere suo figlio in pace. June deve lasciare il Canada, abbandonare Luke a sé stesso – forse come ha fatto in lui in passato perché incapace di fare qualsiasi altra scelta -, salvare Nicole e pensare di riprendersi Hannah – che dimostra in quelle poche immagini che la stagione le dà, di avere la stessa caparbietà, lo stesso spirito ribelle della madre.  

Serena è “in prigione”, trascorre le ultime settimane di gravidanza a casa dei coniugi Wheeler – che creano in Canada un centro di fertilità – e, come in un gioco distopico ci sono dei parallelismi infiniti con la June delle stagioni precedenti. A poco a poco, Serena, come risvegliandosi da un torpore, capisce quanto sia terribile il regime di Gilead.

Il Canada e Gilead, non sono paesi per donne

June ha anelato lungo tutte le stagione ad un luogo in cui stare al sicuro ma quando crede di averlo trovato qualcosa va storto, è quindi interessante che l’ultimo episodio si chiami proprio Al sicuro. Lontano dalle violenze e dalle violazioni di Gilead, June vede un posto che non riconosce, perché la sua casa non è più come la ricordava. Gli applausi del popolo pronto a celebrarla come una “divinità” diventano beffe, le beffe violenza. L’intolleranza in Canada è sempre più alta e i sostenitori di Gilead crescono sempre di più, e, in un’escalation, June è costretta ad abbandonare anche quel luogo, dopo che hanno tentato di ucciderla. Il Canada non è ancora Gilead, per ora almeno, ma, purtroppo, potrebbe diventarlo e questa analisi si fa drammaticamente attuale, perché la serie sembra dirci che il Canada o qualunque altro posto al mondo potrebbero diventare nuove Gilead. È una conclusione triste ma cupamente realistica. Una volta il Canada sembrava la Terra Promessa, la terra della libertà, dei diritti civili, ma ora accade che non tutti i canadesi sono contenti di tutti i profughi fuggiti da Gilead, ora sono troppi, lo spazio e le risorse sono sempre meno.

Per June Gilead però continua ad essere una persistenza, un’ossessione, lungo gli episodi lei torna, parla con Nick di Nicole e chiede informazioni su Hannah, quel luogo è un mostro che le ha lasciato addosso ferite, squarci difficili da rimarginare e su, con, da quelli pensa, ragiona, si muove. Anche lì le cose stanno cambiando, Lawrence (Bradley Whitford), una sorta di Gorbaciov di Gilead, come viene definito, prova a dare un nuovo corso alla nazione, una sua perestrojka. Sembra essere il più buono e onesto, ad un tratto June lo definisce amico ma lui tenta di manipolarla, le promette una vita felice, accanto a Nick, con l’intera sua famiglia al seguito, addirittura con Hannah. Quel luogo è New Bethlehem. Quello di Lawrence è un machiavellico gioco politico per ottenere ciò che vuole e la manipolazione è l’arma prescelta in politica, lo fa June, Serena, Nick e perfino zia Lidia, e l’uomo vorrebbe, attraverso questa nuova nazione dare l’impressione di star costruendo una democrazia ma in realtà è una cosa non così dissimile da GIlead.

Un racconto distopico, doloroso e a tratti insopportabile

June è stata la star di questo racconto distopico, di un film horror e fin dall’inizio di questo spettacolo è una sorta di final girl. Le donne di questa storia si aggrappano alla vita con le unghie e con i denti, rivogliono libertà e indipendenza, si rialzano, rinascendo dalle loro ceneri, lo fanno Serena e June ma lo fanno tutte le ancelle. Janine, nelle grinfie di quel mondo, sta ancora combattendo, intrappolata dalle braccia di zia Lydia ma convinta di non voler ritornare a fare la vita di prima. Come June si rifiuta di vivere a New Bethlehem, così Janine rifiuta l’offerta di un periodo di tempo a casa di Lawrence.

Cercano di cancellare il passato, rimediando agli errori commessi anche alcuni uomini della storia: lo fa Luke, lo fa Nick, lo fa anche Mark Tuello ma è difficile dimenticare il male che il nemico ha compiuto in questa storia. Questi tre uomini hanno tentato di aiutare June: Tuello rischia la sua posizione tentando di farla scappare, Nick e Luke hanno scambiato la propria libertà per June, per Nicole e anche, in parte, per Hannah.

The Handmaid’s Tale 5: una bomba ad orologeria che esplode in un finale che prepara alla sesta stagione

Questa quinta stagione è l’ennesimo pugno nello stomaco, una bomba ad orologeria, qualcosa di violento e disturbante che fa tanto male. Con questi dieci episodi The Handmaid’s Tale prepara il campo per la stagione finale, ci insegna molto sulle due donne protagoniste, su June e Serena, la prima potrebbe uccidere la nemica più di una volta ma non lo fa perché è meglio di lei, glielo dice ricordandole il male subito a causa sua. Non potrà mai perdonarla eppure è accanto a Serena nel momento del bisogno, quando Serena si dispera perché potrebbero strapparle il figlio appena nato, June le ricorda il calvario subito da tutte le ancelle. Le due si sono odiate ma sono anche state molto vicine. Elisabeth Moss ed Yvonne Strahovski danno vita a delle performance recitative di altissimo livello. Il destino è beffardo e, le due, ancora una volta in fuga, si ritrovano a bordo di un treno, più simili che mai. Bury a friend di Billie Eilish accompagna la scena finale, descrive perfettamente l’antagonismo tra Serena e June. “What do you want from me? Why don’t you run from me?/ What are you wondering? What do you know?/ Why aren’t you scared of me? Why do you care for me?/When we all fall asleep, where do we go?”, canta così Eilish, parole perfette per descrivere sguardo, pensieri e rapporto delle due. Che sia l’inizio di un’alleanza? June e Serena unite per scardinare il regime totalitario di Gilead sarebbe un’interessante possibilità narrativa.

The Handmaid’s Tale 5: una quinta stagione che prende a schiaffi

Questa serie dimostra quanto ha ancora da raccontare. Lo spettatore si interroga quando finirà lo strazio per queste donne, quando e se ci sarà un po’ di pace per loro e, come un mantra, si continua a ripetere: “Nolite te bastardes carborundorum”.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 4.5

4.4