I Am Mother: recensione del film Netflix con Hilary Swank

La nostra recensione di I Am Mother, film originale Netflix di Grant Sputore con Hilary Swank e Clara Rugaard che riflette sui cambiamenti climatici.

Con il cambiamento climatico sempre più al centro del dibattito sociale e le conseguenze di esso sempre più evidenti e tangibili, riflettere sul futuro della Terra e dell’umanità purtroppo non è più soltanto un esercizio di fantasia, quanto piuttosto un dovere con cui tutti noi, prima o poi, dovremo fare i conti. Non è quindi un caso la crescente frequenza con cui il cinema sta affrontando questo drammatico problema, intrecciandolo spesso e volentieri con le motivazioni che muovono i protagonisti. Il cinico desiderio di annientamento dell’umanità da parte di Thanos in Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame e il controverso piano della dott.ssa Emma Russell in Godzilla II – King of the Monsters sono elementi narrativi volutamente esagerati, ma riflettono la dura critica di una crescente fetta della popolazione mondiale al comportamento autodistruttivo dell’umanità. Su questo tema si inserisce anche Netflix con I Am Mother, disponibile dal 7 giugno sulla piattaforma.

I Am Mother: Netflix fra Terminator ed Ex Machina

I Am Mother cinematographe.it

Stavolta non ci troviamo di fronte a epiche battaglie fra mostri e supereroi, ma siamo invece immersi in uno scenario post-apocalittico, in cui l’umanità è stata praticamente azzerata da una commistione fra il proprio tossico atteggiamento nei confronti della natura e una serie di eventi che verranno rivelati nel corso di I Am Mother. All’interno di un avveniristico laboratorio, un robot chiamato Mother, che in lingua originale gode del doppiaggio di Rose Byrne, si occupa del ripopolamento del pianeta, allevando migliaia di embrioni e seguendo la formazione e l’educazione del suo più importante risultato, cioè l’adolescente Daughter, alla quale dà corpo e volto la talentuosa Clara Rugaard. La loro routine viene però sconvolta dall’arrivo dall’esterno di Woman, impersonata dalla due volte premio Oscar Hilary Swank, che turba Daughter con rivelazioni che mettono in discussione tutto ciò in cui ha creduto fin dalla sua nascita.

I Am Mother si rifà esplicitamente a pietre miliari della fantascienza come 2001: Odissea nello spazio (il desiderio di onnipotenza, decisamente umano, dell’intelligenza artificiale) e Terminator (lo scontro fra umani e macchine) e a un piccolo gioiello contemporaneo come Ex Machina (la riflessione sui desideri e sulla coscienza di se stessi dei robot), tessendo una trama semplice e lineare, ma non priva di colpi di scena, intorno al tema dell’intelligenza artificiale e alle conseguenze estreme a cui potrebbe portare un utilizzo smodato di questo fondamentale progresso tecnologico. Un ruolo importante lo gioca inoltre la clonazione, rappresentata come strumento con cui è possibile compensare parzialmente la crescente sterilità a cui il genere umano potrebbe andare incontro, in caso di ulteriore deterioramento del clima e dell’ambiente che ci ospita.

I Am Mother: una riflessione sull’intelligenza artificiale e sulla clonazione

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Ci sono limiti che dobbiamo porci nella lotta contro il cambiamento climatico? Quanto possiamo spingerci in avanti nel nostro tentativo di creare e indirizzare la vita, senza esporci a conseguenze nefaste? Qual è il confine del nostro rapporto con la tecnologia e con l’intelligenza artificiale, e quanto possiamo davvero fidarci di essa? Queste sono alcune delle tante domande poste con I Am Mother dallo sceneggiatore Michael Lloyd Green e dal regista esordiente Grant Sputore, che dimostrano abilità nel trattamento del genere fantascientifico e nella rappresentazione di un racconto che, anche nei suoi momenti apparentemente più innocui, come quelli dell’educazione impartita da Mother a Daughter, provoca una sottile ma palpabile sensazione di inquietudine. Il futuribile giardino dell’Eden costruito da Mother all’interno di un freddo laboratorio diventa sempre più cupo, facendosi teatro di uno scontro per la sopravvivenza e per il controllo.

Clara Rugaard, Hilary Swank Rose Byrne danno vita a una sorta di triangolo sentimentale, basato non sull’amore o sul sesso, ma sulla fiducia, sulla disillusione e su una sorta di perverso rapporto genitoriale. Sputore si affida però completamente alle prove delle sue interpreti, mettendo così spesso in secondo piano la componente visiva del racconto, solitamente più efficace. Nonostante la cura scenografica del laboratorio e dei pochi momenti ambientati all’esterno si attesti sempre su buoni livelli, la rappresentazione dei principali risvolti narrativi e del passato delle protagoniste non convince, proprio perché affidata più alla parola che all’immagine.

I Am Mother non mostra molto di ciò che sarebbe stato interessante vedere

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Il nostro cervello e la nostra fantasia sono spesso più efficaci della maggior parte delle sceneggiature, ma nel caso di I Am Mother resta un pizzico di rammarico per non aver potuto vedere neanche uno scampolo della guerra fra umani e robot, che ha portato alla condizione attuale, e dell’allontanamento di Woman dai tunnel in cui si sono rifugiati gli ultimi esseri umani superstiti. Questo da un lato rende il debutto di Sputore non del tutto convincente, ma dall’altro ci lascia sperare in un’evoluzione di questa storia in possibili seguiti o in una serie televisiva, che avrebbero molto materiale da cui attingere.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.9

Tags: Netflix