Eden Lake: recensione dell’horror con Michael Fassbender

Eden Lake è un horror molto convenzionale, che fa suoi tutti i cliché del genere senza discostarsi troppo dalla struttura tipica del filone a cui appartiene, ma con un tocco notevole di personalità e carisma.

L’horror è un genere perfetto per tastare il polso della situazione in cui ci troviamo come specie umana, per capire dove stiamo andando e quali siano i problemi che seriamente ci preoccupano. Grazie alla possibilità di esagerare ed estremizzare situazioni e ansie mettendone in scena le conseguenze più efferate, l’horror può servire sia come catarsi, per superare tali paure, sia come avvertimento, un’ultima chiamata a correre ai ripari prima che i fatti della pellicola possano effettivamente verificarsi. Questo aspetto è tanto più urgente se pensiamo che gli avvenimenti di Eden Lake, se non così estremi, sono ormai comunque all’ordine del giorno.

Scritto e diretto da James Watkins (The Woman in Black, la serie tv Black Mirror), Eden Lake si pone nel solco della tradizione tracciata da opere come L’Ultima Casa a Sinistra di Wes Craven o la serie I Spit on Your Grave, iniziata nel 1978 con il film di Meir Zarchi, tradotto in italiano con Non Violentate Jennifer. Se i precursori del genere si soffermavano sulla violenza del branco e raccontavano la vendetta dei protagonisti per gli abusi subiti, Watkins fa un passo oltre e lega la sua storia all’attualità meno edificante parlando di violenza minorile e dell’emergenza costituita dalle baby gang, mostrando le conseguenze più estreme di questa piaga sociale e puntando il dito contro quelli che identifica come i responsabili della situazione che mette in scena.

Eden Lake: un horror molto tradizionale ma perfettamente confezionato.

Steve e Jenny (Michael Fassbender, Song to Song, L’Uomo di Neve, e Kelly Reilly, Il Paradiso per Davvero, Bastille Day – Il Colpo del Secolo) sono una coppia che decide di trascorrere un tranquillo weekend in riva a un lago, scegliendo di ignorare il fatto che la zona è vietata al pubblico. I due vengono subito infastiditi da un gruppo di adolescenti, che provoca in tutti i modi la coppia e finisce per rubare loro l’automobile. Nel tentativo di recuperare il mezzo Steve scatena la furia del branco, che lo uccide brutalmente e inizia a dare la caccia a Jenny, in fuga e alla disperata ricerca di aiuto.

Eden Lake

Steve (Michael Fassbender) in una scena del film

Eden Lake è un horror molto convenzionale, che fa suoi tutti i cliché del genere senza discostarsi troppo dalla struttura tipica del filone a cui appartiene. All’interno di questi parametri, tuttavia, Watkins trova il modo di infondere personalità e carisma alla sua storia, che riesce a presentarsi non come un’opera meramente derivativa ma come un film con un precisa identità e un messaggio molto ben definito e diverso da quello dei suoi predecessori.

I luoghi comuni ci sono tutti: un’ambientazione lontana dalla civiltà, una ristretto gruppo di protagonisti, in questo caso una coppia, che incontra casualmente un branco di violenti in cerca di un diversivo o di un pretesto per scatenare la propria furia, per non parlare della violenza, che, per quanto piuttosto limitata, esplode brutale e sanguinaria. Il film procede sicuro lungo uno sviluppo molto tradizionale fino al colpo di scena finale, che sceglie di non risolvere per il meglio la vicenda ma di aumentare il senso di claustrofobia della storia con un’ultima, letale sorpresa. Perché violenza chiama sempre violenza, e le colpe dei figli sono sempre il sintomo del male compiuto dai genitori.

Watkins riesce a ridare colore a questo canovaccio stinto grazie alla sua regia sobria ed essenziale, interamente concentrata sui suoi protagonisti e con poche concessioni al virtuosismo; tutto è al servizio della storia che intende raccontare, e il perno del racconto rimangono sempre i personaggi. Il cast brilla particolarmente, nonostante un doppiaggio italiano non sempre eccezionale, soprattutto per quanto riguarda i ruoli di supporto. Oltre ai due protagonisti si fanno apprezzare molto anche i giovani attori, e in particolare Jack O’Connell (Tulip Fever, HHhH) nei panni di Brett, il villain principale del film, un ragazzino violento e brutale che spinge il suo gruppo di amici a dare la caccia e uccidere barbaramente Steve e Jenny.

Come la regia, anche la sceneggiatura ha il pregio apprezzabile dell’essenzialità, rifiutandosi di usare troppe parole quando per spiegare un azione o far procedere il racconto ritiene sia sufficiente un gesto, un espressione. L’intera caratterizzazione dei personaggi procede in questo modo, presentandoli tutti attraverso le loro azioni e i loro comportamenti invece di raccontarli attraverso le parole degli altri protagonisti, snellendo il copione e rendendo più vive e realistiche le persone che incontriamo nel corso del film.

Eden Lake

Brent (Jack O’Connell) in una scena del film

Eden Lake riesce, nella sua semplicità di film molto lineare e convenzionale, a mostrarci come dovrebbe essere confezionato un horror onesto, capace di instillare una notevole tensione senza trascurare i suoi personaggi e il messaggio di fondo. Una tensione che non richiede troppi accorgimenti per essere tenuta in vita, basandosi sul terrore atavico della preda che si sente in trappola e braccata dai cacciatori, in uno scenario inospitale e a lei alieno che nascondere una minaccia dietro ogni albero. Questa sensazione di claustrofobia e di terrore permette di sorvolare anche sugli elementi meno verosimili, e più stereotipicamente horror, come il continuo imbattersi, da parte dei protagonisti, in persone che, anziché aiutarli, si dimostrano sempre in complicità con il branco di giovani.

Eden Lake: “Sono solo bambini!”

Eden Lake affonda le sue radici in una cronaca ancora inquietantemente attuale, nonostante siano trascorsi dieci anni dalla sua realizzazione, e prende ispirazione, come già accennato, dai fenomeni di violenza perpetrati dalle baby gang. Il film mette quindi in scena una storia di violenza in cui i carnefici sono tutti giovani o giovanissimi per mettere in guardia non contro una cattiveria intrinseca nei giovani, ma contro un atteggiamento permissivo e indulgente (autoindulgente, perfino?) da parte degli adulti che sta dando vita a un fenomeno ormai fuori controllo.

Eden Lake

Jenny (Kelly Reilly) vittima del branco di ragazzini in una scena del film

Le intenzioni del regista sono molto ben chiare fin dall’inizio, quando il programma radiofonico che Steve e Jenny ascoltano alla radio parla proprio di questo argomento, quasi un’introduzione alla tesi che si andrà a sviluppare di lì a poco. La violenza del gruppo di adolescenti è presentata in modo brutale e improvviso, uno scoppio di furia incontrollata che, consapevole di non avere nulla da temere, si getta a capofitto in una giornata di torture e omicidio.

Sebbene Brent sia identificato come il soggetto più deviato e deviante del gruppo, è evidente che l’intero branco gode dell’immunità garantita dalla giovane età e dall’incapacità degli adulti del paese di riconoscere le azioni dei figli; nessuno dei ragazzi pensa davvero a conseguenze per le loro azioni se non nel momento in cui queste arrivano, concretizzandosi nella morte di alcuni di loro per mano di Jenny.

Ancora più inquietante della loro violenza, però, è l’arroganza che li caratterizza fin dalla loro prima comparsa. Gli adolescenti di Eden Lake non riconoscono alcuna autorità, non mostrano rispetto o alcun tipo di civiltà nel rapportarsi con le altre persone. La sfrontatezza di Brent, Paige e gli altri ragazzi rispecchia fin troppo fedelmente l’atteggiamento e il comportamento di molti giovani reali, al punto che non risulta difficile capire da dove Watkins abbia tratto ispirazione per il suo film: basta aprire qualsiasi quotidiano per riconoscere le medesime azioni trascritte nelle pagine di cronaca.

Eden Lake

Brent (Jack O’Connell) alla fine del film

Una denuncia contro i giovani quindi? Non proprio. Watkins dimostra di possedere un grande acume, e compie un ulteriore passo avanti identificando negli adulti i responsabili del comportamento dei giovani, che scontano sulla loro pelle e tramandano fatalmente, di generazione in generazione, l’indulgenza e la violenza con cui sono stati cresciuti e che hanno subito nel corso del tempo, interiorizzandoli come unico modello di rapportarsi con le altre persone.

La critica più feroce, quindi è contro il mondo degli adulti, incapaci di riconoscere i danni che hanno prodotto e anzi, vittime loro stessi di quella medesima violenza: la morte di Jenny è presentata come un atto di vendetta da parte dei genitori, che, ciechi alle vere responsabilità dei figli, vogliono lavare con il sangue la morte dei figli e nascondere le malefatte dei piccoli criminali. I quali, ancora una volta, la fanno franca in attesa della prossima occasione per scatenare la loro furia.

 

Regia - 3
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.4