Berlinale 2018 – Damsel: recensione del film con Robert Pattinson

Un western sui generis e innovativo, arricchito da una bella dosa di ilarità!

Un po’ in tutti gli ambiti della vita ci sono quelli che “eh no, questa cosa deve essere fatta così, perché è sempre stata fatta così” e quelli che “bisogna innovare sempre perché il vecchio è da rottamare”. Come dicono un po’ tutte le nonne del mondo, o, piuttosto, i libri di latino che ci hanno accompagnato al liceo, “in medio stat virtus”. Alla fine, in tutti i tipi di estremismo è sempre meglio fermarsi, fare un bel respiro e vedere le cose in prospettiva. Tutto questo per dire che, per Damsel, già siamo pronti a vedere i due rispettivi schieramenti azzuffarsi al suono di “ma il genere western non funziona così!”. E, molto probabilmente, anche David e Nathan Zellner se lo aspettano, dopo che oggi, sul palco del Friedrichstadt-Palast, ci hanno presentato il film quasi dimessi, perché è western, dicono, quindi vi può piacere come no.

Robert Pattinson è Samuel Alabaster, un cowboy piuttosto approssimativo che se ne va in giro con tanto di chitarra in spalla e cavallo in miniatura al seguito. La sua missione è quella di trovare un predicatore che possa officiare il suo matrimonio con la donna dei suoi sogni, Penelope (Mia Wasikowska), missione che vede presto la sua fine quando Samuel si imbatte nel pastore Henry (David Zellner), devoto più all’alcol che non a Dio. L’improbabile duo si metterà in marcia alla ricerca di Penelope, che Samuel rivela a un certo punto del viaggio essere tenuta prigioniera dal suo rapitore. Non più ricerca dell’amore ma missione di salvataggio, i due arrivano alla casetta dove dovrebbe trovarsi Penelope per scoprire che, la donna, non ha la minima intenzione di sposare Samuel ma, anzi, vive felicemente con il suo innamorato.

Damsel: tra i topoi del genere western e il tentativo di innovazione

Damsel cinematographe

Se dovessimo stilare una lista delle caratteristiche più lampanti del genere western, non potremmo non nominare cowboy, saloon, città sperdute nel deserto, indiani e una bella ragazza da salvare. Fin qui Damsel può spuntare tranquillamente tutte le caselle. Le location che fanno da sfondo al film sono infatti suggestive al punto giusto con un vasto repertorio di paesaggi che ci vengono mostrati mentre Samuel e il predicatore si perdono in un continuo peregrinare à la armata Brancaleone in salsa western.

A una dose decisamente esplosiva di battute che vanno a centro nella maggior parte dei casi, si alternano momenti spiccatamente d’azione in cui non si fanno mancare inseguimenti e colpi di fucile. Ma è nella figura femminile che i fratelli Zellner ci presentano la loro sorpresa. Abituati ad avere la consueta damigella che ha bisogno dell’aiuto dell’aitante protagonista, Damsel mescola decisamente le carte in tavola. Dopo aver simpatizzato per una buona metà del film col cowboy maldestro di Pattinson – il colpo più basso per far breccia nei cuori degli spettatori viene inferto quando ci regala una performance ilare della ballata scritta per la sua bella – ci troviamo di fronte alla dura realtà. Samuel è quello che oggi potremmo definire uno stalker. Un individuo pericoloso che ha deciso di voler sposare la donna che ama senza preoccuparsi di sapere se la ragazza la pensi allo stesso modo.

Damsel e la voglia di innovazione che funziona a metà

Damsel cinematographe

Quello che segue, dunque, è uno scardinamento delle regole del western, in cui la donna prende improvvisamente le redini del gioco, dichiarando a gran voce le proprie intenzioni e non scendendo mai a compromessi. Se a una tale risolutezza si aggiunge anche un fucile costantemente imbracciato è fuori di dubbio che la ragazza venga presa sul serio da tutti gli uomini che la circondano. Nonostante le premesse sembrino quindi davvero ottime, purtroppo la scrittura del personaggio di Wasikowska si appiattisce troppo presto, cominciando a suonare la solita nota e diventando mano a mano sempre più stridula.

In definitiva, Damsel è un film che funziona. Ė un film conscio del suo punto di forza, ovvero il carattere comico consegnato dalle continue battute riuscite. Ė anche un film che ci presenta una buonissima prova di Pattinson (che ce la mette tutta, ormai, a farci dimenticare lo scheletro nell’armadio che è Twilight), alla lunga eclissato da un ottimo Zellner, capace di modulare la voce e cambiare espressione per rispondere al meglio a tutti quei momenti di comicità che gli vengono serviti. Ė anche un film che gioca sul proprio titolo, facendoci chiedere, fino all’ultimo fotogramma, chi sia davvero la damigella in questione.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.8

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