Roma FF18 – Club Zero: recensione del film di Jessica Hausner

Al sesto lungometraggio da regista, l'autrice di Amour Fou e Little Joe si fa sempre più crudele e spietata, rivolgendo al cinema di Pier Paolo Pasolini e Michael Haneke, sguardi appassionati e debitori, attraverso un film coraggioso, divisivo e privo d'amore che molto difficilmente scorderemo, anche se non per i suoi meriti. Alice nella città

Presentato in anteprima mondiale al 76° Festival di Cannes, Club Zero, il sesto lungometraggio da regista della sempre più interessante autrice austriaca di titoli quali Amour Fou e Little Joe, è approdato alla 21a edizione di Alice nella Città, rassegna cinematografica collaterale alla 18a edizione della Festa del Cinema di Roma.

Non puoi mangiare, ma puoi vivere. Cos’accadrebbe se simili parole, pronunciate oltretutto con sorprendente e terrificante convinzione dalla spaventosa professoressa Ms Novak (una straordinaria Mia Wasikowska), protagonista assoluta di Club Zero, iniziassimo a sentirle, o peggio, leggerle perfino nella nostra quotidianità tra siti web, testate giornalistiche e luoghi di insegnamento?

Questa la domanda che la Hausner si pone, realizzando il film probabilmente più crudele, definitivamente cupo, disperato e complesso della sua intera filmografia.
Club Zero infatti non vuole – e non può – in alcun modo permettere allo spettatore di provare empatia (o malsana simpatia), tanto con la stessa Novak, quanto con i ragazzi che la stessa conduce sempre più rapidamente verso il male e l’oscurità, poiché la chiave del film risiede precisamente nel gelido distacco che viene a crearsi tra chi osserva e chi invece sullo schermo, subisce, o nello caso della Novak, manipola.

Jessica Hausner tra Pasolini e Haneke. Il disturbo alimentare diventa un torture porn

In un contesto liceale o universitario – la distinzione non è mai realmente chiarita – calato in un non luogo potenzialmente britannico, Club Zero riflette con passo lento e orrorifico su tematiche quali disturbi alimentari, manipolazione psicologica, depressione e così via.

Un film che per via della sua ambientazione e così della tipologia di realizzazione filmica e di scrittura, incessantemente asettiche e profondamente destabilizzanti, rimanda ai medesimi concetti di dramma distopico, focalizzato sull’emotività e più in generale sull’impossibilità di elaborare correttamente i propri sentimenti e così il corpo, precedentemente osservati da Mark Romanek con Non lasciarmi, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro.

Laddove Romanek pur mostrando il dramma, permetteva allo spettatore di osservare la dolce malinconia di un amore e di una salvezza impossibili da raggiungere, Jessica Hausner, autrice dagli istinti narrativi nerissimi e difficilmente digeribili, cancella dalle proprie volontà quella tipologia di sguardo, in direzione di un cinema privo di sconti e così di speranza.

Nel guardare infatti al lascito di autori estremamente differenti tra loro, seppur dialoganti in qualche raro caso di crudeltà cinematografica ai limiti della moralità, quali Pier Paolo Pasolini e Michael Haneke, la Hausner fotografa con perversa spietatezza, una realtà di manipolazione psicologica violenta e spaventosa a tal punto da non permettere mai all’amore di filtrare tra le crepe di un’oscurità così fitta da risultare angosciante e fastidiosa, dunque ai limiti del torture porn, e di ciò che è utile e inutile mostrare ai fini del racconto.

Club Zero: valutazione e conclusione

Club Zero di Jessica Hausner - Cinematographe.it

Si è discusso a lungo su quale fosse l’horror più efficace, realista e disturbante del cinema contemporaneo. Una volta giunti al termine di Club Zero, dopo aver tirato un sospiro di sollievo ed essersi concessi un abbondante pasto, che il film della Hausner indubbiamente invita – e non – a consumare, dopo aver mostrato spaventose privazioni dai disastrosi effetti fisici e psichici, che nulla hanno da invidiare al concetto di body horror Cronenberghiano, non si ha il minimo dubbio, Club Zero è quel film, ma non per le motivazioni più opportune.

Non sono infatti i meriti di scrittura, né tantomeno quelli di regia a permettere idealmente di immaginare Club Zero come l’horror più disturbante ed efficace del periodo. Piuttosto un’autorialità di cattivissimo gusto che sembra addirittura godere della propria dimensione violenta e nauseante, soffermandosi fin troppo attentamente, ai limiti della maniacalità, su ciò che il male causato dalla Ms Novak provoca ai giovani studenti dalla stessa sapientemente selezionati, alcuni per debolezza, altri invece, soltanto per stupidità.

Un film glaciale e morboso, che per sua stessa intenzione abbraccia una fetta di pubblico davvero ridotta – ed è un bene – interpretato da una Mia Wasikowska sensazionale e mai così in parte. Una perfetta incarnazione del disagio, una vera e propria regina degli inferi, che nulla teme, nemmeno di fronte all’evidenza, poiché tutto ciò che conta è l’oscurità e la fine.

La Hausner di fegato ne ha tanto, ma non abbastanza da saper tornare a Salò e a Funny Games e forse, per una volta, è davvero meglio così.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.7