The Good Mothers: recensione della serie Disney+ di Elisa Amoruso e Julian Jarrold

La recensione in anteprima di The Good Mothers, serie esclusiva Disney+ di Elisa Amoruso, Julian Jarrold e Stephen Butchard.

Dopo il grande trionfo alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, dove è stata presentata in anteprima, vincendo la prima edizione del Berlinale Series Awards (il premio dedicato alle serie tv del Festival), è proprio il caso di dirlo, The Good Mothers, la serie originale italiana targata Disney+ diretta da Elisa Amoruso (Chiara Ferragni – Unposted; Maledetta Primavera e il dittico Time Is Up) e Julian Jarrold (The Red Riding Trilogy; Becoming Jane) e scritta da Stephen Butchard (Baghdad Central), è un po’ un caso particolare.

Riflettendo sull’enorme quantità dei prodotti cinematografici e seriali che nel corso degli ultimi anni, perfino a partire dai primi duemila ad oggi, si sono posti come obiettivo principale il racconto mafioso, qualcuno adattando storie vere – i prodotti Rai quasi sempre rientrano in questa categoria – qualcuno invece facendo puro d’intrattenimento di finzione, non si ha l’evidenza nemmeno di un singolo film o serie che abbia posto al centro della sua narrazione una o più figure femminili, intorno alle quali poi sviluppare episodi e accadimenti.

The Good Mothers recensione cinematographe.it

Nei racconti di mafia appare dunque una apparente scala gerarchica che trova gli uomini in primo piano e le donne marginali, sullo sfondo, come se non fossero abbastanza temibili – o temute – o altrimenti degne d’essere sviluppate a dovere nella loro psicologia, come invece accade per i personaggi maschili. Partendo da questa riflessione e dall’ottimo romanzo d’inchiesta di Alex Perry, lo sceneggiatore britannico Stephen Butchard, accompagnato dalla medesima volontà autoriale e registica di Elisa Amoruso e Julian Jarrold sviluppa una scrittura seriale il cui focus è la figura femminile nel racconto di mafia, dunque protagonista assoluta, tanto da mettere in ombra quella maschile, che resta però elemento caratterizzante e importante della sua narrazione, pur essendo di fondo.  

The Good Mothers è un notevole e curioso prodotto seriale che nella sua immediata, netta e precisissima presa di posizione, sceglie di mantenerla dall’inizio alla fine, rischiando di rientrare – ed è inevitabile considerarlo – in quel calderone di prodotti post #MeToo che un po’ per questioni morali e un po’ per questioni politiche e sociali, vede fin da subito la convenzionale mascolinità di un prodotto da sempre legato a dinamiche action, di virilità, di educazione alla violenza e patriarcato, messa totalmente da parte, a favore di uno sguardo femminile, fino a questo momento rimasto nel fuori campo e come già detto sullo sfondo, oppure del tutto assente.

The Good Mothers - Cinematographe.it

In realtà, The Good Mothers non avrebbe potuto che raccontare le donne, trattandosi fin dal romanzo, di un’analisi estremamente accurata, tensiva e drammatica, sulle conseguenze e gli effetti che la mafia – La ‘ndrangheta in questo caso – genera e produce quotidianamente rispetto alle vite di tutte quelle donne che volontariamente o involontariamente vi si sono legate, o anche soltanto entrate in contatto, vuoi per incontri casuali, adolescenziali e immature passioni amorose o apparenti e sfortunatissime coincidenze.

Ecco dunque l’evidenza di una realtà narrativa potentissima e ansiogena che fino ad oggi non abbiamo avuto mai realmente modo di vedere e che Elisa Amoruso e Julian Jarrold hanno veicolato e messo in scena nel miglior modo possibile, concentrandosi sui volti, i corpi, gli sguardi, i silenzi, l’introspezione psicologica, la paura latente e insita in quei piccoli ma temutissimi uomini che sottotraccia organizzano violenze e agguati, e infine la cura estremamente attenta e fondamentale riservata ai contesti di luogo che divengono in tutto e per tutto protagonisti di The Good Mothers.

Madri e figli in The Good Mothers

Ciò che più sorprende di The Good Mothers non è tanto la questione femminile, che segna inevitabilmente un passo avanti da accogliere con entusiasmo – anche se tutto sommato non dovrebbe affatto sorprendere la volontà di un racconto femminile che ponga gli uomini in un ruolo e posizione secondaria – bensì che la narrazione sia focalizzata sul rapporto tra madri e figli pur sempre in relazione al contesto mafioso che modella e muta eternamente sensibilità, esigenze, comunicazione ed emotività di nuclei familiari in cui tutto è ombra e sospetto, e l’amore lentamente svanisce, pur essendo in un qualche lontano e sporadico attimo esistito.

Un prodotto seriale che appare stratificato e organizzato su più livelli, come fosse vera coralità, ma che finisce ben presto per incrociarli tutti in una dimensione narrativa unica mossa da esigenze di ribellione, rivalsa, emancipazione, libertà e respiro. La drammatica ma potentissima vicenda di Lea e Denise Garofalo dà infatti avvio a The Good Mothers, che partendo dalla sua conclusione tanto tragica, quanto ansiogena, compie un viaggio a ritroso nella memoria di una famiglia che in un primo momento è stata unita, per poi dividersi senza ritrovarsi più, nonostante minacce, veicoli in fiamme, ricatti e costanti pedinamenti da parte del Clan Cosco ai danni di una madre e una figlia, Lea e Denise (interpretate rispettivamente da una Micaela Ramazzotti mai così solida e logorata, e da un’ottima Gaia Girace) che nonostante il terrore e la costrizione ad una vita nell’ombra tra improvvisi trasferimenti e fughe non hanno mai smesso di amarsi, restando unite, tanto come madre e figlia, quanto come sorelle.

Incredibilmente tensivo perciò l’incontro iniziale di The Good Mothers – ma cronologicamente conclusivo – tra madre e figlia che decidono dopo moltissimo tempo di provare a tornare, riponendo un’illusoria e ingenua speranza di comprensione, ascolto e perdono da parte di Carlo Cosco (Francesco Colella)  – ex marito di Lea e padre di Denise –  e clan, rispetto alla “colpe” di Lea, quella d’aver parlato, d’essere diventata testimone di giustizia e d’aver allontanato una figlia da suo padre, senza permetterle di conoscerlo davvero e di scoprire dunque le sue origini. Un incontro che è fatto di sguardi, sospetti e analisi psicologica che Elisa Amoruso e Julian Jarrold rendono chiaramente e fin dalle primissime inquadrature un addio.

Micaela Ramazzotti modella eccezionalmente la sua Lea Garofalo come una donna ormai logorata, distrutta, che privata di tutte quelle libertà che avrebbe voluto – e dovuto – avere, fa appello ancora una volta a quel poco di speranza che ancora le resta, in nome di un amore, quello per Carlo Cosco, un tempo esistito e reale, essendo però ben consapevole che quell’ultima speranza s’accompagna alla consapevolezza dell’addio. Lea conosce la natura di quell’ultimo incontro, ne fiuta immediatamente il sapore di morte, sospetto e paura, eppure non si tira indietro, forse per amore della figlia, forse per coraggio o forse perché a quel punto niente riesce più a ricordarle la vita.

In modo differente si sviluppa il racconto di Giuseppina Pesce (una Valentina Bellè incredibilmente brava, dalle parti della Rooney Mara di Millennium: uomini che odiano le donne), una giovane donna che essendo figlia del boss di una delle famiglie più potenti della ‘ndrangheta calabrese non può far altro che subirne le conseguenze, tra continue vessazioni, violenze, abusi, vere e proprie torture psicologiche così come costrizioni dinanzi alla quali le risulta – almeno in un primo momento – impossibile rifiutarsi, prendendo parte perciò silenziosamente e in qualche modo involontariamente a quella vita, finendo poi per ribellarvisi contro.

Giuseppina infatti non è violenta e soprattutto non è marcia o macchiata moralmente ed eternamente dal male come invece è la sua famiglia, piuttosto è stanca, logorata, privata del suo essere donna libera e ingabbiata da tutti i cliché mafiosi, dal rispetto per l’uomo – il marito di Giuseppina è in carcere e lei deve restargli fedele – a quello per la sua famiglia. Ecco perché Amoruso e Jarrold si concentrano con grande intelligenza sul modo in cui vive e compie le sue quotidiane azione di mafia – dalle richieste del pizzo, ad altri ricatti– mostrandoci i lati più disinteressati e disincantati di Giuseppina, la donna a cui non interessa affatto la violenza, piuttosto l’amore, divenendo presto infedele e vivendo divisa tra felicità per una nuova possibilità di vita lontana dalla mafia, e terrore che quella di sempre possa rivoltarsi contro, causando morte e dolore a lei e ai suoi tre figli piccoli. Giungendo poi a Concetta Cacciola (Simona Distefano), la cui narrazione è destinata a svilupparsi in seguito.

Ciascuna di queste storie viene osservata a distanza da quella del coraggioso, combattivo ma infelice magistrato che è un po’ la narratrice e protagonista spesso fuori campo di The Good Mothers, Anna Colace (Barbara Chichiarelli), che appena arrivata in Calabria, ha un’intuizione: per poter abbattere i clan della ‘ndrangheta, è necessario puntare alle donne. Una strategia che comporta grandi rischi ma che senza dubbio è necessario tentare. Anna Colace, alla stregua di Lea e Denise Garofalo e Giuseppina Pesce, non vive più, lei però a differenza loro lo ha scelto, in nome di una causa alta e di una battaglia fin troppo messa da parte, un po’ per timore e un po’ per ambiguità morale.

The Good Mothers è un prodotto seriale assolutamente notevole, che forte di una grande e attenta scrittura e cura dei personaggi, racconta con grande tensione, profondità emotiva e inevitabile dramma, la storia di tre donne che hanno osano contrapporsi alla ‘ndrangheta, rinunciando alla vita, alla libertà e alla spensieratezza. Tre esigenze basilari e sensazioni che Amoruso e Jarrold colgono totalmente in regia, concentrandosi sui corpi e i volti, senza produrre mai distanza tra questi e la macchina da presa, coinvolgendo lo spettatore in una continua dinamica claustrofobica e ansiogena di gabbia psicologica. Una grande serie, non sorprende infatti il grande riconoscimento ottenuto alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino.

The Good Mothers debutterà su Disney+ il 5 aprile 2023, con tutti i sei episodi disponibili al lancio.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5