Invisibili: recensione del film di Ambra Principato
Appropriazione maldestra e sfortunata di un linguaggio e di uno sguardo d’autore che qui si rivelano distruttivi e inefficaci. Principato si perde, e non si ritrova più. In sala dal 17 luglio.
Sempre più spesso osserviamo come il “nuovo” cinema di genere italiano cerchi insaziabilmente di aderire a un immaginario altro (principalmente statunitense, ma anche argentino e francese), plasmandolo e piegandolo agli scenari e agli sguardi nostrani, finendo però inevitabilmente per snaturarlo. Fanno eccezione quei pochi titoli — due o tre, non di più — che, prima ancora di guardare altrove, hanno saputo osservare con merito il folklorismo italiano, dando vita a un cinema di grande realismo e inquietudine. Come detto, i casi di cinema autenticamente personale sono rari; a sovraffollare il panorama sono invece tutti gli altri. Se è vero che Ambra Principato, nel 2023, ci aveva fatto credere di appartenere al primo, fortunato gruppo con l’indubbiamente interessante Hai mai avuto paura del buio? a distanza di due anni ci convince del contrario. Invisibili, suo secondo lungometraggio da regista — in sala da giovedì 17 luglio 2025, distribuito da Fandango — non riesce mai a trovare una propria identità, o peggio, una propria motivazione. Si perde, senza mai più ritrovarsi.
Principato torna all’horror. Tra suggestioni letterarie e cinefile

Tommy (Justin Alexander Korovkin) è un adolescente problematico e taciturno, che ha trascorso gli ultimi anni in un istituto mai realmente esplorato, ma descritto come una comunità per famiglie a pezzi, segnate da disagi psicofisici e non solo. Con lui c’è la madre, perseguitata dai demoni di un male senza nome. Per quanto i due si vogliano bene, la violenza cresce sempre più, fino a portare all’allontanamento di Tommy, affidato ai nonni che lo conducono in una provincia altrettanto maligna e oscura. Qui incontra Elise (Sara Ciocca), coetanea disfunzionale che semina caos e una passione pericolosa.
Come da tradizione, non sono mai le gesta eclatanti di questi giovani protagonisti a illuminare il buio, bensì ciò che serpeggia e sopravvive agli accadimenti del tempo e della memoria: nel caso di Tommy, un disegno violento, infernale, cupissimo; per Elise, invece, un bisogno disperato di apparire. Da una parte c’è chi svanisce nella carta, dall’altra chi squarcia l’indifferenza e l’anonimato gridando con forza la propria presenza. Due traiettorie apparentemente distanti, se non addirittura estranee tra loro, che convergono brutalmente nel nome della solitudine, dell’incomprensione, del dolore e delle conseguenze reali dell’abbandono.
Perché Invisibili, prima ancora di ogni deviazione di genere o traccia tematica, intende raccontare la giovinezza violata — o, peggio ancora, quella classica libertà e sfrontatezza adolescenziale divorata dal male che gli uomini fanno e si fanno, in una società altrettanto maligna, che osserva e agita impunita tali scenari e istinti. Sulla carta, il film di Principato sembrerebbe funzionare. Le suggestioni letterarie non mancano, con richiami agli immaginari di autori quali Niccolò Ammaniti, Paolo Giordano, Lorenza Ghinelli e Joe Hill. Eppure, nella resa filmica, quasi nulla si accorda alle premesse. A partire da un tono — sia di scrittura che di regia — che non si prende mai davvero il tempo di esplorare le oscurità mentali dei giovani protagonisti, né di mostrarci il potenziale simbolico ed evocativo di luoghi forzatamente esoterici, oscuri e anch’essi solitari, come la provincia, che diventa “non luogo”, proprio come ogni altro scenario mostrato dal film.
Invisibili: valutazione e conclusione

Tradendo quanto promesso con Hai mai avuto paura del buio? Principato si lascia prendere la mano e finisce per inseguire, volontariamente o meno, un’idea di cinema horror grossolana e maldestra, seppur mai realmente spaventosa, che ambirebbe a rifarsi a una certa produzione di serie B targata Blumhouse, perdendo però sin da subito la propria identità. Affamata di plot twist (la fotografia al contrario, invece di sorprendere, strappa una risata), di una resa visiva del male prima suggerito e poi mostrato con spaventosa inefficacia, e di una linguistica altra che stona fin dal primo minuto, Invisibili snatura la forza del dialogo, dei volti e delle interpretazioni. Su tutte, quella di Sara Ciocca, il cui overacting la riduce a una semplice macchietta, o poco più.
Come già anticipato in apertura, Invisibili commette il più grave degli errori: cerca in tutto e per tutto di aderire a un cinema d’autore che Principato non riesce né a gestire né a plasmare. Vorrebbe evocare l’immaginario Burtoniano — la fotografia di Davide Sondinelli, tra nebbie e oscurità, richiama con forza i toni funerei e suggestivi di La sposa cadavere e Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali — ma finisce per esserne soltanto una copia sbiadita. O, peggio, invisibile.