American Gangster: recensione del film di Ridley Scott

Denzel Washington e Russell Crowe in un formidabile confronto tra uomini “veri”, in un’America plumbea soggiogata dalla corruzione e dalle droghe.

Harlem, 1968. Bumpy Johnson è il protettore che tutti vorrebbero, e che tutti amano. L’uomo nero che in sordina amministra la città mantenendone l’ordine e dispensando amore e tacchini il giorno del ringraziamento. Uomo saggio e scrupoloso, il vecchio Bumpy ha infatti catalizzato il potere senza divenirne mai il fulcro, ma da buon “padrino” qual è ha saputo impartire al suo giovane autista e braccio destro (Frank Lucas – uno straordinario Denzel Washington) tutte le lezioni di cui egli avrà bisogno per salire ai vertici degli American Gangster.

Alla morte del boss, Lucas dovrà infatti prendere le consegne e subentrare al suo mentore accentrando il potere del quartiere, guadagnandosi la stima dei suoi concittadini e soprattutto dei suoi soci in affari. Lo farà secondo la spietata legge del “o sei qualcuno o non sei nessuno”, e scalando in breve tempo la piramide malavitosa comandata dal demone sempre più implacabile della Droga, che genera profitti e miete vittime con la stessa abulica indifferenza. Sempre più pura, sempre più forte, sempre più letale, la droga è per la morte e tra la morte, e può nascondersi subdola perfino tra i lugubri feretri di giovani militari di ritorno dal Vietnam. Ma Frank Lucas saprà ribaltare l’intero scenario a suo favore, andando a trattare per la proficua polverina bianca direttamente alla fonte, e rilanciando il business milionario della purissima eroina “Blue Magic”. Un successo che procurerà “all’uomo nero” un mucchio di soldi ma anche una maggiore esposizione, rendendolo in breve tempo re indiscusso del traffico di droga newyorkese.

Sulle tracce di Lucas a quel punto si metteranno i passi svelti di Richie Roberts (Russell Crowe), poliziotto integerrimo e incorruttibile, con il vizio delle donne e del “fa la cosa giusta”. Tra i due uomini, uno nero e uno bianco, uno di religione battista l’altro ebreo, entrambi a loro modo in cerca di un’ascesa e di un riscatto, si animerà un confronto (a distanza) legato non solo alla evidente dicotomia tra bene e male, tra lo stare dalla parte giusta o da quella sbagliata della legge, ma legato soprattutto alla corruzione e ai chiaroscuri morali che definiscono e intersecano i loro mondi. Il gangster spietato che va tutte le domeniche a messa con la madre, e il poliziotto mai intaccato dal fango della corruzione, ma accusato di non essere né un buon marito né un buon padre. Il primo elegante, raffinato nei gesti, e sempre circondato da gente, il secondo verace, spartano e solitario. Bianco e nero, giusto e sbagliato, morale e amorale che si mescolano quindi entro i confini, e dentro il quadro eterogeneo di un’America in transizione, plumbea e cinica come non mai, dove puoi solo “essere nessuno e avere molti amici o essere qualcuno e non averne affatto”.

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American Gangster: Ridley Scott racconta le trasformazioni dell’America anni ’70

Ripercorrendo le orme di una storia vera, ovvero l’incredibile ascesa criminale di Frank Lucas, Ridley Scott dirige un film a tratti ipnotico sull’America degli anni ’70 congestionata dalle trasformazioni in atto, dagli orrori della guerra in Vietnam e dal demone della droga capace di manipolare in egual misura malavitosi, agenti della polizia e gente comune. Chi la commercia, chi ne trae profitto, chi ne abusa e chi le dà la caccia, in American Gangster la droga è protagonista assoluta di una vorticosa macchina d’ipnosi collettiva che muove e stabilisce gerarchie di un’America in tumulto, ancora in pieno riscatto dalle sue origini pregiudiziali, ma già lanciata verso nuovi e più oscuri meandri di pregiudizi tentacolari.

Ma nel crescendo di violenza e morti che Ridley Scott descrive, con la sua mano esperta di una regia sempre presente che raccorda tutte le fila dei ‘burattini’ in gioco senza perdere mai la visione d’insieme, a fare la differenza sono poi i ritratti speculari e agli antipodi dei due protagonisti/antagonisti di Denzel Washington e Russell Crowe. Nella loro diversa fisicità, nelle diverse traiettorie e piste inseguite con l’obiettivo comune di diventare “uomini veri” e conquistare i lori rispettivi mondi, Washington e Crowe abitano realmente i loro due alter ego Frank Lucas e Richie Roberts. Da nemici giurati a quasi amici passando per tutta una serie d’intemperie morali e grigi sociali che parlano di corruzione, vendetta, doppio gioco e infedeltà, Frank e Richie si braccano e si rincorrono attorno a un ring di divi e fuori a una chiesa gremita di fedeli, sono due facce della stessa medaglia, allo stesso modo vittime di un’America che non guarda mai in faccia l’uomo, ma ne scruta diffidente il colore, la pelle, la religione, il portafoglio, piegandolo infine ai suoi interessi. Irriducibili fino alla fine nei loro incrollabili credo, Frank e Richie incarnano appieno ogni singolo demone di quel mondo criminale di cui fanno inesorabilmente parte, e dove infine sei sempre da un lato o dall’altro di una rivoltella, da un lato o dall’altro di una cella.

Film dinamico di gangster ma che scava dritto nel cuore delle debolezze umane mostrando la fragilità di un uomo esposto alla lontananza o alla sofferenza di un caro, American Gangster segue con dinamismo e partecipazione la pista della droga, della criminalità, della legge della giungla, ma ha poi la sensibilità inusuale e l’autorialità profonda per scovare e raccontare l’uomo impelagato nelle proprie battaglie, e in lotta con i propri demoni, l’uomo ‘umano’ che (nero o bianco, criminale o poliziotto) in fondo vacilla solo in un caso: quando viene messa a repentaglio la possibilità di avere la madre o il figlio al proprio fianco.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.2