Intervista a Morgan, dai dettagli inediti sul nuovo CD al cinema: “oggi manca la filosofia”

Morgan ha attraversato gli ultimi due decenni della cultura italiana dividendosi tra tv, palchi musicali e letterari, poesia e cinema

Morgan (al secolo Marco Castoldi) è uno dei voti più noti nel panorama musicale e d’intrattenimento. Se inizia la sua attività con il gruppo dei Bluvertigo nel 1991, rivoluzionando la musica elettronica, prima di tutto con la loro trilogia degli elementi (Acidi e Basi, 1995; Metallo non Metallo, 1997; Zero, 1999); nel 2003 pubblica il suo primo lavoro da solista (Canzoni dall’appartamento) iniziando un percorso brillante come performer e intrattenitore culturale, restando uno sperimentatore musicale e proponendo tra le altre cose uno straordinario remake musicale di Non all’amore, non al denaro né al cielo, registrando due album antologie di cover (Italian Songbook vol. 1 e 2), mettendo per la prima vola in commercio i NFT, rilasciando online i brani di un progetto dal nome La Musica Seria, suoi personali riarrangiamenti di brani di musica classica.
Partecipa ai programmi X-Factor (pima sulla Rai, poi su Sky, entrando nel guinnes dei primati mondiale come il giudice che ha vinto più edizioni, 7) e Stramorgan, pubblica libri di poesie e saggi, vince numerosi premi (tra cui il Premio Tenco, il Premio Lunezia, il disco d’oro con l’album Italian Songbook vol. 1).
Noi di Cinematographe.it abbiamo avuto modo di parlare con lui e vi riportiamo di seguito la nostra intervista con Morgan, che spazia da curiosità inedite sul suo nuovo CD fino alla sua filosofia.

Morgan e la filosofia: “è ciò che manca nella società moderna”

A breve uscirà il tuo nuovo lavoro, ovvero un progetto musicale realizzato con Pasquale Panella, filosofo della rivoluzione linguistica. Ci interessa capire il raccordo e l’accordo che c’è fra la musica e la filosofia nelle tue canzoni. Sembra infatti che tutta la tua musica si rifletta nei testi (già a partire dalla Trilogia degli elementi con i Bluvertigo, specialmente nell’ultimo disco Zero e fino al lavoro Da a ad a) e i testi hanno profondi intrecci con concetti filosofici e letterari. Vengono in mente autori come Hegel, Hofstader, ma anche Camus… Corrisponde un po’ quello che lei pensa riguardo la sua musica?
“Sicuramente si. Fare un discorso con il rapporto tra filosofia e musica è sicuramente complesso. La mia maniera di scrivere sicuramente risente tantissimo della conoscenza filosofica. La filosofia è una disciplina precisa: io non sono laureato in filosofia ma ho letto tanto, ho letto tanti testi, perché la filosofia è una delle mie grandi passioni.
Il filosofo è sempre stato un punto di riferimento etico e morale, per me anche stilistico; perché ci sono anche filosofi che hanno una scrittura meravigliosa, Nietzsche scriveva benissimo, Platone è un filosofo che scrive. Ma secondo me l’importanza della filosofia abbraccia molti ambiti: quello della canzone è una mia personale inclinazione, per permeare il testo di una canzone da una visione filosofica della scrittura.

La filosofia è quello che a mio avviso oggi, nella società moderna, manca: questo discorso riguarda una deriva di cui l’Italia è un ottimo esempio, purtroppo, perché in questo Paese – che ha una grande storia – c’è una difficoltà a creare arte nuova, in particolare musica, canzoni, ma non solo. Da decenni. E c’è una tendenza ad imitare atteggiamenti che vengono da fuori (se non sono nostri però non danno radici), che porta fondamentalmente all’assenza di grande libertà creativa. Oggi in Italia c’è soltanto un valore, che è quello del denaro, del guadagno, squallidamente, un motore delle cose: ma questo non è nulla di speciale, non fa creare niente, c’è una stasi.
I filosofi non intervengono in questo dibattito, specie in Italia, come Umberto Galimberti, che apprezzo perché parla, ha voglia ed energia vera di fare, anche coraggio di dire come stanno le cose; per il resto c’è un deserto soprattutto di coraggio, di capacità di andare a dire a questo popolo addormentato che la deve smettere di subire modelli, di essere più capace di osare, di proporre, di non essere sempre schiavo delle mode e degli standard, di non avere personalità.
Nei miei testi ci sono un sacco di discorsi di questo tipo, soprattutto nel primo album dei Bluvertigo che è Acidi e Basi.

Cosa c’è dentro i testi dei Bluvertigo scritti da Morgan? Rock, scopritività, stringhe e di sistemi formali

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“Io ho sempre scritto tutti i testi dei Bluvertigo, in quel momento lì avevo vent’anni e abbraccio un arco di tempo fino ai trent’anni: ho frequentato filosofi, in quel periodo, particolarmente Stefano Bonaga e Douglas Hofstader, Umberto Eco, Enrico Ghezzi, intellettuali con un approccio filosofico, anche se magari un po’ declinati ad altro, come Ghezzi sul cinema, e direi Eco sul segno, ma sono dettagli. Erano filosofi che io frequentavo, quindi, all’epoca, diventavo loro amico perché andavo in quella direzione e non altrove: i miei colleghi rocker andavano a feste in spiaggia, io andavo al ristorante con Hofstader a discutere di scopritività, stringhe e di sistemi formali. Ma questo non mi impedica di coltivare un aspetto rock’n’roll dell’esistenza, sono multitasking: quindi si, nelle mie canzoni c’è sempre stata questa componente filosofica ma insieme a tante altre.
Componenti anche in contrasto, perché poi la filosofia è una materia che ha lo scopo di indagare sul bene e sul male, perché dovrebbe aiutare, o servire, o essere capace di occuparsi di una modalità e di un discorso su come stare al mondo, con l’obiettivo, l’anelito di trovare formule o soluzioni che permettano di vivere meglio, o di dirimere, di districare gli argomenti aggrovigliati dell’esistenza che poi sono grovigli umani, di relazione, interpersonali, che si creano quando gli uomini stanno insieme in quella che chiamiamo società.

morgan gianlorenzo franzì cinematographe.it
Morgan insieme al “nostro” Gianlorenzo Franzì in una foto del 2009, al Cinema Ambiente e Paesaggio, della Calabria Film Commission

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La filosofia si occupa di fornire un modo di riflettere su come comportarsi con gli altri: certo anche con noi stessi, ma allo scopo di avere come una soluzione per il vivere. La filosofia è una materia scientifica proprio perché è una materia di applicazione, teorica, ma è metodo, pratica, agire. Bertrand Russell, dopo tutto il suo ragionamento, ha capito che tutto deve portare ad un’azione vera: nei conflitti andava ad aiutare a portare gli alimenti, i viveri, ai rifugiati, alle popolazioni che subivano attacchi bellici. Noam Chomsky, il filosofo linguista, anche lui dalla speculazione teorica sulla grammatica generativa arriva a creare il movimento no global. Perché a quello serve la filosofia, per dare una chiave pratica all’essere umano che vive al mondo e quindi entra nel sociale, nel comportamento. È come comportarsi: lavorare distingue il bene dal male.

Un filosofo è un tecnico, un consigliere per la società, è un ruolo preziosissimo per la società: ma da Heiddeger in poi la filosofia si è incartata, stanno tutti a domandarsi e ad interpretare i suoi testi ma stanno a casa e non agiscono, non pensano ad altro che all’interpretazione.
E va bene questo, ma il filosofo è più simile ad una rockstar di quanto non si pensi, e qui voglio arrivare al punto: la canzone è quella epifania della creatività umana che contiene i dettami di libertà. Nella canzone troviamo quel che non si può dire in altri ambiti, le idee coraggiose, i messaggi di unicità che sono rari e forti e contro l’omologazione e lo schiacciamento dell’essere umano, nella canzone ci sono le soluzioni per liberarsi da questa coercizione.

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“Nelle canzoni dei cantautori si trovano queste cose, queste formule di riconoscimento, nelle canzoni si riconoscono tutti quelli che hanno lo spirito tendente a liberare la coscienza, all’evolvere, al progresso spirituale e civile; tutti quelli che hanno un’idea molto lucida di cosa significa il rispetto nella società apprezzano e mettono nella loro opera le formule per arrivare a questa libertà, che sono formule di sentimento. E quindi quando il sentimento è coniugato nel dettame morale, la canzone non è altro che quello.
Certo, anche la poesia lo è, ma ha meno applicazione pratica perché è più pura e meno contaminata col mondo, più celeste, più colta, elitaria, ma certamente anche nella poesia c’è il grande segreto della libertà del cuore.
E che intendo: il cuore è simbolo del sentimento, la libertà è invece la zona dove la mente vuole andare e liberarsi mentre il cuore vuole amare. Perché il pensiero è libertà.
La canzone include queste due sfere dello scibile, il sentimento e la ragione. Ecco perché io ho costruito delle canzoni, quelle canzoni: perché sono fortemente convinto che la canzone è il perfetto luogo dove si trovano, che è un’occasione, e che il messaggio di una canzone è uno dei più potenti che ci sia, che poi è sintetico, corto, tre minuti è un concentrato, una bomba, di grande efficacia, un dispositivo per stimolare e scatenare la coscienza. E oggi ce n’è bisogno più che mai, fortemente, ce n’è sempre stato, perché comunque la canzone non morirà mai: sempre l’uomo avrà bisogno di questo pungolo, di questo sprono, di questo fastidio che può procurare l’essere sbattuto di fronte alla cruda esigenza, al crudo bisogno di sfondare la porta della libertà.
Questa è la canzone.

…E quindi, insomma, ossia: l’album di Morgan in uscita prima di Sanremo 2024

Seguendo il ragionamento si pensa a quanto è importante ancora oggi l’attimo creativo e che di fatto è riduttivo definire Morgan un semplice cantautore, perché hai attraversato lo spettacolo e la cultura in maniera trasversale, dalla musica alla letteratura, dalla televisione all’opera classica, cercando anche di innovare dove si pensava non ci fosse più modo di farlo (pensiamo ai NFT, ad esempio).
Ora, per la prima volta nella tua carriera da solista, lavori ad un album su testi non tuoi, aggiungendo la musica: lo fai con Panella, appunto, un autore che con Battisti ha rivoluzionato la musica elettronica contaminandola con quella d’autore. In che modo l’artista Morgan, incontenibile, è entrato in collisione con il mondo totemico ed ermetico di Panella, e come vi siete contaminati a vicenda?

“Eeeh, è un casino questa cosa, perché io e Panella in realtà siamo vicini dal punto di vista dello slancio verso l’assurdo, siamo molto divertiti dal lanciare il nostro sguardo oltre il punto di osservazione per capire cosa c’è di là, siamo spinti.
Panella comunque fondamentalmente è una persona piuttosto semplice, libera, che io capisco perfettamente e non lo trovo incomprensibile anzi mi trovo bene tonicamente con lui. Non l’ho mai conosciuto. È una cosa che non ho mai fatto, quella di lavorare su testi altrui, l’ho fatto senza troppa progettualità: mi è piaciuto quello che lui ha scritto sul mio libro di poesie (Parole d’aMorgan, ed. Baldini/Castoldi), lui ha scritto dei commenti in versi per ognuna delle mie poesie. Allora una poesia per una poesia, erano sessanta e ho avuto in mano le sue sessanta poesie di commento: bellissimo, geniale, un capolavoro assoluto, che doveva essere diffuso e conosciuto. Io non ho fatto altro che mettere in musica i suoi testi nati dai miei testi, quindi il percorso è molto interessante: non è che io ho preso delle canzoni come si fa in genere dove si canta senza capire niente, dove c’è un paroliere dove si cuce e si canta sopra.
Questa è un’operazione completamente diversa, siamo proprio in un’altra zona: io ho scritto delle poesie che hanno stimolato le poesie a Panella e ho musicato le poesie che Panella ha scritto sulle mie.
Un labirinto di senso, insomma.
Un cerchio, un circolo dove si ritorna: anche perché nell’album che uscirà a febbraio prima di Sanremo (e che ha per titolo …E quindi, insomma, ossia, Egea Musica, ndr) accadrà che c’è la canzone scritta sul testo di Panella ma subito dopo c’è quella da cui arriva il testo di Panella dove quindi il testo è mio. Quindi nell’album si capirà benissimo il percorso di questi testi.

È infatti un concept album con alla base la storia di un Poeta e del suo rapporto con l’amore, perché ad un certo punto questo Poeta muore e vive un’avventura accompagnato dentro nella canzone stessa dalla Notte, la Morte e il Vento. Il Mistero si rifiuta di entrare nella canzone, ma li accompagna tutti e quattro dentro e dialogano sotto forma di strumenti musicali: il vibrafono fa la Notte, il basso fa la Morte, il Vento lo fa la fisarmonica.
Dialogano musicalmente su un arrangiamento con queste voci che entrano nella canzone sotto forma di musica: è un disco molto ricco di spunti, e sono curioso di sapere l’opinione del pubblico perché a me piace dare alla gente cose completamente nuove.
Io ho fatto cose sempre diverse tra di loro, musicalmente parlando.
E questo mio ritorno alla musica è una bellissima avventura, era quello che volevo fare da tempo: anche perché mi ha un po’ rotto le palle la televisione così feroce, così incapace di comprendere il peso di uno stile che non è in grado di onorare, e lo banalizza. A volte mi trovo come in questa ultima situazione ad X-Factor, molto imbarazzante, dove molto probabilmente è bene uscirne anziché rimanere ostinati dentro finché c’è un ambiente che non vuole saperne di evoluzione dello spirito e della cultura. Vuole sapere solo di denaro in maniera becera e a me non interessa.”

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Ogni volta credo che si possa ritagliare uno spazio anche per una decenza, che so: trasformare in un’occasione un happening artistico come questo insieme di talenti giovani pieni di speranze, con le loro energie e ingenuità usarle bene. Ma invece lì le regole sono altre, io addirittura vengo sbeffeggiato e deriso e sottovalutato senza rispetto, e quando non c’è rispetto cade tutto.
E allora ben venga il ritorno alla musica, molto ben augurato da me perché significa tornare effettivamente in un’ambiente dove si parla la stessa lingua e non ci sono certe cadute.
A meno che non si tratti di una tv dove non comandano i marchi pubblicitari, ecco, come il servizio pubblico, allora lì il discorso è diverso, perché infatti ho fatto Stramorgan, che è stato un momento di grande impegno serio che è piaciuto, e voglio ricordare che quel mio programma, su RaiDue e ora su Rai Play, faceva il quadruplo di ascolti di X-Factor.”

L’arte ai tempi di X-Factor: “il popolo non è un bue

Bisogna riflettere sul fatto che spesso si dice che il pubblico capisce solo arte semplice, vuole roba di poco conto, poco complessa, abbordabile: invece Morgan come personaggio è diventato “pubblico”, portando anche contenuti altissimi, offrendo una musica sempre diversa, con suggestioni sempre diverse.
“Ma infatti io sono convinto che il popolo non è un bue: e in effetti ho ragione io, perché anche in questa situazione ultima successa (e stiamo parlando di livelli molto bassi culturalmente), i commenti su internet sono al 99% in mio favore, gente che ha capito. La gente è molto più di quanto loro non credano disposta a stare attenta, ad imparare delle cose, si diverte molto di più e diventa attiva, si accende, non approccia in modo tutto passivo ed ipnotizzato come un’ameba rispetto ad una situazione soporifera, lobotomizzante.

Ma la colpa è anche dei giornalisti, a volte, che fanno una tipologia di comunicazione che falsa le notizie, è parziale, è leziosa.
“Ma i giornalisti scrivono fesserie, addirittura scrivono che io ho fatto sentire una mia canzone ad Amadeus perché volevo gareggiare a Sanremo, ma non è assolutamente vero, io mi sono proposto per la direzione artistica del Festival, non voglio partecipare alla gara. Eppure Dagospia non ha problemi a scrivere queste stronzate. E si crea uno schieramento. Eppure, i giornalisti fanno di tutto per crearlo, rinforzarlo, radicalizzarlo, non c’è di fatto, è una cosa fittizia: da una parte chi vuole la libertà e pensa che il popolo è intelligente, e dall’altra chi pensa solo al denaro e che il popolo è bue.
Ad essere violenti si crea violenza: i giornalisti finché useranno terminologie violente e usano parole come “attacca”, “furia”, “furibondo”, “si scaglia contro”, inibiscono la possibilità di esistere al dibattito. Il dibattito non è un attacco, non è una furia, non è scagliarsi contro qualcuno, il dibattito è ragionare, è proporre, e sono cose diverse. Ma i giornalisti creano l’idea della violenza e la gente di conseguenza è violenta. Perché ci sono gli haters? Perché aprono un computer e eleggono di attacchi di violenza, di cose che in realtà non sono vere perché è solo un fatto terminologico, in realtà nessuno attacca nessuno: molti parlano e dicono la loro opinione, e allora stabiliamo una decenza terminologica.
E vediamo le reazioni delle persone: perché le persone sono influenzabili, se noi dipingiamo un mondo di bellezza, loro ricercheranno la bellezza.

È un compito, una responsabilità di chi diffonde le idee, di chi le distribuisce, e quindi dei media, ed è una responsabilità che non sente la gente. E io invece sento.

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Morgan e il rapporto col cinema

Marco, tu hai curato due bellissime colonne sonore (per Il Siero Delle Vanità di Alex Infascelli e per Incantevole è il cuore di Asia Argento), che rapporto hai con il cinema?
“Allora, innanzitutto voglio dire una cosa. La cosa che faccio meglio nella mia esistenza artistica è la musica per film, è la mia più grande specialità. E paradossalmente, non c’è nessun regista italiano che abbia il coraggio di affidarmi una sua colonna sonora, e in questo sbagliano, perché non sanno che farei dei capolavori assoluti. L’ho fatto ma parliamo di decenni fa, quando ancora non era stato costruito ad arte dagli altri il personaggio detrattivo Morgan. Io pago le conseguenze che i giornalisti si siano comportati molto male nei miei confronti, facendo una narrazione che mi ha leso, arrivando al punto che mi hanno sottratto il mio vero talento. Quindi io non faccio colonne sonore, però ti dico una cosa: David Lynch, che ha ascoltato la mia musica, ha detto che “se avessi conosciuto Morgan vent’anni fa, adesso lui sarebbe Angelo Badalamenti”, il problema di Morgan è che sta in un Paese che non se lo merita. Lynch considera le mie musiche meravigliose: io ho fatto musica anche per Gaspar Noè, che ha voluto a tutti i costi per un suo film.