Massimiliano Gallo svela i segreti di Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso

Uno dei più grandi attori italiani di cinema e teatro parla della nuova fiction, del suo percorso e dei progetti futuri

Massimiliano Gallo, dopo il successo di Imma Tataranni, torna in televisione con un altro personaggio letterario, Vincenzo Malinconico, nato dalla penna di Diego De Silva. Massimiliano ha attraversato gli ultimi anni con immutato successo tra televisione, cinema e teatro, passando dai più grandi registi italiani (da Mario Martone a Matteo Garrone). Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita su RaiUno di Vincenzo Malinconico, Avvocato D’Insuccesso.

A fine ottobre arriva in tv Vincenzo Malinconico Avvocato d’Insuccesso, ci parli del nuovo personaggio?
“È tratto dai libri di Diego De Silva e descrive la vita di un avvocato d’insuccesso perché Vincenzo Malinconico è un “non vincente” per scelta. È uno che ha la vita sgangherata, molto normale: non volevamo raccontare un principe del foro ma uno che si arrabbatta nei tribunali, è un personaggio che ti fa immediatamente grande empatia perché ti riconosci immediatamente nelle sue debolezze, nelle sue fragilità, ha un mondo complicato perché ha un’ex moglie con la quale va ancora a letto, in pratica è l’amante della sua ex; e anche una serie di personaggi che gli ruotano intorno e che lo fanno muovere. Perché lui si muove per inerzia, è come se fosse sempre fuori fuoco.”

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“Nel progetto avevamo l’intenzione solo di tenere fede alla scrittura, quindi l’autore del libro ha partecipato pure alla sceneggiatura; ma poi con Angelini, il regista, ci chiedevamo come realizzare il racconto cinematografico, perché nel libro c’era una proiezione che tu potevi farti (Malinconico, ad esempio, canta una canzone della Vanoni sotto la doccia, esce dalla doccia e trova la Vanoni sul divano!). Era allora qualcosa di abbastanza complesso, ma credo ci siamo riusciti alla grande, perché abbiamo trovato delle soluzioni anche innovative, io spesso guardo in camera.”

Dal tuo racconto, sembra che Vincenzo Malinconico (come anche altri suoi personaggi su schermo) sia molto vicino al suo carattere: nel senso che se loro stanno sempre un passo indietro, anche Massimiliano Gallo come attore ma soprattutto come persona è tutto il contrario del divo, specie considerando che attualmente è uno degli interpreti più raffinati e di successo del nostro cinema…
“Si, ci somigliamo molto. Assolutamente. Io poi mi vesto con i miei personaggi: cioè penso sempre a come sarebbe Massimiliano nella vita di, dal momento in cui mi vesto io assumo la loro camminata e il loro modo di fare, non lo costruisco a tavolino, lo indosso e mi muovo come loro, penso come loro.”

Infatti il complimento più bello di Diego De Silva è stato quando ci veniva a trovare sul set, io chiedevo se potevo improvvisare con una specifica battuta che mi veniva e lui diceva ‘tu pensi come lui!’, era molto carino. Io non credo nel divismo, e penso sempre ai nostri attori più grandi che erano divi inconsapevoli, penso a Marcello Mastroianni o Vittorio Gassman: purtroppo non ne abbiamo più come loro, abbiamo solo chi cerca di fare il divo…

…diventando poi però la caricatura del divo!
“Esatto, ed è abbastanza triste. Io mi definisco sempre un artigiano, con i ferri del mio mestiere io cerco di fare al meglio, poi non ho nessun merito rispetto all’immagine che ne deriva.”

Tu hai detto poco fa di essere un artigiano, cosa che hai ripetuto anche altre volte in altre occasioni. Questa concezione del mestiere dell’attore come artigianato, come di un qualcosa in cui ci si sporca le mani, si lavora con tutto il corpo, penso dipenda anche dal fatto che t il mestiere dell’arte lo hai respirato fin da bambino, essendo nato e cresciuto in una famiglia d’artisti…
“Io ho fatto di tutto, ho fatto tutti i lavori. Mio padre e mia madre mi hanno formato: da piccolo non andavo al liceo, ho sempre lavorato, mi hanno fatto fare anche il direttore di scena, perché loro volevano che se avessi avuto una compagnia teatrale avrei saputo come muovermi. E avevano ragione: ora che sono capocomico in una compagnia so cosa si può fare e cosa no. Facendolo dall’inizio, ricoprendo tutti i ruoli, come nelle grandi fabbriche, ho fatto tutta la catena di montaggio“.

Tutto questo converge nel tuo docufilm, La Vetrina Che Guarda Il Mare, dove racconti la storia del celebre negozio napoletano di Marinella, un’opera dove viene mostrato il lavoro di bottega
“Io ho creato una piccola casa di produzione napoletana: e con il mio socio, Rino Pinto, volevamo raccontare Napoli e la sua vita. Stiamo facendo un progetto nel quale mostriamo grandi personaggi che hanno fatto grande la città. E mi sembrava che quello di Marinella fosse un racconto molto romantico, perché quando ci siamo fermati a parlare con lui è uscita fuori una storia di un’azienda che ormai è un brand internazionale ma continua a muoversi come un’azienda familiare, nella quale le cose si continuano a fare come le aveva impostate il nonno anni prima, anche se sono arrivati alla quarta generazione: ad esempio, mangiano tutti insieme nella mensa, hanno le cravatte fallate ma non le buttano e le indossano loro…. Tutta una serie di cose che ti fanno capire che l’Italia è fatta anche di queste piccole grandi cose: la ricchezza di questo paese sono queste famiglie che hanno fatto la nostra ricchezza.”

Un altro tema ricorrente della tua produzione, che potremmo definire fluviale nonostante tu abbia cominciato relativamente tardi a fare cinema e tv, è Napoli: ma non nel senso geografico, però, bensì nel senso emotivo, come stato d’animo, non so se mi spiego…
“Ti sei spiegato benissimo e hai ragione. Come posso dire…. È un modo di vivere, di pensare, legato al cuore. Io potrei stare pure a Buenos Aires ma credo che Napoli sia una città che in questo mondo si è fatta contaminare sempre, ha sempre accolto a braccia aperte tutti, ma è riuscita a contaminare chi voleva contaminarla. Credo sia una caratteristica di una città che continua a sfornare talenti, anche nella nuova drammaturgia: perché è una città completamente contaminata ma con un’identità talmente forte, talmente antica, che poche ce ne sono così. Questa chiaramente è una ricchezza.”

Massimiliano Gallo ha fatto tantissima televisione, tantissimo cinema con grandi autori, proprio in questi giorni è andata l’ultima parte della seconda stagione di Imma Tataranni, poi Vincenzo Malinconico, hai partecipato a The Young Pope, I Bastardi di Pizzo Falcone. Tutte produzioni che hanno un’origine letteraria, o una scrittura molto precisa e intelligente: e tutte produzioni televisive ma di gran livello. Fino a poco tempo fa si diceva (e si pensava) che la televisione facesse solo produzioni di bassissima qualità, ma oggi non è più così…
“Certo, è già cambiato da tempo. Il cinema oggi è in affanno, sono un po’ incartati nelle loro cose, il cinema si è un po’ inceppato. Sono pochi i film davvero belli, anche le grandi produzioni americane hanno qualche blockbuster ma la stragrande maggioranza delle sceneggiature sono di una banalità sconcertante. Il merito ma anche l’opportunità che ha avuto la televisione è lo spazio concesso al racconto, spesso nelle serie ci sono risultati molto più belli e interessanti dei film adesso è cambiato molto lo scenario: hai citato Sorrentino, ma tanti grandi registi si sono buttati nella televisione. Io non mi sono mai preoccupato di essere etichettato, se mi piaceva un progetto lo facevo e basta, i registi mi hanno sempre chiamato per fare cinema, Garrone, Sorrentino, Martone…”

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La televisione si sta adattando sul grande romanzo su tante puntate. Sorrentino, Verdone, Bruni, in tantissimi hanno capito l’opportunità del respiro più ampio della serialità. Paradossalmente adesso però si può sperimentare più in televisione che su grande schermo: la stessa Imma Tataranni ha molti passaggi innovativi…
“Ecco! Vedi? Assolutamente si, esatto, è un racconto nuovo, adesso che vedrai Malinconico… io quando ho letto la sceneggiatura ho pensato che la Rai non lo avrebbe mai prodotto, e invece siamo qui, con un linguaggio completamente nuovo. Loro stanno sperimentando molto di più.”

Dati alla mano, è un comportamento che ripaga negli ascolti…
“Il pubblico riconosce la qualità, bravo. Io lo dico da sempre.”

Sempre a proposito della sperimentazione: è difficile ma ripaga girare fiction in un dialetto molto poco conosciuto come il lucano. Perché oltre al napoletano e al romano, quelli più utilizzati, il dialetto è sempre importante perché dà una nota musicale al dialogo.
“Esatto, esatto: anche se con Imma Tataranni è stato molto difficile. Con Vanessa Scalera c’è stato un incontro immediato come due musicisti: le stesse pause, la stessa musica, come a teatro ci siamo annusati e ci siamo riconosciuti, adesso stiamo lavorando ad un Filumena Marturano per la tv, con la regia di Domenico Soriano, ci troviamo benissimo sul set, è un’alchimia incredibile.”

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Sul set a Matera abbiamo comunque faticato molto, perché è un dialetto complicato, sembra simile al barese ma se lo fai male ti urlano dietro. Abbiamo avuto un coach anche sul set, lo abbiamo richiesto noi, perché nel momento in cui volevamo improvvisare era importante avere qualcuno che ci consigliasse e volevamo essere sicuri di non sbagliare. Ma è stato molto complicato.