La linea verticale – Intervista a Mattia Torre, a Valerio Mastandrea e al cast

La linea verticale è la serie tv che andrà in onda su Rai Play e Rai 3 e tratta del microuniverso dell'ospedale e dell'esperienza del personaggio interpretato da Valerio Mastandrea. Un racconto autobiografico che conta nel cast molti nomi della scena italiana.

La linea verticale è la nuova serie televisiva che arriverà su Rai 3, storia tra commedia e dramma dove l’ospedale diventa una realtà chiusa su se stessa e in cui si svolgono le vicende del malato Luigi, interpretato dal grande attore italiano Valerio Mastandrea. Un piccolo universo in cui si muovono dottori e pazienti e che riprende in buona parte l’esperienza di vita del suo creatore Mattia Torre, di cui parla durante la presentazione della fiction svoltasi assieme ai componenti del cast. La serie si compone di otto puntate da circa trenta minuti e sarà disponibile dal 6 gennaio su Rai Play e dal 13 gennaio su Rai 3 in prima serata.

Mattia, come mai la tua esperienza ti ha ispirato a create La linea verticale?

“Devo ringraziare Lorenzo Mieli in primis perché inizialmente volevo portare La linea verticale a teatro, mentre lui mi ha convinto di girare almeno un pilot della serie e dopo averlo fatto sono rimasto esaltato. La fiction nasce dalla mia esperienza autobiografica, quando precipiti in quel mondo non penseresti mai di poterlo poi utilizzare per creare una cosa così. Ho vissuto il microuniverso dell’ospedale ed ho trovato sorprendente come all’interno è totalmente diverso da come appare. È un luogo di sofferenze, ma allo stesso tempo si rivela incredibilmente vitale. Si riesce a superare l’angoscia perché sono tutti malati e questo porta a sostenersi a vicenda. Avvengono anche momenti comici. In più ne La linea verticale si racconta anche dell’eccellenza dell’ospedale pubblico, che è molto diversa rispetto a ciò che solitamente ci fanno vedere della malasanità e che purtroppo esiste veramente.

Valerio, sei il protagonista de La linea verticale, come è nata la collaborazione al progetto e quale è stato il metodo con cui hai deciso di interpretare il tuo ruolo?

“Mattia mi ha scelto dopo una serie di faticosi provini. Mi ha scelto, ma mi sono anche fatto scegliere. Conosco la storia di Mattia perché gli sono stato vicino e perché in minor misura l’ho anche vissuta. Ho deciso di prendere parte a La linea verticale anche perché per una serie di motivi mi sentivo protetto. Per molti il mestiere di attore è alquanto facile, per alcuni non è neanche un lavoro, ma la più grande fortuna di fare questo è poter osare per poter guardare alla nostra vita in maniera profonda e magari con ciò poter dare una mano. Mattia ha usato questa chiave per raccontare la sua serie. Noi ci conosciamo da anni e mi ritiene un attore faticoso, ma solo perché abbiamo diversi modi di guardare alle nostre comuni intenzioni, ci siamo scontrati molte volte anche a teatro per questo. Però mi ha ringraziato perché non gli ho rotto le scatole stavolta, rispetto al solito mi sono lasciato travolgere di pancia dal personaggio, non dalla mente. Il mio Luigi è un uomo che guarda, racconta ciò che vede e diventa gli occhi del pubblico e mi sono approcciato al ruolo mantenendo questo pensiero in testa.”

Valerio Mastandrea: “Per il personaggio di Luigi mi sono fatto trascinare più dalla pancia che dalla mente.”

Domanda per l’intero cast: come sono i vostri personaggi e cosa è significato prendere parte a La linea verticale?

Greta Scarano: “Per me è stato un privilegio e una fortuna straordinaria prendere parte al progetto, di far parte di questa creatura che ha davvero una vita propria e un proprio cuore che pulsa. Ci tenevo moltissimo perché conoscevo Mattia e sono sempre stata una sua ammiratrice e mi è sembrato incredibile diventare un personaggio scritta da lui e che rappresenta sua moglie. Il mio intento con il personaggio di Elena è stato quello di trasmettere la vitalità che traspariva dalla sceneggiatura e che aveva questa donna dalla forza ammirevole, una sorta di ancora di salvezza. Per me è stata anche un’occasione di crescita professionale, con Valerio poi sul set era un gioco ogni giorno.”

Giorgio Tirabassi: “La scrittura è sempre la cosa più importante e Mattia è riuscito a trattare un argomento duro senza un groppo troppo grande alla gola. Inizialmente aveva pensato per me ad un altro ruolo, invece ho creduto fin dall’inizio che questo fosse più interessante e dunque sono riuscito a convincerlo di darmi questa parte.”

Paolo Calabresi: “Il mio personaggio è un prete privo di spiritualità. Non è cattivo, solo gli manca proprio la materia prima del mestiere, qualcosa che poi lo faccia guardare oltre. Spero che La linea verticale riesca a suscitare la stessa sensazione che ho avuto alla lettura della sceneggiatura: un grande rispetto verso il pubblico perché si rivela per niente speranzoso e insieme per niente cinico.

Elia Schilton: “Sentivo una grande responsabilità perché il mio personaggio è la figura del medico che tutti vorremmo incontrare. Gentile, sicuro, che ti dà fiducia, sincero, caratteristiche che non solo non si trovano nei medici, ma oramai non si trovano più in nessuno. Sono rimasto molto colpito dalla scrittura, è stata una gioia leggere la sceneggiatura. Era talmente buona che avrei voluto fare qualsiasi ruolo, anche quelli femminili.”

Federico Pacifici: “Il mio medico invece è uno di quelli che non si vorrebbe mai incontrare! Comunque quando Mattia ti fa una proposta si accetta e basta. Lo conosco da diversi anni e ho già lavorato con lui e nell’approcciarmi a questa operazione particolare c’è stata grande gioia.”

Antonio Catania: “La scrittura di Mattia è geniale. Il mio personaggio non è un medico buono o un medico cattivo, forse è solo un medico sbagliato perché non vuole fare il mestiere che invece lo vede impegnato. Come il personaggio che interpretavo in Boris anche questo è spinto sempre da una forzatura. Forse ci sono tante persone così, che non sono convinte di quello che fanno e magari questo è un invito per scrollarsi di dosso tale indifferenza, che in un ospedale non serve.

Ninni Bruschetta: “Quando un personaggio è scritto bene ti sembra quasi che ti si appiccichi addosso, dolente o nolente. Che tu sia o non sia in quel modo, qualcosa rimane sempre. Mattia mi chiamò e mi disse che stava scrivendo una parte proprio per me e che in qualche modo avrebbe anche raccontato il nostro modo di lavorare.”

Cristina Pellegrino: “La mia infermiera è certo una dura, ma la rudezza delle sue maniere forti non è dovuta da rabbia o cattiveria, c’è molta umanità proprio perché cerca di scuotere i pazienti. Quando si interpretano tali ruoli poi la parte più difficile è sempre quella dell’imparare i procedimenti precisi che devono essere necessariamente metodici, e nella concitazione delle scene sono sempre la parte più difficile! Mattia per me è un beffardo, mi viene questo aggettivo, perché la sua comicità è molto inglese, quindi c’è sempre un grande piacere a leggere e poi fare quello che trovi scritto in sceneggiatura.

Alvia Reale: “Non posso non ringraziare Mattia perché quando ho letto la sceneggiatura mi sono resa conto che non c’era nulla di convenzionale nella sua serie e nemmeno niente di patetico. Sono molto grata a lui e a Valerio che mi hanno aiutato tanto sul set, visto che non appartengo al mondo della tv, ma vengo dal teatro. Mi è piaciuta la mia Caposala, ha un’anima pop ed è molto divertente.”