Ileana D’Ambra. Intervista all’attrice di Favolacce: un film che esplora le imperfezioni umane

Ileana D'Ambra debutta al cinema con Favolacce dei fratelli D'Innocenzo in un ruolo che le permette di cambiare pelle vivendo la bellezze di un nuovo cinema.

Con Favolacce Damiano e Fabio D’Innocenzo firmano la loro seconda opera cinematografica, una lente di osservazione universale per carpire il marcio che può comprimersi sotto una pulita simmetria, per un racconto dove adulti e bambini, ipocrisie e lungimiranza, disfatta e speranza vanno coincidendo nella maniera più brutale e severa possibile. In questo carrozzone di individui, personalità, genitori che vanno rivelandosi figli e viceversa, i D’Innocenzo si districano nella scrittura di personaggi che catalizzano l’attenzione della storia, tra tutte la Vilma della giovane attrice Ileana D’Ambra.

Classe ’96, al suo esordio davanti alla macchina da presa e con un ponte che lega l’attrice tra cinema e teatro, la giovane interprete ingrassa dieci chili e si tinge di biondo per far vivere in lei e con lei questa ragazza ambigua, incomprensibile, intrigante proprio per la sua natura inafferrabile, per un epilogo che segnerà, in qualche maniera, l’intero percorso di Favolacce. Un’esperienza lavorativa e umana di cui è stessa Ileana D’Ambra a parlarci, per questa trasformazione che l’ha travolta e sostenuta al suo film di debutto.

Dopo il teatro, con Favolacce arrivi direttamente al cinema. E non solo con un film bellissimo nella sua rappresentazione della bruttezza umana, ma un’opera presentata al Festival di Berlino e vincitrice dell’orso d’argento alla sceneggiatura. Come è stato vivere il passaggio festivaliero e come attraversi la mancanza della sala vista l’emergenza COVID-19? 

“Mi ricorderò sempre di quanto Berlino abbia rappresentato un incastro fortunato nella mia vita. Mio padre non riuscì a venire perché si trovava in Veneto e in quel periodo ci stavamo iniziando a rendere conto di quanto la situazione fosse drammatica anche quaggiù, ma soprattutto non sapevamo come sarebbero andate le cose. Ogni giorno ripenso a quella possibilità e non potrei negare che provo un pizzico di amarezza vista la sua mancata uscita in sala, sarebbe sciocco da parte mia non ammetterlo (il film sarà disponibile on demand dall’11 maggio). Ognuno al suo primo film desidera quella routine che tanti veterani odiano, dal photocall alle conferenza stampa fino all’uscita.
Ammetto che lo sognavo, armandomi di tutte le insicurezze, ma alla fine buttandomi. Ma devo essere sincera, sono curiosa di sperimentare questa nuova modalità di visione. L’uscita in digitale ti permette di entrare in modo più irruente nelle case del pubblico, non credo resterà qualcosa di definito, ma è certamente qualcosa che si sta in questo momento trasformando. In ogni caso ringrazierò sempre Berlino per avermi dato la possibilità di vedere Favolacce sul grande schermo. È un festival umano, in cui si consumano tanti incontri che ti arricchiscono e ho avuto modo di parlare con persone che mi hanno consigliato e supportato. L’11 maggio vedrò il film a casa e ricorderò sempre quando all’anteprima ho chiuso gli occhi, ho respirato il pubblico, poi li ho riaperti per guardarlo. Volevo che quell’immagine rimanesse impressa nella mia mente.”

Per il ruolo di Vilma hai dovuto prendere peso e tingerti di biondo i capelli. I fratelli D’Innocenzo come ti hanno posto queste accortezze necessarie per la parte e come è stata la tua reazione?

“Non sarebbe stata la stessa cosa se non avessi apportato questi cambiamenti. Era qualcosa che mi avevano accennato durante la pre-produzione, poi erano molto impegnati quindi non abbiamo avuto realmente modo di parlarne dal vivo. Ad esempio con la questione del cambiamento fisico non ci sono stati grandi discorsi. Ricordo che mi arrivò un messaggio in cui mi dicevano che per il personaggio di Vilma sarebbe stato necessario prendere tot chili e la mia risposta è stata immediata: ci sto. Mi sono fidata subito. Anche per i capelli, a un certo punto ho ovviamente pensato “Perché non mi propongono una parrucca?”, ma una cosa simile non me l’avrebbero mai detta, non sarebbe stata possibile contemplarla e questo perché ricercano la verità, è qualcosa con cui giocano molto. Come con la mia pelle. Avendo preso chili e cambiato la mia alimentazione il mio viso si era riempito di brufoli, un particolare che nel film sono andati ad accentuare, non a nascondere.”

Quanto influisce una metamorfosi simile per un attore? E quanto cambiare davvero pelle contribuisce a sentire il personaggio?

“Col passare delle settimane ho iniziato a sentire la pesantezza di Vilma. Una sensazione simile sarebbe stata inimmaginabile con qualcosa di plastico. Ricordo una sera di luglio in cui ero a cena con mia madre e mia sorella, ero già in fase di trasformazione e automaticamente ho assunto una posa scomposta da camionista. È stato talmente spontaneo che se mia madre non mi avesse fatto notare quanto la mia postura fosse sguaiata non me ne sarei resa conto. Per questo il processo diventa poi complicatissimo. Certamente questa esperienza mi ha ricordato quanto il corpo sia fondamentale, cosa che a volte tendo a dimenticare anche nella vita quotidiana. Ascoltarlo è importante. Nella recitazione questo giocare del corpo ricorda molto la scuola americana, mentre in Italia penso che si cerchi sempre di accentuare degli stravolgimenti solamente attraverso il trucco. Ma allo stesso tempo le ripercussioni si fanno pressanti, perché Vilma è rimasta con me anche dopo aver finito le riprese. Ci sono stati dei cambiamenti nel mio metabolismo, nella maniera con cui reagisce il mio corpo e questo un po’ lo sento e lo vedo. Sono davvero fiera di questa prova, ma come mi ripeteva il direttore della fotografia Paolo Carnera, che è stato davvero attento alle mie esigenze, queste cose estreme vanno fatte con parsimonia.”

Il tuo corpo in quanto Vilma è, tra l’altro, uno degli oggetti che rientrano nell’attenzione maniacale dei fratelli D’Innocenzo e dei loro campi strettissimi. Come hai vissuto questa vicinanza della macchina da presa al tuo corpo, che in quel momento era anche il corpo del personaggio?

“Quando dico che lavorare con i fratelli D’Innocenzo è un viaggio che abbiamo fatto insieme passo passo intendo proprio questo. Hanno capito la mia inesperienza con la macchina da presa e mi hanno permessa di abituarmi pian piano. Tanto che mi hanno proposto di fare due giornate di prove solamente loro, Paolo Carnera ed io per sperimentare filtri, lenti e obiettivi. Eravamo noi quattro all’interno di una stanza. In quel momento mi sono avvicinata molto al loro linguaggio, ho preso tanta confidenza con quel tipo di lavoro. È stato in quell’occasione che ho provato tutta la soggezione di trovarmi così attaccata alla macchina da presa, ma quando ci siamo ritrovati al primo giorno di riprese si può dire che ormai avevo già rotto il ghiaccio. Con i fratelli D’Innocenzo si crea davvero un incontro umano, riescono a rendere facile tutto.”

Ileana D’Ambra e la sua trasformazione fisica in Favolacce 

In Favolacce Vilma è quasi un ponte in questo mondo diviso tra adulti e bambini, una sorta di personaggio che si trova al centro delle due estremità e che per questo si rapporta in modo molto più estremo e insolito verso i più piccoli, con tanto di momenti in cui potrebbe quasi rischiare di oltrepassare il limite. Hai provato del timore nello spingerti troppo in alcuni momenti? Del disagio nel sentire una certa vicinanza in alcune scene?

“Anche qui il corpo mi ha aiutato molto. È stata la trasformazione stessa a permettermi di oltrepassare i limiti. Ho iniziato proprio con questa sensazione a lavorare su Vilma. Fabio e Damiano mi hanno spiegato che questa ragazza doveva rimanere in uno stato di ambiguità per lo spettatore, non doveva riuscire a capirla realmente. E questa ambiguità si percepisce quando, in qualche modo, Vilma diventa la confidente del piccolo Dennis, al quale si rapporta comunque in maniera ambivalente, non sapendo se credergli o averne paura. La questione è che doveva esistere tutto in contrasto di tutto ed è ciò che è venuto naturale. Nelle settimane di set, inoltre, ho cercato proprio di creare questo clima di non detto tra me e Tommaso Di Cola, il piccolo interprete di Dennis. Inizialmente sono andata come un treno approcciandomi, parlandoci, ma dopo aver capito che si trattava di un bambino molto timido e che questo avrebbe potuto contribuire al nostro rapporto nel film, ho cominciato a fare un passo indietro, a scrutarlo. È per questo che Vilma a volte proprio non lo capisce, perché poco prima io stessa non riuscivo ad afferrarlo. In ogni caso quello di Vilma sono convinta sia un ruolo che chiunque, in questo mestiere, vorrebbe interpretare, così immensamente inspiegabile eppure piena di empatia.”

Ileana D’Ambra: “Lavorare con i fratelli D’innocenzo è stato un viaggio della fiducia, ma le cose estreme vanno fatte con parsimonia.”ileana d'ambra favolacce, cinematographe.it

Vilma è inoltre l’unico personaggio ad avere un arco di evoluzione nel film, con tutto ciò che può derivare dal finale. In qualche modo potrebbe essere una chiave pessimistica quella che la segna, ma in un’altra il suo futuro potrebbe coincidere con la visione possibilista dei bambini.

“Più ripenso al personaggio di Vilma più ne capisco qualcosa in più. È veramente l’unica ad avere un arco di vita e narrativo molto sviluppato, il che genera molto interesse. Tante persone mi hanno confessato che avrebbero voluto vedere più Vilma nel film, perché è quella che, a differenza dei genitori che hanno un percorso più lineare, sembra avere un vissuto anche non visto. Vedo tanta dolcezza e umanità in lei. Affronta una presa di coscienza nella scena dell’autogrill che le permette di interrogarsi su qual è la fine che vuole fare. Credo che lei non si volesse inquinare visto un certo mondo che non le restituisce punti fermi e la fa sentire solo incerta. In Vilma c’è una forte carica vitale, non dà l’idea di una ragazza morta, nonostante sia presente anche quell’elemento perché fa parte stessa dell’esistenza.”

ileana d'ambra, cinematographe.it

Già con La terra dell’abbastanza i fratelli D’Innocenzo avevano mostrato come un altro cinema per la nostra industria fosse possibile, come si potesse utilizzare il genere e mischiarlo con l’autorialità per dare sfogo alle contaminazioni. Cosa che accade anche in Favolacce, dove non è soltanto la realtà a colpire, ma anche una forte componente assurda, grottesca. 

“Ed è proprio questo che mi è piaciuto. Forse non me ne sono accorta bene alla prima lettura della sceneggiatura, ma una volta averci lavorato e averlo visto mi sono resa conto che si tratta di un film pieno di imperfezioni proprio a livello umano. Ed è veramente raro guardare in Italia un film che riesce a catturare tanta umana crudeltà. È questo che mi conquistata, l’assenza di fronzoli. Sta poi allo spettatore decidere o meno di rifletterci su, di sentirsi più simile o meno a qualche personaggio, di arrabbiarsi o di rivedere la propria società. È questa bruttezza qui che mi ha appassionata di Favolacce. Mi ritengo una persona molto umana, mia madre mi ha insegnato a dare sempre un nome alle emozioni che provo e che, a guardare bene, tutti noi abbiamo dentro un enorme buco nero. È osservando cosa nasconde al suo interno che ti rende consapevolmente umano e, di conseguenza, un bravo attore. Nel film ho trovato molto questo riferimento e penso che sia un movimento che si sta cercando di intraprendere dell’arte, anche nel teatro. Si spinge molto verso quella direzione.”

Proprio rispetto a questa direzione che si sta prendendo e che anche i D’Innocenzo stanno percorrendo con il loro cinema, come ti senti di giudicare questo confrontarsi e scontrarsi con le generazioni venute prima e quelle di adesso, sia in ambito artistico che umano?

“Ognuno è figlio del suo tempo e anche Damiano e Fabio lo sono. Portano nel loro cinema una visione dettata dalla loro generazione, che lo vogliano o meno. Tornando a mia madre, che è una mediatrice famigliare, mi trovo molto sensibile verso ciò che riguarda l’osservazione delle famiglie e ciò che può accadere tra genitori e figli. Io sono nata nel 1996, è impossibile non considerare quello in cui siamo nati il clima dell’epoca di Berlusconi e come questo sia oggettivamente vero, nonché riportato proprio con genialità nel cinema di Fabio e Damiano. Siamo la generazione che è stata cresciuta seguendo il mito del bello, dell’estetica, della tv fatta di apparenza ed è proprio quello che loro rifiutano con i loro film. È ciò che amo di questo mestiere, non devi essere per forza bello e non sono certo i bei visi quelli che cercano i D’Innocenzo.”

Ed è come vedi il futuro?

“Per la mia carriera lo spero. Fermatemi se mi vedrete mai cedere davanti a abbellimenti e futilità. In Favolacce i genitori fanno leggere le pagelle dei loro figli a voce alta davanti agli amici, ma in quel momento non c’è al centro la bravura, bensì la politica, quella della finzione e dell’apparenza. Non c’è più l’arte posta al centro, quella che ti fa scavare e interrogare sul profondo. Ed è proprio così che si comincia a dare spazio alle dittature, togliendo il punto focale sulla cultura per non permettere sguardi diversi. Sono una nostalgica e devo dire che mi manca il non aver potuto vivere un tempo in cui si respirava una certa serenità. Vivere è già abbastanza faticoso di per sé, ma in tempi di società buie c’è bisogno di positività. In questo senso però sono una grande ammiratrice dei greci che credevano nella ciclicità del tempo, quindi prima o poi mi auguro che potremmo tornare a respirare un po’ di leggerezza. Magari anche questa pandemia ci avrà insegnato qualcosa, come ad esempio che è meglio vivere un abbraccio al postarne la foto su Instagram. In più, se posso aggiungere una nota personale, sono davvero vicina alle tematiche ambientali. Le generazioni precedenti hanno rovinato questo ambiente, ma è arrivato il momento di vedere realmente cosa sta accadendo.”

E il futuro, invece, di Favolacce? Prevede qualche proiezione in sala o su grande schermo alla riapertura dei cinema?

“Su questo sono molto positiva, quindi penso di sì. Abbiamo parlato con Fabio e Damiano che ci hanno tenuti sempre aggiornati sulle trattative della distribuzione del film e, conoscendoli, so che per loro la sala è indispensabile.”