Barry Purves sull’animazione: “Mai dire a un pupazzo cosa fare” [Intervista]

Abbiamo incontrato Barry Purves, ospite del Ca' Foscari Short Film Festival 2022, con cui abbiamo parlato di animazione, musica e molto altro.

Animatore, regista, scrittore e scenografo teatrale sono solo alcuni dei ruoli che Barry Purves ha rivestito negli anni. Inglese con oltre 40 anni di carriera alle spalle, Purves ha collaborato con registi cinematografici quali Tim Burton (era stato scelto per supervisionare l’animazione degli alieni in Mars Attacks! prima che si optasse per personaggi in CGI) e Peter Jackson (ha lavorato al reparto animazione di King Kong). I suoi stessi lavori hanno ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo, fra cui una nomination all’Oscar (per il cortometraggio animato Screen Play).

Abbiamo avuto modo di intervistare Barry Purves in occasione del Ca’ Foscari Short Film Festival 2022, di cui è stato uno degli ospiti d’onore, protagonista di un incontro a lui dedicato che ha visto anche la proiezione della sua ultima fatica, No Ordinary Joe, in cui animazione e live-action si incontrano. Nel corso dell’intervista, abbiamo discusso dell’importanza dei classici, del suo immenso amore per l’arte e del grande potere che un animatore si ritrova fra le mani quando realizza un progetto.

Si nota molto l’influenza dei grandi maestri del passato nel tuo lavoro e ciò che ci ha preceduti, così come la memoria, giocano spesso un ruolo fondamentale nei tuoi film, anche nel tuo recente No Ordinary Joe. Perché il passato è tanto importante?

Siamo seduti in un hotel pieno di immagini del cinema italiano, del cinema in bianco e nero (si riferisce all’hotel NH di Venezia, ndr). Molti degli studenti con cui lavoro non hanno idea di chi siano queste persone. Tanta gente pensa che il cinema sia iniziato con Star Wars. È sempre Star Wars. Ho frequentato una scuola d’arte drammatica e al secondo anno abbiamo avuto un corso di cinema. Come compito abbiamo dovuto guardare un film porno muto degli anni ’70 e una commedia francese muta. Ho detestato il film porno, ma quello comico era di Max Linder. Da allora ho guardato tutto quello che ha fatto. Gli animatori devono guardare Buster Keaton per capire il linguaggio del corpo e come strutturare una gag. Voglio dire, la gente non guarda i film in bianco e nero, ma dovrebbe. Specialmente l’animazione prende alcuni degli effetti dei primi film di Hitchcock, ad esempio. Le cose che faceva erano straordinarie. Hitchcock è il mio regista preferito. Alcuni suoi film sono piuttosto goffi, alcuni gli sono stati imposti dagli studios, ma amo Hitchcock perché ogni elemento della regia era ponderato. C’è un motivo per cui quell’attrice ha i capelli in un modo o perché il suo vestito è verde o perché sceglie quell’angolazione per l’inquadratura. Quello che mi preoccupa oggi, e parlo per esperienza diretta, è che quando lavori con un giovane regista, prende in mano una telecamera e gira. È eccitante, ma non c’è pianificazione. Il cinema ha una grammatica e quando giri, ad esempio, con il telefono, è troppo facile essere spontanei. Forse questo è il futuro, ma mi piacciono i film che sono pensati e studiati, e l’animazione è fantastica per questo, perché devi considerare: “Posso permettermelo? Ha uno scopo?” Se la risposta è no, allora non usarlo. Fa’ in modo che tutto conti. La grammatica cinematografica è importantissima e la mia speranza è che ci siano ancora docenti che la insegnano nelle scuole di cinema.

no ordinary joe, cinematographe.it
In No Ordinary Joe, l’attrice Lindsay Duncan condivide lo schermo con il pupazzo Tod, a cui dà voce Ben Keaton

Peter Lord, co-fondatore di Aardman Animations, ha spiegato come un animatore abbia un potere immenso, potendo creare mondi e personaggi, al punto da renderlo un dio. Nei tuoi lavori, spesso fai soffrire e piangere i tuoi personaggi, quasi fossi un dio vendicativo. Allo stesso tempo, si nota l’affetto che provi verso di loro e tu stesso hai detto in passato come non si possa dire ai propri pupazzi cosa fare. Come convivono questi due aspetti nel tuo lavoro?

È vero, non dovresti mai dire a un pupazzo cosa fare. Dovresti lavorare con il pupazzo. È questa la gioia del pupazzo: è una persona. Per quanto riguarda Peter e l’essere un dio, penso che gli animatori e gli artisti siano tutti leggermente danneggiati. Abbiamo qualcosa da dire riguardo alle nostre vite e vogliamo dirlo, trovare il giusto mezzo espressivo, sia questo il balletto, l’opera o qualsiasi altra cosa. Fa parte dell’esperienza. Per il mio corto Tchaikovsky sono andato in Russia, a casa del compositore, e c’era questo bellissimo cappello bianco a falda. Mi sono detto che dovevo avere quel cappello e lo abbiamo realizzato. Quando siamo arrivati sul set per l’animazione, mi sono reso conto che l’orlo copriva gli occhi. La maggior parte di un’espressione è comunicata dagli occhi, quindi avevo bisogno che si vedessero, perciò nella scena lui si toglie il cappello. È diventato un momento psicologico, perché mentre sono in quella stanza, sono pronto a tutto. Lavori insieme [al pupazzo]. Puoi preparare solo il 60%. Quello che puoi preparare, in una scena, è la quantità di storia, di personaggi e di narrazione che deve arrivare [al pubblico]. Poi lavori con il pupazzo affinché questa arrivi. Con la CGI non sono sicuro di come ciò accada, perché ci sono tantissime persone che lavorano su un personaggio. C’è chi fa i capelli, chi i vestiti, chi le dita… È un’intera squadra al lavoro su un personaggio. Con quello che faccio io, ci siamo solo io e il mio pupazzo. È una relazione strana. Devo farci un film a riguardo, sì.

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Sebbene il cinema sia sempre più transnazionale, i titoli inglesi spesso si distinguono per il loro essere irriverenti, sfidando il pubblico invece che dandogli quello che vuole. Questo si nota anche nei tuoi film. Solitamente si pensa ai pupazzi animati come a qualcosa di scanzonato e buffo, ma tu li macchi di sangue come in Screen Play o li rendi erotici come in Achilles, ribaltando le aspettative degli spettatori. Pensi che questo sia in parte dovuto alle tue origini britanniche o ci sono comunque modi in cui pensi che le tue origini influenzino il tuo lavoro?

Penso che si tratti di provare a fare qualcosa che nessun altro sta facendo, che venga da me. Potrebbe suonare un po’ superbo. Devo trovare qualcosa di interessante, qualcosa di personale nella storia. Per quanto riguarda l’osare, si deve essere ricchi di immaginazione e originali. Faccio molti programmi per bambini, ma mi piace molto anche l’aspetto oscuro dell’animazione. Animazione che non sia solo per bambini. Mi piacciono le grandi emozioni. Ho visto una clip di Pirati! Briganti da strapazzo di Peter Lord, in cui i personaggi si muovono in modo così discreto. Non penso di poter fare una cosa simile. Mi piacciono i grandi gesti audaci ed emotivi. Penso di essere come un ballerino di danza classica, mi piace l’estensione. Guardando i film che ho fatto, così come i miei lavori teatrali, hanno tutti uno stile distintivo. Questo mi rende felice. Nei miei film c’è la mia voce, in alcuni casi letteralmente. Mia sorella può vedere qualsiasi lavoro di animazione e capire se sono stato io a farlo, per il modo in cui ho mosso una mano o per l’atteggiamento.

barry purves, cinematographe.it
Barry Purves assieme al pupazzo protagonista del suo Tchaikovsky

Sei molto attivo sui social e spesso condividi opinioni sui film che ami, sugli spettacoli teatrali che vedi; con il programma radiofonico Bedtime with Barry unisci la tua passione per la musica al racconto di aneddoti divertenti. Si capisce come tu sia incredibilmente coinvolto nell’arte e nella vita in generale. Quanto pensi sia importante questo approccio nella tua vita e nel tuo lavoro?

Probabilmente dovrei essere più coscienzioso e appassionato riguardo alla politica e agli eventi che accadono nel mondo, ma pur sapendo di non essere un animatore particolarmente importante e famoso, credo che di voler aprire un po’ per volta gli occhi e le orecchie alle persone, nel caso del mio programma radiofonico. Forse lo seguono cento ascoltatori a settimana, ma proprio questa mattina mi ha scritto una signora di 83 anni, dicendomi: “Sono pronta per domani, cos’hai preparato? Mi fa ricordare di quando io e mio marito andavamo a vedere concerti di musica classica.” Non si tratta di educare o nulla del genere. Credo si tratti solo di ascoltare, guardare, concentrarsi. E se riesco a far avvicinare qualcuno a qualcosa che prima non conosceva, è fantastico. Diffondere un po’ di felicità quando ci si imbatte in me. Non seguo questa corrente volta a promuovere la cultura, ma sai, siamo a Venezia, che è straordinaria, e oggi ho visto turisti con i loro cellulari, e mi sono detto: “Posate il telefono, guardate e basta. Presto sarete morti e ve lo sarete persi. Semplicemente guardate il mondo che vi circonda.” Sono colpevole di avere anche io un cellulare, ma non ho fatto molte foto, eppure sono così tanti i ricordi che ho di oggi. C’è questa ossessione per cui si pensa che qualcosa non accada finché non la si fotografa. Godetevela. Odoratela. Assaporatela. Vivetela. Mettetela in dubbio. Penso che alla fine voglia solo che le persone apprezzino le storie, la cultura, la musica, anche se la mia non è una campagna. Ricordo di essermi innamorato di Tchaikovsky quando avevo 4 anni e amo la sua musica da allora. Mia sorella aveva un disco in plastica blu. Durava solo 10 minuti per lato e conteneva la narrazione delle scene dei cigni da Il lago dei cigni, raccontate attraverso la voce della ballerina Margot Fonteyn. L’ho ascoltato quando avevo 4 anni, riesco ancora a vederne la copertina, e la mia vita è cambiata. Ho pensato: “Non solo la musica è bellissima, ma lo è anche la storia. Come può qualcuno scrivere una cosa simile?” Ho ricevuto tantissimi premi, per cui sono molto riconoscente, ma il mio più grande onore è che il pupazzo che ho usato nel film Tchaikovsky ora siede sul pianoforte dove lui ha composto Lo schiaccianoci, nella sua casa. Perciò ora ho un legame con lui e questo è bello, sì, molto bello.