Editoriale | Come è cambiata la commedia italiana, dai cinepanettoni a Checco Zalone

Il Natale è storicamente il terreno prediletto per lo scontro fra i titani della comicità italiana: a raccogliere l'eredità di Christian De Sica e dei cinepanettoni oggi ci sono Checco Zalone, Alessandro Siani, Antonio Albanese, Ficarra e Picone. Con quali risultati?

Molto tempo fa, in una galassia lontana lontana, i cinepanettoni erano i re incontrastati del box office italiano decembrino. Sembrano – appunto – passati svariati lustri, e invece sono solo 8 anni: il canto del cigno del sottogenere è stato Vacanze di Natale a Cortina (2011), che con un incasso di “appena” 11 milioni di euro si è dovuto arrendere al nuovo fenomeno in ascesa inarrestabile: Checco Zalone, che col suo Che bella giornata incassava oltre 43 milioni.

Cinepanettone: scopri qui la storia di un successo Made in Italy

Esiste un pre e un post, dunque, un momento chiaramente individuabile in cui la tendenza è cambiata e si è adattata ad una diversa programmazione. Con un cinepanettone all’anno, Christian De Sica & Co. facevano terra bruciata attorno a loro: a Natale non usciva di fatto nessun altro film italiano, il campo era totalmente libero. Tutte le altre commedie sfruttavano i restanti undici mesi, periodi magari meno ricchi ma comunque redditizi. Gli unici a proporre (con risultati fallimentari) una timida alternativa erano stati i fautori del cinepandoro, di cui ricordiamo essenzialmente la Commediasexi (2006) di Alessandro D’Alatri, con protagonista Paolo Bonolis. Zalone, invece, gira un film ogni due anni. Questo significa che nell’annata di pausa c’è chi prova coraggiosamente a riempire quel buco, proponendo magari progetti sulla carta anomali e originali: basti pensare al 2018, al tentativo fatto da Moschettieri del re di Veronesi e da La Befana vien di notte di Soavi. Esperimenti forse poco riusciti, ma comunque meritevoli di attenzione; perché c’è anche chi, pur di evitare il confronto a distanza col campione zaloniano, preferisce far uscire i propri film molto prima o molto dopo, a festività concluse.

Da De Sica a Zalone: è la satira, bellezza!

Una volta ammainata bandiera bianca, De Sica ha giustamente provato a reinventarsi, replicando comunque il suo solito personaggio “burino” e caciarone ma in altri contesti. Sono nati così i Colpi di fulmine (2012) e i Colpi di fortuna (2013), i Poveri ma ricchi (2016) brizziani, e infine le reunion con il sodale Massimo Boldi (Amici come prima, 2018) e addirittura con il padre Vittorio (Sono solo fantasmi, 2019). Opere che un giorno, chissà, verranno studiate più nel dettaglio, perché rappresentano in effetti la presa di coscienza di un artista che comprende perfettamente di essere “passato di moda” e di non fare più presa come un tempo con il pubblico. Perché, quel tanto amato pubblico, non lo capisce più. A intercettare invece splendidamente e trasversalmente le platee in pratica di tutto lo Stivale è Luca Medici alias Checco Zalone, che annovera tre delle sue pellicole nelle prime cinque posizioni dei film più visti di sempre in Italia: Che bella giornata è 5°, Sole a catinelle 3°, Quo vado? 2°. Quo vado? in particolar modo ha fatto il botto, raggiungendo i 65.3 milioni di euro di incasso, ad un’incollatura da Avatar, che detiene tutt’ora la prima posizione con 65.6 milioni.

Perché Checco Zalone piace così tanto?

medusa film cinematographe.it

La domanda, più che lecita, è: perché Checco piace così tanto? Con una manciata di opere il comico originario di Bari è stato capace di creare eventi senza pari, che tutti vogliono vedere e rivedere. Il suo cinema non è una farsa, non è una pochade; se prima coi cinepanettoni si trattava essenzialmente di un rito immutabile nel tempo (il pranzo di Natale, i regali sotto l’albero, Una poltrona per due in tv e De Sica in sala), oggi con Zalone si fa la fila per vedere che cosa sarà mai stato capace di ideare stavolta, quale nuova e diversa satira avrà imbastito. È “satira” forse la parola chiave: Zalone si rivolge ad una platea che ritiene intelligente e con cui, in un rapporto quasi simmetrico, scherzare attivamente. Il suo personaggio del “cozzalone”, dell’ignorantone, è il parafulmine attraverso cui criticare la politica e la società. E, più di ogni altra cosa, l’uomo medio e il suo qualunquismo: la canzone Immigrato – che sta facendo da lancio al suo nuovo lavoro Tolo Tolo – è un’invettiva non contro lo straniero o contro il profugo, ma contro l’italiano, i suoi luoghi comuni e il suo perbenismo. Un tipo di comicità a cui Checco è rimasto sempre fedele, fin dai tempi di Zelig.

Dalla televisione con furore, da Ficarra e Picone ad Alessandro Siani e Maccio Capatonda

Box Office, cinematographe.itEd è proprio la televisione ad aver fatto da veicolo, negli ultimi dieci anni, ad un nuovo tipo di commedia che si è riversata poi al cinema. La TV, anzi, viene spesso considerata una sorta di palestra per testare il proprio appeal sul pubblico. È successo con Ficarra e Picone, Alessandro Siani, Antonio Albanese, Maccio Capatonda, Aldo, Giovanni e Giacomo: ognuno con risultati differenti e ognuno ponendosi a suo modo nei confronti del salto verso il grande schermo. Ficarra e Picone ad esempio, dopo l’esplosione a Zelig Circus, sono diventati una presenza fissa a Striscia la Notizia, abdicando un po’ così al loro furore canzonatorio nel nome di una proposta più inquadrata e generalista. Dall’umorismo – lieve, ma non per questo innocuo – sulla sicilianità al familismo rassicurante e omnicomprensivo: se nelle loro prime prove cinematografiche (Nati stanchi, 2002; Il 7 e l’8, 2007) restavano ancorati ai caratteri da nullafacenti che gli avevano portato tanta fortuna, nell’ultimo Il primo Natale si giocano la carta della parabola biblico-natalizia, trionfo di buonismi assortiti e di citazionismo nostalgico (qualcuno ha detto Non ci resta che piangere di Benigni-Troisi?) uscito accortamente in sala prima dell’avvento del ciclone Zalone.

L’eccezione Antonio Albanese, unico attore-attore!

Cetto c'è, senzadubbiamente Antonio Albanese

Un discorso a parte lo merita Albanese, l’unico attore-attore fra i nomi sopraelencati. Nel suo curriculum c’è tutto e il contrario di tutto. C’è il cabaret e la regia, l’imitazione e la collaborazione con gli autori affermati. Albanese ha lavorato con Soldini e Mazzacurati, Pupi Avati e Gianni Amelio, fino a Carlo Verdone. Fra tutti i suoi tormentoni televisivi (Epifanio Gilardi, Pier Piero, Frengo, Alex Drastico), ha deciso di dare maggiore visibilità al cinema a Cetto La Qualunque. Ovvero a quello più vicino all’attualità, quello più “sul pezzo” e caustico. Dopo i successi di Qualunquemente (2011) e Tutto tutto, niente niente (2012) è arrivata nel 2019 la chiusura della “Trilogia du Pilu”. Cetto c’è, senzadubbiamente non ha fatto sfracelli al botteghino; anzi, ha dimostrato come potrebbe essere giunta l’ora di accantonare definitivamente il personaggio. Uno dei migliori nati nella storia della tv recente, sia chiaro, superato tuttavia dal tempo e dalla rapida obsolescenza che riguarda i prodotti televisivi contemporanei. Un decadimento che, ad esempio, non ha ancora toccato Zalone.

Aldo, Giovanni e Giacomo: un “caso” che ha fatto scuola

Adeguato spazio e adeguata attenzione meritano anche Aldo, Giovanni e Giacomo, che rivedremo a breve nelle sale con Odio l’estate, uscita prevista 30 gennaio. Il trio siculo-lombardo è stato sul finire dei ’90 un piccolo caso mediatico, con tre pellicole che li avevano elevati al di sopra della comicità media: Tre uomini e una gamba (1997), Così è la vita (1998) e Chiedimi se sono felice (2000). Non erano i classici film-sketch da tormentone, da sciacquare via sui titoli di coda con l’ultimo sorso di coca cola, ma opere a loro stanti con una storia credibile, una tridimensionalità e un’introspezione. E tutto ciò pur mantenendo alta – se non altissima – l’asticella della gag comica. Una piccola parentesi felice che ha fatto scuola, nobilitando in epoca non sospetta l’umorismo para-televisivo e creando un importante precedente. Nessuno si aspettava quell’exploit, così come nessuno avrebbe mai immaginato che quella vena creativa si sarebbe di lì a poco inaridita. Ma occorre considerare anche l’universalità della loro proposta: rivisti oggi, quei tre film non sono invecchiati di una virgola.

Carlo Verdone e la vecchia guardia

Agli altri restano, chi più chi meno, le briciole. Ma in mezzo alle nuove leve che si fanno un po’ le ossa spaziando fra i generi (come Massimiliano Bruno, il cui ultimo film è Non ci resta che il crimine, uscito a gennaio 2019), ci sono i vecchi leoni che proseguono indomiti le loro carriere, cercando di non perdere terreno. Ci vengono in mente due esempi, dalle opposte fortune: Leonardo Pieraccioni e Carlo Verdone. Qualcuno potrebbe inorridire per l’accostamento, ma è un testacoda ragionato. Leonardo Pieraccioni, alfiere della comicità toscana, era uno dei più grandi talenti della sua generazione: I laureati (1995) aveva stravolto le aspettative creandone di nuove. Sempre o quasi eluse e deluse, perché la vena creativa del regista sembra si sia esaurita già dalla fine degli anni ’90. Ma nonostante questa evidenza – ampiamente confermata anche dalla continua emorragia degli incassi – Pieraccioni continua a girare, a caccia di quello spunto narrativo perduto tra il poetico e il comico che potrebbe portarlo nuovamente alla ribalta.

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Anche il romano Verdone continua a girare, esattamente dal 1980 (l’indimenticabile Un sacco bello). In quasi quarant’anni la comicità è cambiata, ma i suoi prodotti hanno sempre evitato gli incasellamenti, o l’associazione a qualsivoglia corrente. Un film di Verdone è un film di Verdone, punto. Non assomiglia a nient’altro, e difficilmente potrà risultare fuori tempo massimo – come gli ultimi cinepanettoni, come Cetto La Qualunque o come il Pieraccioni post-2000 – proprio perché non emula nessuno. Può piacere o non piacere, ovviamente, può far ridere come anche no. Ma è indubbio che questa sorta di “autarchia” rappresenti una marcia in più che permette di superare anche certe mancanze e certi buchi nell’acqua. A differenza di altri generi che trovano nell’eterna ripetizione la loro perpetua fonte, l’elisir di lunga vita della commedia è l’originalità e la capacità di rinnovarsi sempre pur mantenendo una forte componente identitaria, oltre lo scorrere del tempo. Un equilibrio difficilissimo, che assieme alla lama affilata del sarcasmo sta in questi anni facendo (meritatamente) la fortuna di Checco Zalone.

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