L’ultima tempesta: la storia vera del film con Chris Pine e Casey Affleck

L'ultima tempesta, con Chris Pine e Casey Affleck, è ispirato all'incredibile storia vera del salvataggio di 32 membri dell'equipaggio della petroliera Pendleton, spezzata in due dalla tempesta, compiuto da quattro giovani membri della guardia costiera

L’ultima tempesta è il quinto film di Craig Gillespie, regista conosciuto soprattutto per la stralunata commedia d’esordio Lars e la ragazza tutta sua (2007) e, più recentemente, per l’ambiguo bio-pic I, Tonya (2017). Nel cast del film troviamo Chris Pine, Casey Affleck, Ben Foster, Eric Bana, John Ortiz e Holliday Granger.

L’ultima tempesta: la trama

L'ultima tempesta cinematographe.it

Il film è un adrenalinico racconto di avventura, sopravvivenza e di lotta contro le avversità della natura ambientato nel bel mezzo dell’Oceano. Siamo nei primi anni cinquanta quando una violenta tempesta colpisce la petroliera SS Pendleton. La tempesta è talmente feroce da spezzare la nave in due, intrappolando così una quarantina di marinai che, pur lupi di mare, si trovano in inevitabile difficoltà e a pochi passi dalla morte. Ray Sibert, l’ufficiale più anziano a bordo (interpretato da Casey Affleck), prende in mano la situazione e cerca di salvare l’equipaggio, attendendo i rinforzi di una missione di salvataggio organizzata, anche in questo caso al limite della sopravvivenza, da quattro giovani e coraggiosi membri della guardia costiera.

L’ultima tempesta e i film ispirati a disastri del mare

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L’ultima tempesta non è certamente il primo film della storia del cinema che racconta un naufragio o le insidie che il mare nasconde. Proprio quest’anno, per fare un esempio, cade il ventennale del film che ha raccontato il probabilmente più famoso naufragio della storia, Titanic di James Cameron, mentre, per fare un altro esempio celebre, quello che è considerato da molti il primo vero blockbuster del cinema contemporaneo è stato Lo squalo di Steven Spielberg. Entrambe le opere citate sono più o meno direttamente e con più o meno fedeltà ispirate o tratte da storie vere; è evidente nel caso di Titanic, meno ovvio nel caso del successo di Spielberg, ispirato ad un romanzo scritto da Peter Benchley che rielaborava i letali attacchi nelle vicinanze della battigia di un enorme squalo avvenuti sulle coste del New Jersey nel 1916.

Anche il film di Craig Gillespie racconta una storia vera, e lo fa con particolare fedeltà. L’ultima tempesta è infatti ispirato al volume The Finest Hours: The True Story of the U.S. Coast Guard’s Most Daring Sea Rescue di Michael J. Tougias e Casey Sherman, che racconta la vicenda dell’incredibile salvataggio avvenuto nel febbraio 1952 della quasi totalità dei membri dell’equipaggio della petroliera Pendleton.

L’ultima tempesta: la storia vera

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La Pendleton era una “petroliera T2”, un tipo di nave costruito in gran numero negli anni intorno alla Seconda Guerra Mondiale e dalle elevate dimensioni, a cui però non corrispondeva un’altrettanto elevata cura nella costruzione e nella scelta dei materiali. Ben presto infatti queste imbarcazioni presentarono dei problemi; quello della Pendleton, per esempio, non fu l’unico naufragio, tanto che nel 1952 il governo degli Stati Uniti dichiarò che le T2 non erano adatte alla navigazione in acque fredde, che tendevano a spezzare – come nel caso della vicenda in questione – lo scafo e impose di rafforzare gli esemplari sopravvissuti con strisce d’acciaio.

La Pendleton sbarcò, diretta a Boston, il 18 febbraio 1952 da Chatlam, porto sulle coste della celebre penisola di Cape Cod, in Massachusetts. Le acque di quella zona del New England erano considerate pericolose, tanto da meritare il soprannome di “cimitero dell’Atlantico”. Quel giorno erano particolarmente temibili, dato che era in azione il “Nor’easter”, un ciclone extratropicale con venti artici, neve e onde alte una ventina di metri.

Nelle stesse ore, sempre da Chatlam partì un’altra petroliera T2: la Fort Mercer, diretta a Portland. Nel giro di poche ore entrambe le navi dovettero piegarsi, non solo in senso metaforico, al ciclone. Le due imbarcazioni infatti si spezzarono sotto la forza delle onde enormi e dei venti polari. L’unica differenza è che la Fort Mercer riuscì a lanciare l’SOS in tempo, mentre della Pendleton si persero ufficialmente le tracce. Passarono circa otto ore prima che sulla terraferma si rendessero conto anche di questo naufragio, grazie a rottami che apparvero sui radar della guardia costiera e grazie ad un aereo di ricognizione che aveva escluso che i pezzi di nave galleggianti appartenessero alla Fort Mercer.

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Il momento era disperato, tanto da richiedere scelte estreme. Così, quattro membri, tutti intorno ai 20/25 anni, della guardia costiera di Chatlam decisero di partire alla ricerca dei superstiti sfidando il ciclone con la CG36500, una piccola motovedetta in legno che poteva ospitare al massimo una dozzina di persone. Al comando di questo manipolo di coraggiosi eroi, il ventiquattrenne Bernie Webber (nel film interpretato da Chris Pine). Nonostante le difficoltà e cantando per darsi coraggio contro l’assideramento, i quattri arrivarono nei pressi della poppa della Pendleton, dove erano rifugiati 33 dei 41 membri dell’equipaggio (a prua c’erano otto persone, tutte scomparse). Riuscirono ad accoglierli e salvarli tutti, tranne uno che scivolò e fu rapito dalle acque.

Erano in 36 su una barca che poteva accogliere al massimo dodici persone, con l’uragano ancora in azione; perciò anche nel viaggio di ritorno non era certo possibile navigare tranquilli; la sfida contro il ciclone non era terminata. Fatto sta che, navigando nei confini che separano la grande impresa dal miracolo, la CG365OO riuscì a tornare nel porto di Chatlam con tutte le 36 persone a bordo.

Webber e i suoi compari vennero immediatamente considerati eroi, ricevendo presto la medaglia d’oro al salvataggio, la massima onorificenza conferita dalla guardia costiera. Il loro, nella percezione comune, è considerato il più grande salvataggio in mare della storia. Emblematico il fatto che la protagonista inanimata della vicenda, la motovedetta CG36500, è oggi curata ed esposta come una reliquia nel porto della cittadina del Massachussets.

 

 

 

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